#335 - 9 settembre 2023
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Cinema

Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Gustaf Grundgens

I dimenticati, 99. Gustaf Grundgens
Di

Virgilio Zanolla

Gustaf Grundgens

È apparso in quasi trenta film, alcuni dei quali firmati da registi di tutto rispetto come Max Ophüls, Curtis Bernhardt, Géza von Bolváry, Carl Froelich, quando non di primissimo piano come Fritz Lang, eppure la fama di Gustaf Gründgens è legata in massima parte al teatro, dove viene considerato uno dei più eminenti attori tedeschi del Novecento; poiché in Italia è quasi sconosciuto, gli dedichiamo volentieri questo profilo.

Primo dei tre figli di Arnold Hubert, impiegato di commercio, e della moglie Maria Wilhelmine Emilie Rophol detta Emmi, Gustaf Heinrich Arnold era nato a Düsseldorf il 22 dicembre 1899. Studiò al Gymnasium Oberkassel (oggi Comenius-Gymnasium) e al Gymnasium zu Mayen (oggi Megina-Gymnasium Mayen) della sua città, e nella Pasqua 1917, promosso, lasciò la scuola secondaria superiore per lavorare come apprendista commerciale; ma dopo soli tre mesi, nell’autunno, col paese in guerra venne arruolato nell’esercito. Riuscì tuttavia a non farsi mandare a combattere: fingendosi attore ottenne d’essere trasferito nel teatro di Saarlouis, sul fronte francese. L’esperienza che vi fece gli piacque moltissimo, aprendogli gli occhi su un mondo fino allora a lui sconosciuto; tanto che nel 1918, a guerra finita, dello stesso teatro - poi trasferito a Thale, nella Sassonia Anhalt - egli divenne direttore. Per formarsi come attore, nel biennio ’19-20 Gustaf studiò a Düsseldorf alla prestigiosa Accademia delle Arti Sceniche fondata nel 1905 dalla coppia Louise Dumont e Gustav Lindemann, ed ebbe quali insegnanti Paul Henckels, Peter Esser ed Elsa Dalands, che rilevando il suo «talento insolito» e il «temperamento nervoso» gli riconobbero «forti mezzi espressivi (...) abbinati a una volontà energica e ben disciplinata». La carriera teatrale di Gustaf cominciò allora, prima al Teatro Municipale di Halberstadt (1920/21), poi a quello Municipale Unito di Kiel (1921/22), quindi al Teatro di Berlino in Kommandantenstraße (1922/23) e nella stagione estiva ’23 al Kurtheater Eckernförde di Amburgo, dove esordì come regista. Nel frattempo, nel ’21 era apparso per la prima volta davanti a una macchina da presa, ricoprendo un piccolo ruolo nel film Danton del russo Dimitri Buchowetzki, tratto dal dramma La morte di Danton di Georg Büchner e interpretato da due dei massimi attori tedeschi del periodo, Emil Jannings e Werner Krauss, e dal divo sovietico Ossip Runitsch.

Nel ’23 Gustaf entrò nell’Hamburger Kammerspiele, dove il suo duttile e straordinario talento drammatico, unito ai notevolissimi mezzi tecnici di cui disponeva, ne fecero in poco tempo l’attore di punta, fino a portarlo a dirigere la compagnia. Egli approfittò del suo ruolo per ampliare il repertorio proponendo altri testi classici ma anche lavori di drammaturghi contemporanei. Nel settembre ’25 conobbe i fratelli Erika e Klaus Mann, figli del grande scrittore Thomas, dediti al teatro, lui quale autore ed entrambi, occasionalmente, come attori; l’occasione era l’allestimento di Anja ed Esther, un dramma in sette quadri che costituiva la prima opera teatrale scritta da Klaus, assai audace per i tempi, trattando in modo esplicito il tema dell’omosessualità; del lavoro, che suscitò un certo scandalo, erano interpreti Gustaf (col nome mutato in Gustav nell’ortografia), Klaus, Erika, e la fidanzata di Klaus, Pamela Wedekind. In quelle settimane, Gustaf si fidanzò con Erika, perciò la sinergia scenica delle due coppie apparve naturale: in realtà, poiché i quattro protagonisti dello spettacolo erano tutti gay o bisessuali, si hanno fortissime ragioni di credere che di là dall’immagine ufficiale le vere coppie fossero quelle costituite da Gustaf e Klaus e da Erika e Pamela. Il 24 luglio 1926 il nostro attore sposò Erika, e gli stessi lavorarono ancora assieme nel ’27 nella Revue zu Vieren, una rivista sempre scritta da Klaus e ancora incentrata sul tema dell’omosessualità, la quale tuttavia non riscosse grandi consensi critici, tanto che Gustaf decise di rinunciare alla tournée prevista in Germania e Danimarca.

