#348 - 16 marzo 2024
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Storia

Note sulla
MEMORIA DEI GIORNI

-Sequestro Moro: L'agguato sanguinario. La tormentata prigionia. La condanna a morte. Tutto in 55 giorni, i più lunghi della storia della Repubblica italiana, che segnarono il passaggio tra due epoche e il tramonto di un progetto politico che, forse, avrebbe potuto scrivere un futuro diverso per il Paese.
Nel panorama dei cosiddetti anni di piombo, il 1977 aveva segnato una decisa svolta verso lo scontro violento sul piano politico e sociale, combattuto tra i gruppi eversivi di sinistra e di destra e tra questi e le forze dell'ordine. Il '78 non era iniziato con migliori auspici: la sera del 7 gennaio si era consumata la strage di Acca Larentia, in cui avevano perso la vita tre giovani del Movimento Sociale.
Sul piano politico c'era una situazione instabile, che a meno di due anni dalle elezioni aveva già portato alla caduta del governo monocolore della Democrazia Cristiana, guidato da Giulio Andreotti. Di fronte a quest'impasse e per dare una risposta convincente al Paese, attraversato da una profonda crisi sociale, il presidente della DC Aldo Moro sostenne l'ipotesi di un governo di solidarietà nazionale, con la partecipazione dei comunisti.
Si trattava di un gesto politico di considerevole portata, i cui echi oltrepassarono i confini nazionali. Il PCI del segretario Enrico Berlinguer si diceva pronto al compromesso storico, rivendicando lo strappo con Mosca. Le resistenze però erano forti sia all'interno della DC, sia tra gli alleati internazionali dei due principali partiti italiani.
Da un lato gli USA timorosi che, nell'ottica della guerra fredda, un partito filosovietico al governo avrebbe potuto minare i piani militari della NATO. Dall'altro l'URSS giudicava tale prospettiva una forma di emancipazione dal modello sovietico, in favore di quello americano. In questo scenario destò molti sospetti il coinvolgimento di Moro nello scandalo Lockheed, dal nome dell'azienda americana che ammise di aver pagato tangenti a politici e militari stranieri, per vendere a Stati esteri i propri aerei. Ne uscì con una piena assoluzione il 3 marzo, tredici giorni prima che accadesse l'irreparabile.
La mattina di giovedì 16 marzo Moro era atteso alla Camera, dove Andreotti avrebbe dovuto presentare il nuovo governo con il sostegno, per la prima volta, dei comunisti. Alle 9 scese dalla sua abitazione romana e salì a bordo della Fiat 130 blu di ordinanza, seguita dall'Alfetta bianca della scorta. All'incrocio tra via Fani e via Stresa, ad attenderlo un commando di 19 brigatisti (11 secondo un'altra versione), armati di mitragliette automatiche e pronti a far scattare un agguato in pieno stile RAF (gruppo terroristico tedesco di estrema sinistra).
Bloccando il corteo con due auto all'inizio e alla fine dello stesso, e ostruendo le vie di fuga laterali con altri veicoli parcheggiati, i terroristi entrarono in azione facendo fuoco sulla scorta e sulle due guardie del corpo dell'auto blu. La fotografia che si parò davanti alle prime persone accorse sul posto era agghiacciante: sulla strada un tappeto di bossoli e sangue, nei due abitacoli crivellati di colpi i corpi senza vita di Domenico Ricci (appuntato dei Carabinieri), Oreste Leonardi (maresciallo dell'Arma), Francesco Zizzi (vice brigadiere di Polizia), Giulio Rivera e Raffaele Jozzino (entrambi agenti di Polizia).
Passarono 48 ore prima che le Brigate Rosse rivendicassero l'attentato e il sequestro di Moro, attraverso una foto dello stesso, ritratto con alle spalle la famigerata "stella a cinque punte" e un comunicato in cui si annunciava che il presidente della DC sarebbe stato processato da «un tribunale del popolo». La reazione dei cittadini si tradusse in cortei e manifestazioni per gridare il proprio dissenso alla violenza brigatista.
