#333 - 24 giugno 2023
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 10 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Cinema

Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Lino Carenzio

I dimenticati 95. Lino Carenzio.

Di

Virgilio Zanolla

Lino Carenzio

Il cinema è bello anche perché, a dispetto del suo costante e spesso febbrile sviluppo, riesce a fermare negli occhi degli spettatori volti, scene e figure, e lo fa con assoluta democrazia, in quanto in ciascuno s’imprimono nella memoria fotogrammi e spezzoni di film che non sono necessariamente gli stessi, dove a volte, in luogo di John Wayne o Jean Gabin, le facce sono quelle di caratteristi, magari anche di secondo piano. Il personaggio di questo numero, ad esempio, che pur essendo stato un bravissimo artista dello spettacolo risulta aver preso parte soltanto a tre film, allo spettatore italiano resta praticamente ignoto: il suo nome non dice nulla, ma agli appassionati del cinema dei «telefoni bianchi» la sua fisionomia potrà forse non tornare del tutto nuova: sto parlando di Lino Carenzio.

Su di lui si hanno pochissime notizie: quelle poche, le dobbiamo quasi tutte alla solerzia di Gian Carlo Mainardi, che ne ha tratteggiato un sapido profilo sul web. Michelino [sic] Battistino Carenzio, questo il suo nome di battesimo, era nato l’11 febbraio 1907 a Belgioioso, - modesto centro agricolo situato circa a metà strada tra Pavia e Castelpusterlengo, sulla riva sinistra del Po - figlio del trentaquattrenne Felice, vetturale, e della trentenne Agostina Bescapetti (devo le informazioni su nascita, morte e genitori alla cortesia della signora Ilaria Laurenti dell’Ufficio Anagrafe cittadino). Cresciuto coltivando l’amore per lo spettacolo, Michelino alias Lino, dopo aver frequentato il liceo ottenne un impiego in un istituto bancario di Milano, e si trasferì nel capoluogo lombardo, dove per evadere dalla monotonia del lavoro e coltivare in qualche misura i suoi sogni s’iscrisse a una scuola di ballo artistico.

Più che mai in quel periodo, sul finire degli anni Venti, dire danza e musica voleva dire Parigi; era nella ville lumière che si esibivano in riviste sfavillanti i più bei nomi del mondo dello spettacolo: stelle della canzone come Mistinguett, Marie Dubas, Yvonne Printemps, Maurice Chevalier, Lucienne Boyer, Joséphine Baker, mentre il cinema, appena divenuto sonoro, si apprestava a far concorrenza ai teatri. Affascinato da ciò che leggeva e ascoltava sulle novità francesi, più che da ciò che vedeva (giacché allora non tutti i film stranieri trovavano accoglienza e doppiaggio nel nostro paese, e le tournées italiane delle compagnie di grido d’oltralpe non erano così frequenti), Lino si sentiva sempre più ‘chiamato’ dalla nazione ‘cugina’. Era un ragazzo di belle maniere, piacente e assai sveglio, molto portato per comunicare con gli altri: le amicizie giocarono un ruolo importante per lui, in quanto lo stimolarono a compiere il gran passo ed emigrare in Francia. Non più che ventenne e con pochissimi soldi in tasca, Lino si avventurò per la prima volta sul suolo francese raggiungendo Parigi, a quanto pare in autostop: ciò che allora poteva significare anche interi giorni di viaggio. All’ombra della torre Eiffel, com’è intuibile, non trovò subito lavoro nel mondo dello spettacolo, sicché per sopravvivere dové adattarsi a fare il cameriere, contentandosi di coltivare la sua passione di esibirsi in modeste compagnie teatrali.