Nel ’28 iniziò a lavorare nel Deutsches Theater di Berlino, diretto dal grande Max Reinhardt; quell’anno colse un grande successo in Die Verbrecher di Ferdinand Bruckner, un dramma incentrato sugli abusi della giustizia penale. Occupandosi di spettacolo a tutto tondo, Gustaf ottenne un ottimo esito anche quale regista d’opera e di riviste di cabaret.

Il suo matrimonio con Erika finì col divorzio il 9 gennaio 1929. Pochi mesi più tardi, Gustaf tornò davanti alla macchina da presa interpretando Jean nel dramma sentimentale e musicale Casa materna (Ich glaub’ nie mehr an eine Frau, 1930) di Max Reichmann. Ad esso seguirono, sempre nel ’30, la commedia gialla Hokuspokus di Gustav Ucicky, il poliziesco Mezzanotte (Va Banque) di Eich Waschneck, dov’egli, nel ruolo di un detective privato, fu promosso protagonista accanto a Lil Dagover, il drammatico L’incendio dell’opera (Brand in der Oper) di e con Carl Froelich, che consolidarono il prestigio cinematografico di Gründgens, mentre ad accrescere ulteriormente la sua fama sul palcoscenico contribuirono i successi ottenuti come attore nella farsa Viktoria di William Somerset Maugham, diretto da Reinhardt, e come regista con Menschen im Hotel di Vicki Baum, la stessa opera dalla quale, nel ’32, Edmound Goulding avrebbe tratto il celebre film Grand Hôtel, con Greta Garbo, Joan Crawford, John e Lionel Barrymore.

Quegli anni furono per Gustaf i migliori della carriera; basti dire che nel ’31 apparve in cinque film: fu Robespierre in una nuova versione del Danton ad opera del regista Hans Behrendt, uno sconosciuto ne Il ratto di Monna Lisa (Der Raub der Monna Lisa) di Géza von Bolváry, il re Federico Guglielmo III di Prussia in Luise, Königin von Preußen di Froelich, accanto a Henny Porten, Karl August von Wartenberg ne Il generale York (Yorck) di Ucicky, e soprattutto, lo scassinatore Schranker, astuto e spietato capo criminale, in M - Il mostro di Düsseldorf (M - Eine Stadt sucht einen Mörder), il primo film sonoro di Fritz Lang, considerato uno dei capolavori dell’espressionismo nella settima arte.