Le istituzioni reagirono approvando una serie di "leggi speciali" volte a dare più poteri alle forze dell'ordine e agli investigatori nell'attività di contrasto al terrorismo. Sul piano politico emersero forti divisioni tra chi era per trattare con i sequestratori, come il PSI, e la maggioranza (DC e PCI in testa) che era invece per la linea dura. Nonostante il dispiegamento di forze, con migliaia di blocchi stradali e perquisizioni, le indagini sembravano non portare da nessuna parte.
Nei 55 giorni che seguirono ci fu uno stillicidio di comunicati delle BR, ipotesi giornalistiche e polemiche politiche, con il blocco moderato che accusava l'area comunista di essere contigua agli ambienti brigatisti. Il conflitto sociale non si fermò e alcuni episodi, come l'omicidio di due giovani di sinistra del centro sociale "Leoncavallo", lo esacerbarono ulteriormente. Nel frattempo le speranze di vedere liberato Moro si facevano sempre più deboli, nonostante gli accorati appelli di personalità di rilievo mondiale, come papa Paolo VI e il presidente degli Stati Uniti d'America, Jimmy Carter.
Il 6 maggio, le BR comunicarono l'esecuzione della condanna a morte. Tre giorni dopo il corpo di Moro fu rinvenuto in via Caetani, nel bagagliaio di una Renault 4 rossa, parcheggiata, simbolicamente, tra via delle Botteghe Oscure e Piazza del Gesù (dove avevano sede rispettivamente il PCI e la DC). Della strage di via Fani e dell'omicidio Moro furono accusati e processati 14 brigatisti, la maggior parte dei quali oggi è in regime di semilibertà.
Inchieste giornalistiche successive fecero emergere il possibile coinvolgimento nella vicenda di altri soggetti, tra cui la loggia P2, la rete clandestina della NATO e i servizi segreti di diversi paesi. A supportarle gli innumerevoli ritardi e punti oscuri nelle indagini svolte all'epoca dei fatti e alcuni aspetti nella dinamica del sequestro e della prigionia, secondo alcuni, non riconducibili al modus operandi tipico delle Brigate Rosse.

-Inaugurato il traforo del Gran San Bernardo: Una delle prime grandi opere del miracolo italiano fu la galleria di quasi 6 km che metteva in collegamento la Valle d'Aosta con il cantone svizzero del Vallese. Il primo traforo autostradale attraverso la barriera alpina aprì un fondamentale varco verso l'Europa.
In pieno boom economico, l'Italia aveva iniziato dalla fine degli anni Cinquanta un'ampia serie di interventi infrastrutturali, atti a potenziare la rete di collegamenti tra Nord e Sud e con il centro Europa. In particolare, si puntò a migliorare le vie di comunicazione con la Svizzera, fino a quel momento concentrate per lo più sulle gallerie ferroviarie del San Gottardo e del Sempione, inaugurate rispettivamente nel 1882 e nel 1906.
I governi delle due nazioni confinanti raggiunsero un accordo per aprire un passaggio nel versante valdostano delle Alpi, nello specifico attraverso il valico del Gran San Bernardo. Il progetto prevedeva la realizzazione di un tunnel autostradale lungo 5.798 metri, che metteva in collegamento i comuni di Saint-Rhémy-en-Bosses (distante 20 chilometri da Aosta) e di Bourg-Saint-Pierre, nella Svizzera vallese.
I lavori, affidati all'ingegnere piemontese Giorgio Dardanelli (figura storica dell'urbanistica di quegli anni), partirono nel 1958 e furono portati a termine sei anni dopo. Nel corso degli stessi rimase impresso nella memoria l'incontro tra le due squadre di minatori impegnate nell'opera: il 5 aprile del 1963, caduta l'ultima parete di roccia, italiani e svizzeri s'incontrarono a metà strada, nel cuore della montagna.
