#132 - 22 giugno 2015
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Racconto

La contessa e il pasticciere

di Ruggero Scarponi

La contessina Arianna era una ragazzina di sedici anni con un carattere ostinato e insofferente di tutte le regole. Pur essendo così giovane, possedeva doti fisiche che non passavano inosservate. In particolare il seno, che modellato da corpetti e bustini, svettava alto e prominente come la prua di una cannoniera. Invano suo padre aveva cercato di richiamarla a un contegno più misurato poiché sua madre, invece, ne andava fiera come di se stessa. L’ostinazione della ragazza era proverbiale. A casa e a scuola otteneva sempre ciò che voleva. Le amiche l’adoravano e la invidiavano per questa sua capacità. Superba e vanitosa si lasciava corteggiare dai compagni di scuola per il solo gusto di vederli rosolare al fuoco di un amore che non avrebbe mai corrisposto e tuttavia, come nelle migliori storie, la bella Arianna aveva anche lei il suo tallone d’Achille. Nelle dolci notti di primavera o d’inizio estate, infatti, non riusciva a prendere sonno, sopraffatta da un languore che la stremava fino al giorno seguente. Questi episodi di malumore della ragazza erano interpretati in vario modo dalla gente di casa eppure sarebbe stato così semplice scoprirne la ragione se solo si fosse osservato il volto di Arianna in determinate occasioni.

La passione che tanto turbava la contessina aveva un nome e cognome. Del cognome non diremo nulla, non è importante in questa storia, diremo, invece, il nome: Renato. Costui era stato assunto come autista, dal padre di Arianna e aveva tra i vari compiti, quello di accompagnare a scuola la ragazza. Renato, che era veramente ben fatto fisicamente, aveva venticinque anni e si faceva notare per una particolare bellezza o diremmo, grazia del viso. Sembrava, infatti, che i suoi occhi emanassero una luce rara, morbida e pacata capace di illuminarne il volto e la fronte, alta e spaziosa come quella di un eroe mitologico. I tratti del naso e della bocca erano fini e nobili e gli zigomi, un poco sporgenti, accentuavano l’espressione forte e virile. Arianna ne restò colpita fin dal primo giorno che ne fece la conoscenza. E forse a causa della serena bellezza di lui per la prima volta nella sua vita provò soggezione. All’inizio tale sentimento la irritò moltissimo. Non poteva accettare in nessun modo che qualcuno potesse vantare un potere su di lei. Il fatto che ogni mattina al momento di farla salire in auto insieme al cortese saluto le elargisse un sorriso appena accennato la turbava. Era come se si sentisse scoperta nel suo intimo. Immaginava di essersi lasciata sorprendere o di aver fatto o detto qualcosa da cui Renato avesse potuto intuire i sentimenti che lei nutriva in segreto. Pure, riflettendo, era certa di non aver mai indugiato con lo sguardo, più che se fosse necessario, sulla bella figura del giovane. Dunque da cosa derivava quel sorriso un po’ trattenuto e vagamente ironico che ogni mattina la scombussolava fino a farla sentire debole e indifesa. Che fosse presunzione? Che il bel Renato dall’aria tranquilla e serena fosse così sicuro dell’effetto che produceva sulle donne da provare il sottile piacere di gustarne i turbamenti, per poi coglierne senza fatica i frutti? Che razza di mascalzone! pensava Arianna, furibonda per l’impudenza del giovane. A scuola intanto doveva difendersi dagli assalti delle compagne che vedendola giungere ogni mattina accompagnata da quella specie di angelo cherubino volevano a tutti i costi sapere, conoscere, intrigare. Lei però non dava soddisfazione: ci mancherebbe! rifletteva, Renato è solo un dipendente, come si può pensare che un’aristocratica come me, possa nutrire un sentimento per l’autista di casa, cose dell’altro mondo! concludeva sbuffando rabbiosa. E sembrava convincente nella sua commedia. Infatti, nessuna delle compagne la sorprese mai a parlare o a sorridere con il giovane chauffeur. Renato accompagnava a scuola la contessina che sedeva nel sedile posteriore dell’auto, le apriva lo sportello per farla scendere e si toglieva rispettosamente il cappello in segno di ossequio. Tutto qui. Nessuno avrebbe potuto giurare in fede sua che tra i due ci fosse dell’altro. Eppure Arianna smaniava per Renato, ma mai, si diceva, si sarebbe rivelata o peggio, concessa. Di notte, però, si tormentava perché in ogni caso non poteva negare la grande attrazione che provava per lui. Certo, si diceva: se fossi una ragazza semplice, che tempo meraviglioso starei vivendo, sentendomi desiderata da quel ragazzo. Ma nel mio caso è categoricamente escluso che tra noi possa nascere un…E si fermava con gli occhi persi nel buio a fantasticare fino a cedere al sonno ai primi segni dell’aurora.