Data al 1932 il suo ingresso nel Staatliches Schauspielhaus di Berlino, dove esordì nel ruolo di Mefistofele nel Faust di Goethe, ottenendo un successo sbalorditivo per le tinte allucinate con cui dipinse il suo personaggio. Quello straordinario esito segnò per Gustaf la rottura coi fratelli Mann, che a dispetto del divorzio da Erika aveva continuato a vedere, frequentando spesso gli stessi posti, come ad esempio il cabaret Jockey Bar, uno dei luoghi più culturalmente indipendenti della capitale germanica negli anni della cosiddetta repubblica di Weimar. Sia Klaus che Erika erano fermamente antinazisti, sicché dopo l’avvento al potere di Hitler quale nuovo cancelliere della Germania, nel marzo del ’33 si rifugiarono in Svizzera; Gustaf non era nazista, ma giusto quell’anno, per il tramite dell’attrice Emmy Sonnemann aveva conosciuto l’allora fresco Ministro-Presidente del Reich Hermann Wilhelm Göring, suo fidanzato e poi marito, che l’aveva accolto tra i suoi protetti: così s’iscrisse al partito e l’anno successivo lo stesso Göring lo fece nominare intendente dello Staatliches Schauspielhaus. La mossa non piacque a Joseph Goebbels, ministro della Propaganda e acerrimo antagonista di Göring, che per screditare Gustaf rese pubblica la sua omosessualità. Quest’ultimo rassegnò le dimissioni, ma esse vennero respinte dal Ministerpräsident. Per tacitare le voci sul suo orientamento sessuale, nell’estate del ’36 Gründgens sposò la bella attrice Marianne Hoppe, già sua partner quale Margherita nel Faust.

La direzione dello Staatliches Schauspielhaus gli garantiva una discreta libertà d’azione nella scelta dei testi da rappresentare, che costituivano la sua vera gratificazione artistica, giacché il cinema, nonostante qualche ruolo apprezzabile - come in Amanti Folli (Liebelei, 1933) di Max Ophüls, tratto dall’omonimo dramma di Arthur Schnitzler, dove Gustaf vestì i panni del barone von Eggersdorff - non gli proponeva da tempo personaggi di caratura. Tuttavia, certo presentendo il vortice di pericolose frequentazioni politiche dal quale minacciava di essere assorbito, nel ’36 egli aveva tentato di fuggire alle sue responsabilità recandosi in Svizzera; ma la nomina al consiglio di stato prussiano lo richiamò a Berlino, dove nel ’37 quella a direttore generale dei teatri della capitale, che mantenne fino al 1945, lo inchiodò al suo incarico.

Torniamo però all’anno precedente: perché in autunno, dal suo esilio di Amsterdam, Klaus Mann pubblicava il suo secondo romanzo, con una tiratura di 2.500 copie, Mephisto: Roman einer Karriere. Protagonista di questa sferzante satira, facilmente distinguibile dietro il nome di Hendrik Hofgens, era lo stesso Gustaf: un artista opportunista, pervaso di fortissima ambizione e sete di potere, la cui rapida carriera nella Germania nazista veniva facilitata da der Dicke (il ciccione: Göring), der Hinkende (lo zoppo: Goebbels) e das Schnurrbärtchen (baffetto, Hitler). Gründgens riuscì facilmente a farne proibire stampa e diffusione nei territori del Reich, e nonostante le insistenze dell’autore, perfino nel dopoguerra - quando gli antichi protettori nazisti erano ormai riconosciuti efferati delinquenti ed egli stesso ebbe le sue gatte da pelare - tra timori e diffide non si trovò un editore tedesco disposto a darlo alle stampe, finché nel 1956 non venne pubblicato in sessantamila copie dalla casa editrice Aufbau di Berlino Est.

Gustaf continuò a lavorare anche nel cinema, dove diede ottima prova di sé nella pellicola storico-musicale Tanz auf dem Vulkan di Hans Steinhoff (’38), del quale è nota la canzone Die Nacht ist nicht nur zum Schlafen, da lui intonata. Nel ’33 aveva diretto il suo primo film (Eine Stadt steht kopf, una satira ispirata dalla commedia di Gogol L’ispettore generale), nel ’37 diresse il secondo, la commedia Capriolen, che interpretò accanto alla moglie Marianne Hoppe; seguì Liebe im Gleitflug (’38), tratto dal romanzo Effi Briest di Theodor Fontane, prodotto dalla storica Terra-Filmkunst, da lui parzialmente rilevata e diretta, presso la quale nel ’41 realizzò assieme al regista Traugott Müller Senza gloria (Friedemann Bach), una biografia del compositore Wilhelm Friedemann Bach (interpretato dallo stesso Gründgens), secondogenito del sommo Johann Sebastian, che soffocato dalla fama del padre finì per morire in miseria: in cui molti videro una sorta di sottile risposta al Mephisto di Mann. Nel febbraio 1943, dopo l’incitamento di Goebbels alla «guerra totale», Gustaf si arruolò come volontario e venne inviato nei Paesi Bassi allora occupati; ma un anno dopo Göring lo richiamò a Berlino.