Esattamente un anno dopo, la mattina di giovedì 19 marzo, il tunnel del Gran San Bernardo fu inaugurato alla presenza delle massime autorità italiane ed elvetiche. Si trattava del primo traforo stradale alpino (il secondo fu il Traforo del Monte Bianco, completato nel 1965), rivestito da uno spesso strato di cemento armato e strutturato in un'unica carreggiata, con due corsie di marcia a doppio senso. I veicoli che vi transitavano erano tenuti al pagamento di un pedaggio, calcolato in base alle diverse tipologie.
Nei decenni successivi emersero diverse criticità in merito all'affidabilità dei trafori alpini, in generale e solo dopo la tragedia dell'incendio scoppiato nel 1999 all'interno della galleria del Monte Bianco (che causò la morte di 39 persone), si adottarono misure di sicurezza più stringenti, avviando la realizzazione di una "galleria di servizio e sicurezza" e garantendo un migliore addestramento del personale di soccorso.
Rimasta negli anni una cruciale via di comunicazione con l'Europa, il traforo del Gran San Bernardo festeggiò, il 25 giugno del 2010, uno storico traguardo: il transito del 25.000.000° utente, premiato con il pedaggio gratuito e un cesto di prodotti tipici delle due sponde alpine, insieme con il 24.999.999° e il 25.000.001°. In quell'occasione si fece un bilancio complessivo di 46 anni di attività, evidenziando che in quest'arco di tempo avevano imboccato il tunnel oltre 22 milioni di auto e più di 2 milioni di camion.

-Pietro Mennea: Nato a Barletta, è stato un atleta, politico e saggista italiano, morto a Roma il 21 marzo 2013. Pietro Paolo Mennea è stato campione olimpico dei 200 metri piani a Mosca 1980 e detentore del primato mondiale della specialità dal 1979 al 1996 con il tempo di 19"72, tuttora primato europeo. Il suo 10"01 sui 100 metri, stabilito a Città del Messico il 4 settembre 1979, è rimasto record italiano fino al 22 giugno 2018 quando il ventenne Filippo Tortu ferma il cronometro a 9'99, primo italiano a scendere i dieci secondi.
Nella storia dell'atletica leggera "la Freccia del Sud" è l'unico duecentista ad essersi qualificato per quattro finali olimpiche consecutive. Il suo medagliere è completato da due bronzi olimpici, un argento e un bronzo ai Mondiali, tre ori, due argenti e un bronzo agli Europei.
Dopo aver appeso le scarpe chiodate, ha svolto attività politica (parlamentare europeo dal 1999 al 2004) e ha scritto molti saggi di vari argomenti. Ha esercitato le professioni di avvocato e commercialista avendo conseguito quattro lauree.

-Ugo Tognazzi: Pioniere della comicità televisiva e attore di eccelsa versatilità, sul grande schermo è stato il "conte" della commedia all'italiana.
Nato a Cremona e scomparso a Roma nell'ottobre del 1990, esordì al cinema nel 1950 ne "I cadetti di Guascogna", accanto a Walter Chiari. L'incontro con un altro comico diede un'impronta decisiva alla sua carriera artistica: con Raimondo Vianello formò una coppia perfetta, consacrata dal varietà RAI Un due tre (1954-60).
Abile ad interpretare i personaggi più disparati, per lo più legati alla Bassa Padana, lasciò importanti tracce nella commedia con i film "Sua eccellenza si fermò a mangiare" (accanto a Totò), "I mostri" di Dino Risi, "L'immorale" (che gli valse il primo David di Donatello come "miglior attore protagonista"), fino al capolavoro insuperabile di Amici miei (di cui recitò anche i due sequel).
Non meno apprezzate le sue performance drammatiche, da "Io la conoscevo bene" (con cui vinse un Nastro d'argento) a La tragedia di un uomo difficile di Bernardo Bertolucci, che gli fece conquistare la Palma d'oro al Festival di Cannes del 1981. Appassionato di cucina, pubblicò un libro di ricette, L'Abbuffone, e fece da consulente a diverse rubriche culinarie in TV e sulla carta stampata.
I figli Thomas, Ricky, Gianmarco e Maria Sole sono tutti impegnati nel mondo del cinema, come attori, registi o produttori.