Di nuovo, al mattino, si ripetevano i travagli interiori che tanto l’agitavano. Alla vista di Renato e del suo sorriso che con il tempo le sembrava divenisse più sfrontato perdeva ogni energia, ogni volontà e tremava all’idea che se solo si fosse fatto avanti, forse, non lo avrebbe respinto. Subito però, s’irritava di questo pensiero, di questa sottomissione e se non fosse stato per il rischio di far trapelare qualcosa di quanto sentiva, avrebbe voluto punire quel giovane, obbligarlo a subire i suoi capricci. A poco a poco sentì nascere dentro di sé un risentimento, un desiderio di vendetta. Non poteva perdonare al ragazzo di averla fatta innamorare. Questo sentimento che rendeva succubi, schiavi, passivi, era sempre stata lei a suscitarlo nei ragazzi e non viceversa. E come le bruciava dentro! ma persino fuori, procurandole improvvisi rossori di cui se qualcuno faceva cenno di accorgersene, dava vaghe e fugaci spiegazioni. La cosa che più la urtava però, era la calma sicurezza di Renato. Quel mascalzone, si ripeteva, lo sa, lo sa che alla fine sarò sua: la figlia del padrone, la superba contessina, messa nel mucchio delle sue tante conquiste. Che smacco! E non si deve neanche sforzare, come un pescatore che attenda paziente che il pesce abbocchi all’amo. All’amo, ripeté distratta, Dio come lo amo!...Concluse estatica. Il sentimento di vendetta cominciò a delinearsi nella mente della ragazza. Man mano che procedeva e che si arricchiva di particolari ad Arianna sembrava di riconquistare un poco della sua antica sicurezza. Ora non tremava più di fronte al sorriso di Renato, non si sentiva più penetrare nelle viscere dal suo sguardo sereno. Ora aveva un piano.
A poco a poco stava riprendendo il controllo.