Nel ’45, catturato dai russi, venne incarcerato nel campo speciale di Jamlitz, dove, scambiato inizialmente per un generale, rischiò la morte e subì varie torture (prima lo lasciarono per giorni nella neve indossando abiti leggeri e con un sacco di patate in testa, poi lo posero a testa in giù nel sidecar di una motocicletta e lo portarono così in giro per la città). Grazie all’intercessione di un collega attore sovietico venne infine riconosciuto e rilasciato. Nei processi di ‘denazificazione’ tedeschi molti colleghi testimoniarono sulla sua estraneità ai crimini e sulla difesa che fece di attori osteggiati dal regime; egli, a sua volta, testimoniò per scagionare Emmy Göring e Veit Harlan. Gustaf riprese a recitare nel 1946; quell’anno lui e Marianne divorziarono: il loro matrimonio era da tempo considerato una copertura, tanto più che da anni lui era legato al regista teatrale Peter Gorski, suo figlio adottivo e designato quale unico erede. Quell’anno, a Cannes, Klaus Mann si suicidò con un’overdose di barbiturici Nominato nel ’47 direttore del teatro municipale di Düsseldorf, nel ’49 presidente dell’unione dei teatri germanici e nel ’55 direttore generale del Deutsches Schauspielhaus di Amburgo, con le sue scelte non convenzionali e le intelligenti riletture di molti classici Gustaf rese questo palcoscenico uno dei più autorevoli della Germania, forgiando altresì una formidabile generazione d’attori. Omaggiato nel ’53 con la Gran Croce al Merito con placca, nel ’60 interpretò nuovamente il personaggio di Mefistofele nel film Faust, che - non accreditato - diresse con Gorski e che assieme all’Henry St. John della commedia musicale Das Glass Wasser di Helmut Käutner costituì la sua ultima fatica cinematografica. Tre anni dopo, il 7 ottobre 1963, mentre si trovava nelle Filippine, a Manila, nel corso d’una tournée teatrale, egli morì, con ogni probabilità suicida, per un’emorragia allo stomaco causata da un’overdose di sonniferi, all’età di sessantadue anni, nove mesi e quindici giorni. È sepolto ad Amburgo, nel cimitero di Ohlsdorf.

La sua scomparsa scatenò una vera e propria battaglia legale tra l’editore Bertholt Spangenberg della Nymphenburger Verlag di Monaco, intenzionato a pubblicare il Mephisto in terra germanica, e Peter Gorski, l’erede di Gründgens, fieramente avverso all’iniziativa. Alla fine, nel ’71, dopo ben quattro processi, la spuntò Gorski: il verdetto emesso dalla corte costituzionale federale di Karlsruhe a tutela della dignità della persona è passato agli atti come «sentenza Mephisto» e resta valido tuttora. Gorski poté impedire la pubblicazione del romanzo, ma Spangenberg riuscì ad aggirarne il divieto pubblicando i testi di alcune sue riduzioni teatrali, andati subito a ruba. Infine, nel 1981, col suo film Mephisto, tratto dal romanzo di Mann e interpretato da Klaus Maria Brandauer, il regista ungherese István Szabó vinse il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes e l’anno seguente si aggiudicò l’Oscar quale migliore film straniero.

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