-La Cina mette fine all'indipendenza del Tibet: Il popolo tibetano ha vissuto per secoli in autonomia sul tetto del mondo, tra spiritualità e lavoro della terra. Un clima di libertà e di quiete infrantosi contro le mire espansionistiche della più grande repubblica socialista di sempre, che con la forza continua a tenere prigioniero quel popolo.
Dal punto di vista politico rimane invariata nei secoli la forma di teocrazia che vede al vertice della piramide buddista il Dalai Lama (espressione formata dalla parola mongola dalai, che significa "oceano", e dalla tibetana lama, traducibile con "maestro spirituale", da qui la traduzione più usata di "oceano di saggezza"). Alla sua morte, il Panchen Lama, il Reting Rinpoce e altri monaci qualificati si mettono alla ricerca della sua reincarnazione, guidati da presagi e sogni.
Riacquistata l'indipendenza nel 1911 dalla dinastia mancese, il Tibet ritorna dopo la Seconda guerra mondiale nelle mire della Cina, che nel frattempo ha visto cadere il secolare impero sotto la spinta rivoluzionaria socialista e instaurarsi la Repubblica popolare dal 1° ottobre del 1949. Il neo presidente cinese Mao Tse-tung annuncia la volontà di riacquisire al patrimonio della madrepatria alcuni territori, tra cui l'altopiano asiatico.
Lo scoppio della Guerra di Corea a giugno del '50 dà il pretesto al governo cinese per dare il via all'occupazione, approfittando del fatto che l'opinione pubblica è distratta dalle vicende coreane. L'invasione avviene il 7 ottobre di quell'anno, con 40mila soldati che superano facilmente la debole resistenza di 8mila tibetani male armati. Al nuovo Dalai Lama, Tenzin Gyatso, viene fatto credere, ingannevolmente, che si porterà avanti una colonizzazione pacifica.
Cambiato il nome in Xizang, le autorità di Pechino trasformano il Tibet in una colonia, spingendo migliaia di suoi cittadini a insediarsi lì e imponendo pesanti provvedimenti, tra cui la redistribuzione delle terre e una pesante tassazione sui monasteri. Parallelamente viene condotta una capillare opera di persecuzione nei confronti del clero buddista, allo scopo di annientarne il culto sotto lo sguardo indifferente dell'opinione pubblica internazionale. Ad eccezione dell'India, il resto del mondo considera l'invasione un affare interno alla Repubblica popolare socialista.
Esasperata dalle misure punitive e dagli arresti di massa, la popolazione locale finisce per ribellarsi, sostenuta sotto banco dalla CIA. L'epilogo è drammatico: il 28 marzo del 1959 l'esercito cinese reprime nel sangue la ribellione e decreta la fine dell'indipendenza del Tibet, costringendo all'esilio il Dalai Lama. Il bollettino finale parla da solo: 80mila vittime (tra cui donne bambini) e 300mila profughi, accolti in maggioranza dalla vicina India.
Nei decenni a seguire si verificano frequenti iniziative di protesta dei monaci buddisti, molti dei quali arrivano all'estremo gesto di darsi fuoco in strada, per protestare contro l'occupazione cinese. Negli stessi anni, Tenzin Gyatso, riconosciuto capo del governo tibetano in esilio, è impegnato a portare nei diversi paesi il messaggio buddista e a sensibilizzare l'opinione pubblica sulle condizioni dei suoi connazionali rifugiati. Per la sua protesta non violenta, nel 1989, gli viene assegnato il Nobel per la Pace.
Nel tentativo di riscrivere la storia in maniera propagandistica, la Cina annuncia nel 2009 che il 28 marzo sarà celebrato come "Giorno dell'emancipazione degli schiavi", rivendicando il merito di aver liberato i tibetani dalla schiavitù teocratica, rappresentata dal Dalai Lama. La decisione scatena indignazione e proteste soprattutto tra i monaci buddisti, in centinaia messi agli arresti dall'esercito occupante.