Finalmente, un giorno, all’inizio di una tiepida primavera, giudicò maturo il tempo per regolare i conti. L’occasione giunse un sabato, al ritorno dalla scuola. Arianna sapeva che quel giorno a casa per una serie di coincidenze fortuite non ci sarebbe stato nessuno, neanche il personale di servizio. Per circa un’ora e mezza avrebbe avuto campo libero per fare tutto quanto aveva progettato. Infatti, come d’abitudine, appena giunti davanti all’abitazione padronale, Renato arrestò l’auto. Scese e aprì lo sportello della contessina Arianna che, invece, restò seduta e immobile con lo sguardo fisso in avanti. Ci volle poco al giovane chauffeur per comprendere i propositi della padroncina. Pertanto risalito in auto si diresse senza indugio alla rimessa. Lì avvenne tutto quanto doveva avvenire. Renato restò folgorato dalla bellezza di Arianna e in particolare dal suo seno. Per giorni ne serbò il ricordo come della cosa più bella che avesse goduto nella sua vita. Arianna, invece, si riprese subito dall’esperienza, contenta e soddisfatta di aver condotto il gioco a modo suo. Ora sarebbe stato lui a mendicare uno sguardo, un sorriso, che lei, naturalmente, gli avrebbe negato come fosse uno sconosciuto. Renato, sconvolto da un simile trattamento, non resistette. Dopo un mese di quella situazione in cui Arianna si dimostrava sempre più fredda e distaccata, cedette e dette le dimissioni. Non poteva più restare accanto a quella ragazza indifferente dopo quanto era avvenuto tra loro. Arianna invece gongolava. Aveva ottenuto l’amore di quel giovane e ne era appagata. Tutto si era svolto segretamente nella rimessa al riparo da sguardi indiscreti. Dopo, nulla era trapelato che potesse autorizzare qualche sospetto, qualche supposizione. Che smacco per il grande seduttore! pensava Arianna, non avrebbe mai potuto raccontare l’avventura appena trascorsa. In tal modo era come non fosse mai avvenuta. Per lei invece era diverso. Una donna non si vanta delle proprie conquiste, ne gode piuttosto interiormente. Arianna si scordò presto di Renato e trascorse la vita secondo le convenzioni stabilite dalla sua classe sociale. Dopo alcuni anni si sposò e si mise finalmente tranquilla. Renato invece non riuscì più a liberarsi del ricordo di Arianna. Spesso gli capitava di notte di fare sogni tumultuosi in cui si trovava a scalare bianche dune di sabbia o di neve morbida senza però riuscire mai a raggiungere la vetta perdendosi in estenuanti tentativi di volta in volta frustrati dalla cedevolezza del terreno in modo tale di ritrovarsi sempre al punto di partenza. Il suo viso perse la pacatezza, la serena bellezza tanto amata dalle donne. Giunto sui trent’anni decise di sposarsi con una donnetta semplice che come unico pregio aveva quello di essere pasticcera e proprietaria di un laboratorio artigiano. Renato, perseguitato dai ricordi, si buttò nel lavoro, cercando di dimenticare quella che era diventata una vera ossessione, il seno di Arianna.

In tutti quegl’anni pur essendosi incontrati più volte nelle vie del paese, non si erano mai salutati. Arianna, non lo aveva mai salutato, fingendo quasi che non esistesse, trapassandolo con lo sguardo ogni volta che se lo trovava dinanzi come fosse fatto di aria.
Renato ne soffriva e non si dava pace. Eppure un modo doveva pur esserci per costringerla a guardarlo negli occhi almeno un’ultima volta. Un giorno Arianna si trovò a passare davanti al laboratorio di Renato. Camminava come suo solito, a passo svelto, il busto sollevato, lo sguardo altero e indifferente quando fu attirata da un brusio sommesso. Vinta dalla curiosità, s’arrestò per vedere. Le persone al suo avanzare si scansarono. Qualcuno ridacchiava divertito. Arianna sempre più incuriosita provò a scoprire il motivo di tanto interesse. Si era messa di fronte alla vetrina. La sua figura alta e prosperosa troneggiava, riflessa nei cristalli illuminati dalle luci al neon. Percorse con lo sguardo gli scaffali dove erano allineati cabaret con dolci di tutti i tipi. Poi a un tratto, un po’ in disparte e quasi nascosto da una torta al limone vide un largo vassoio con dolci di nuova produzione. Lesse l’etichetta: Poppe della contessa. Arianna, si sentì mancare comprendendo il riferimento alla sua ben nota qualità fisica e di come il pasticcere, l’avesse divulgata a tutto il paese. A quel punto non poté fare a meno di cercare con lo sguardo all’interno del laboratorio e quando s’incontrò con gli occhi di Renato, prima arrossì violentemente, poi gli sorrise con dolcezza e in fine, scosse appena il capo, come per un indulgente rimprovero. Poi, indifferente, riprese il suo cammino.

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