Ebbe però fortuna, perché la sua innata eleganza nel muoversi un giorno cadde sotto gli occhi di Jeanne Bourgeois in arte Mistinguett, all’epoca la più celebre e popolare artista del teatro musicale francese. La quale, pur avendo da poco passato i cinquant’anni, conservava sempre inalterato il suo impagabile brio e lo splendore delle sue gambe (che nel 1919 erano state assicurate per la cifra record di 500.000 franchi). Poco prima, ella era stata lasciata dal suo compagno d’arte e di vita Maurice Chevalier, di tredici anni più giovane, col quale aveva convissuto un decennio. Mistinguett fu subito attratta da quel bel ragazzo nato ben trentadue anni dopo di lei, scoprendolo abile e disinvolto non solo come ballerino, anche come attore, cantante e pianista. Tra loro scoccò la scintilla, e a dispetto della differenza d’età presto essi intrecciarono una relazione sentimentale, che qualcuno suppose casta, dove Lino appariva inizialmente come un suo protégé, quando in realtà s’incaricava di sollevarla da ogni compito ingrato, occupandosi anche di vari aspetti materiali della sua presenza in scena. Nondimeno, ci volle qualche anno prima che il nome di lui comparisse finalmente con costanza e rilievo su giornali e riviste di settore, e su manifesti e locandine degli spettacoli. Nel 1933 Lino (divenuto, alla francese, Linò) entrò ufficialmente a far parte della compagnia di varietà della Revue à Grand Spectacle, la cui stella era appunto Mistinguett, lavorando nel corpo di ballo ma ottenendo via via spazio anche come cantante e attore. La sua versatilità e la sua classe non passarono inosservate, tanto che presto gli venne offerto un contratto dalla compagnia di Arthur ed Emile Schwartz. Ebrei viennesi, i fratelli Schwartz erano titolari di una compagnia itinerante di operette e riviste che, giunta in Italia nel 1929, aveva riscosso clamorosi successi con spettacoli come Donne all’inferno e Al Cavallino Bianco dati in prima al Teatro Lirico di Milano e in seguito portati in tutti i principali centri della penisola. Uno dei motivi di sì largo esito consisteva nel corpo di ballo, costituito da 48 splendide ragazze dalle gambe perfette, molte delle quali destinate a fortunati matrimoni in Italia; tra di esse si annoverano attrici di qualche notorietà anche nel cinema come Lotte Menas, Clara Tabody, Milly (Mignone) e Lina Gennari, e Lil Sweet, che fu poi la seconda moglie dell’indimenticabile Armando Falconi. Proprio al Teatro Lirico meneghino Lino si esibì con Mistinguett nell’inverno 1933-34.

Per lui erano anni d’oro. E col sentimento di orgoglioso riscatto che aveva covato per anni, volle mostrarsi anche a Belgioioso, dove tornò più volte, per presentare ai suoi familiari Mistinguett: giunsero a bordo di un’automobile americana condotta da un autista, con la ribalta abbassata: lui in trench e cravatta, lei in raffinato abito a fiori, il volto caratterizzato da grandi occhiali bianchi, in grembo un cagnetto barboncino; chi li vide in quelle occasioni, ricorda che oltre a offrire a tutti generosamente da bere, egli donava agli amici sigarette americane e dischi di canzoni. Si trattava con ogni probabilità dei motivi incisi da Lino per la Columbia italiana: possedendo una voce molto gradevole, con un tono suadente e confidenziale, ne registrò un certo numero; disgraziatamente, a causa della parziale distruzione dell’archivio Columbia per ora siamo a conoscenza di poche sue canzoni, alcune delle quali ci sono pervenute, fox-trot e brani lenti: Sono un povero cantante di jazz, Non si vive senza amore, Solo così, Pansée innamorate.

Essendo qualificato, oltreché come ballerino, quale cantante, attore, imitatore e fantasista, era inevitabile che il cinema finisse per interessarsi a lui. Il primo film nel quale apparve fu, nel 1935, il drammatico La gabbia della morte (Sous la griffe) di Christian-Jaque, con Madeleine Ozeray e Constant Demy, in cui egli interpretò José. Una fosca storia ambientata in un circo: dove il direttore, Nikita, un domatore di leoni, s’innamora di Pierrette, che ha adottato da bambina quando il di lei padre era morto sbranato da una leonessa. Ma Pierrette ama Harry, un giovane atleta; disilluso, livoroso, una sera Nikita, dopo uno scontro con quest’ultimo, tentando un pericoloso esercizio cade nella gabbia di una leonessa, che lo sbrana.

Nel film successivo, Rigolboche del ’36, ebbe finalmente una vera parte d’attore, quantunque non grande. Il regista fu ancora Christian-Jaque, la pellicola era a sfondo biografico e musicale, interpretata da Mistinguett, con André Lefaur e Jules Berry: Rigolboche, nome d’arte di Amelie Marguerite Badel, la ballerina che inventò il can-can, è anche il nome d’arte che assume Lina Bourget dopo che, persuasa di aver involontariamente ucciso un uomo durante una gita in barca, fugge da Dakar e fa ritorno a Parigi, dove rivede il figlio piccolo e aiutata dal biscazziere Bobby riprende la carriera di cantante in un café-chantant, ottenendo un clamoroso successo. Lino aveva la parte di Fredo, un guappo amante di Lina a Dakar, che appreso del successo parigino di lei torna in Francia e tenta invano di ricattarla.