-Esce nelle sale "2001: Odissea nello spazio": «In questo filone, il capolavoro è "2001: Odissea nello spazio", uno dei miei film preferiti, in cui tutto è scientificamente esatto e immaginato partendo dal possibile. È veramente l'apice della fantascienza». Il lusinghiero commento del padre di "Guerre Stellari", alias George Lucas, rende giustizia all'opera di Kubrick, che ancora oggi conserva la sua valenza di ritratto di una società futuribile.
Dopo aver scandalizzato il pubblico americano con Lolita e sbeffeggiato il clima destabilizzante della "guerra fredda" (che in quel periodo dominava la scena politica mondiale), verso la fine degli anni Sessanta il regista statunitense Stanley Kubrick (figlio di ebrei polacchi) si orientò verso il filone fantascientifico, nel momento in cui quest'ultimo iniziava ad uscire dalla dimensione di genere di "serie B", per acquisire, grazie a colossal come Il pianeta delle scimmie, una forte valenza metaforica.
Colpito dal racconto "La sentinella" dello scrittore britannico Arthur C. Clarke, Kubrick lavorò con lui alla sceneggiatura creando un'inedita sinergia tra la nuova pellicola e l'omonimo romanzo che lo stesso Clarke pubblicò successivamente. Ne uscì la trama di una favola apocalittica sul destino dell'umanità, all'inizio del XXI secolo.
La storia comincia agli albori della civiltà terrestre, con un gruppo di ominidi che, in seguito alla comparsa di un monolito nero (un blocco massiccio di pietra) di origine extraterrestre, sembra avvertire i segni di una prima evoluzione. Con un salto temporale di oltre quattro milioni di anni, la scena si sposta nello spazio, dove un altro "monolito", simile al precedente, viene rinvenuto su una base lunare, che si attiva ed invia un segnale radio verso Giove. Viene mandata un'astronave ad indagare e durante il viaggio verso il pianeta avviene lo scontro tra l'equipaggio e l'intelligenza artificiale HAL, destinato a diventare un tema cardine di tutta l'opera.
Dopo quattro anni di lavorazione e un investimento di 10 milioni di dollari per produrlo, 2001: Odissea nello spazio debuttò in prima assoluta all'Uptown Theater di Washington, il 2 aprile del 1968. Le oltre due ore di pellicola spiazzarono completamente il pubblico, abituato a un'idea totalmente diversa di fantascienza. La critica ne fu subito entusiasta, arrovellandosi sulle molteplici chiavi di lettura del film.
Il giudizio unanime fu di ritenerlo una cesura epocale nel genere fantascientifico e nel cinema in generale, a cominciare dagli effetti speciali. Tutto era stato studiato nei minimi dettagli e l'ambientazione nello spazio ricreata da Kubrick era scientificamente inappuntabile, per gli stessi esperti della NASA. Dall'assenza di gravità al silenzio avvolgente, rotto soltanto dalle note maestose di "Così parlò Zarathustra" di Richard Strauss, che divenne un tratto distintivo del film.
La sua carica rivoluzionaria, rispetto ai tempi, non si fermava qui. Prima ancora che Neil Armstrong mettesse piede sulla luna e il pc ed internet sconvolgessero la vita delle persone, Kubrick invitava alla riflessione sul rapporto tra l'uomo e l'intelligenza artificiale e sull'utilizzo della scienza, prefigurando scenari apocalittici, tutt'oggi considerati futuribili, nonostante il 2001 sia passato da tempo.
Accanto a questi temi c'è quello sempreverde, presente nella filosofia di ogni epoca, del legame tra l'uomo e la dimensione spazio-tempo, magistralmente simboleggiato dalla "scena madre" del film: l'ominide che lancia verso l'alto un osso, che diventa una sorta di ellisse temporale, proiettando la scena 4 milioni di anni dopo e prendendo le sembianze di un'astronave.
Premiato con l'Oscar per gli effetti speciali (su quattro nomination ricevute), 2001: Odissea nello spazio incassò complessivamente 56.715.371 dollari. Considerato una pietra miliare del cinema di sempre, ispirò generazioni di registi del genere fantascientifico.

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