Il terzo, e a quanto risulta ultimo film a cui egli prese parte, fu quello per il quale, come ho anticipato, la sua figura è rimasta impressa agli occhi di qualche cinefilo nostrano: si tratta de Il feroce Saladino di Mario Bonnard, girato nel 1937. Una sorta di commedia musicale, col grande comico siciliano Angelo Musco e la sua inseparabile compagna d’arte Rosina Anselmi, nonché l’appena diciottenne bellissima Alida Valli al suo secondo impegno davanti alla macchina da presa. La pellicola racconta la storia di Pompeo Darli, un simpatico e cialtronesco illusionista, che dopo un catastrofico insuccesso decide di puntare le sue carte sulla fresca Dora, affascinata dal mondo dello spettacolo. Mentre Dora trova per sé un insegnante di canto, Gastone, Pompeo rimedia soltanto un impiego quale venditore di cioccolatini e caramelle nel Teatro Apollo. La fortuna però gli sorride: perché una sera molte delle persone accorse allo spettacolo trovano nelle confezioni da lui comprate la rarissima figurina del «feroce Saladino», dipinta da Angelo Bioletto per il concorso della Buitoni-Perugina pubblicizzato dalla trasmissione radiofonica I quattro moschettieri, ideata da Angelo Nizza e Riccardo Morbelli e di grandissimo esito. L’incredibile trambusto che avviene in sala sarà sfruttato da Pompeo per mettere in scena una rivista che prenderà lo spunto da quell’incidente, dove egli sarà il feroce Saladino e Dora la bella Sulamita sua favorita: la rappresentazione di questo spettacolo si rivelerà un clamoroso successo facendo il tutto esaurito.

Nel film Lino ebbe la parte di Gastone, il «fine dicitore»: un disinvolto cantante e ballerino dal quale Dora è affascinata, che le insegnerà a muoversi e a cantare, la bacerà ripetutamente e la condurrà al successo nello spettacolo, cantando e danzando con lei. Inutile dire che la prestazione del Nostro fu impeccabile: nelle due scene in cui si esibì in palcoscenico, prima da solo poi con la Valli, confermò la sua versatilità dando prova di grande professionalità e genuino talento.
Dopo questi successi, la carriera di «Linò» continuo nei palcoscenici di vari teatri. Con Mistinguett, in quello stesso 1937 si esibì alle Folies Bergère in Folies en folie, in un programma fitto di grandi numeri con la partecipazione di numerose stelle del varietà tra cui, eccezionalmente, anche Maurice Chevalier.

Le notizie su Lino si rarefanno durante gli anni del secondo conflitto mondiale: come scrive Mainardi, accennando anche a certe «sue memorie» delle quali nulla ci è noto, «certamente avrà partecipato a spettacoli di varietà allestiti prima per le forze tedesche di occupazione e successivamente per gli alleati», evitando però prudentemente «di farsi fotografare con gli uni e con gli altri per non passare da collaborazionista». È un fatto che nell’immediato dopoguerra, come molti suoi colleghi dal nome spesso più illustre, egli emigrò in Sudamerica, in Argentina e in Brasile: dove lavorò certamente nello spettacolo, anche se non si sa in quali àmbiti.

Verso il ’48 tuttavia rientrò in Francia, riprendendo a esibirsi accanto a Mistinguett, che seguì in alcune tournées europee. Presto però la sua compagna di vita, che aveva passato da un pezzo i settant’anni, si ritirò dal mondo dello spettacolo; egli restò con lei fino al ’54, quand’ella si ricoverò in una casa di cura. D’altronde, nuovi tempi incalzavano e la rivista trovava ormai sempre meno spazio. Tornato a Belgioioso dagli anziani genitori, Lino trovò un impiego come interprete alla Rinascente di Milano, presso la quale lavorò una decina d’anni.

Rimasto solo per la morte dei suoi, si ritirò nel paese natale, dove per combattere la solitudine cominciò a bere: memore dei suoi trascorsi francesi s’inebriava di Pernod, che soleva gustare alla locale Locanda della Pesa; ma col tempo anche le sue finanze si ridussero pericolosamente, cosicché passò al vino bianco. Nell’inverno ’73 le sue condizioni di salute apparvero precarie, tanto da costringerlo al ricovero in ospedale; dove il 28 marzo di quell’anno si spense a causa di un edema polmonare acuto, all’età relativamente giovane di sessantasei anni, un mese e diciassette giorni.

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