#327 - 1 aprile 2023
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letteratura

L'opera nella lingua dell'Urbe

Dante

La Commedia - Canto XXV

di Angelo Zito

Ottavo cerchio, settima bolgia. Dante è sempre con Vanni Fulci
che nel precedente canto XXV aveva fatto la profezia contro i guelfi bianchi.
Adesso il dannato con le mani mostra le fiche in disprezzo verso il Signore.
Due serpenti gli si attorcigliano e lo mettono a tacere.
Invettiva di Dante contro Pistoia. In questo canto sono puniti i ladri.
La descrizione orrenda della trasmutazione dei corpi in serpenti
spinge il Poeta a scusarsi
Così vid’io la settima zavorra
mutare e trasmutare; e qui mi scusi
la novità se fior la penna abborra.

CANTO XXV

Le fiche mostrò co’ ambo le mani,
gridanno, doppo la profezia, quer ladro:
“Le dedico a te, Dio, sò tutte tue!”
Le serpi d’ora in avanti me sò amiche:
che una s’attorcijò attorno ar collo,
pe’ ffaje capí: “Devi stà zitto”,
un’artra, co’ la coda e co’ la testa,
je ‘nturcinò le braccia co’ ‘na stretta
che je bloccava ogni movimento.
Ahi Pistoia, quanno deciderai
de datte foco e scomparí dar monno,
e smorzà er male che semini, Pistoia?
Dentro ‘sti gironi nun viddi spirti
più empi de questo, manco Capaneo
che da le mura a Tebbe venne de sotto.
E se n’annò più muto de ‘na serpe;
quanno ariva un centauro, ‘n’ossesso,
che urla rabbioso: “Indove sta l’infame?”
Si giri in Maremma nun trovi tante bisce
quante ce n’ha questo sur groppone,
j’arivaveno fino su la bocca.
E piantato su le spalle, dietro ar collo,
co’ l’ali aperte, un drago sputa foco
contro chiunque se lo trovi a tiro.
“Questo è Caco”, m’avvertí er maestro,
“che ne la grotta sotto a l’Aventino
der sangue umano se ne fece un lago.
Da l’artri centauri resta separato
per furto che fece co’ l’inganno
der gregge che ciaveva dietro casa;
tutti li mali fatti ebbero fine
co’ la clava de Ercole impietosa:
cento ne diede e ne bastorno diece”.
Mentre parlava, Caco era partito
e ce raggiunsero, ar posto suo, tre spirti,
comparsi senza avecce fatto caso,
li sentimmo gridà: “Chi sete voi?” :
mettemmo fine a tutti li discorsi,
curiosi de sapé chi ereno questi.
Nun li conoscevo, ma poi succede,
come capita certe volte a caso,
uno de loro chiama ‘n’antro pe’ nnome,
dicenno: “ndove sarà rimasto Cianfa?”
subbito misi er dito ante la bocca,
p’attirà l’attenzione der maestro.
Tu che me leggi e te rimane er dubbio,
nun te meravijà che puro io,
ch’ero presente ar fatto, stento a crede.
Stavo attento a guardalli, l’occhio fisso,
che un serpente, striscianno co’ sei piedi,
s’avventa contro uno e je s’avvinghia.
Coi piedi de mezzo je s’attacca ar ventre,
co’ quelli davanti je legò le braccia
e poi j’addenta tutt’e due le guance;
allunga l’artri piedi tra le cosce,
frammezzo a quelle ce appoggiò la coda
e ne li reni, dura, la distese.
Mai se radicò l’edera su l’arbero,
avvinta come fosse un corpo solo,
de come se congiunsero le membra.
Appiccicati come la cera calla,
pure er colore se mischiò, confuso;
nun sembraveno più quelli de prima,
come la carta, prima che s’abbruci,
principia a diventà de color bruno
e passa poi così dar bianco ar nero.
L’artri dua lo guardaveno gridanno:
“Poveri noi, Àgnelo, che fine!
Nun sei più te stesso e manco un artro”
Ormai s’ereno fuse assieme le du teste,
du’ corpi apparentati su ‘na faccia,
un miscujo mostruoso d’ambedua.
E due, da quattro che ereno, le braccia;
le gambe, er ventre, er tronco accomunati,
‘n’accozzaja informe mai vista ancora.
Com’era prima: tutto cancellato;
due e nissuno parevano a vedello;
e piano piano scomparve da la vista.
Come er ramarro, quanno er sole coce
e va de corsa da ‘na siepe a l’artra,
‘na saetta a vedé sí come córe,
così sembrava coresse un serpentello
verso er ventre de quell’artri due,
livido de rabbia, nero come er pepe;
e uno lo trafisse a l’ombelico,
la prima fonte dove se nutrimo,
poi cadde per tera longo disteso.
Lo spirto ferito lo guardò in silenzio,
rigido su le gambe, sbadijava,
pareva preso dar sonno o da la febbre.
S’incroceno li sguardi tra de loro;
da la bocca l’uno, l’artro a la ferita,
cacciaveno fumo che prenneva forma.
Taccia a ‘sto punto Lucano, lo scrittore
der povero Sabello e de Nassidio,
e ascorti quanto mó te tiro fora.
E nun parli de Cadmo e d’Aretusa Ovidio;
nun sò seconno a lui che co’ li versi
trasformò l’uno in serpe l’artra in fonte;
che mai du’ corpi cambiareno natura,
l’uno a fronte de l’artro, co’ le forme
disposte a trasformasse in quarcos’artro.
Insieme s’adeguareno a l’impresa:
er serpe spaccò la coda in due,
er ferito accorpò assieme li piedi.
Le cosce tarmente appiccicate
che fra de loro nun se vedeva er segno
de dove cominciava la giuntura.
La coda cancellava la natura,
la pelle de l’uno diventava molle
quella de l’artro se faceva dura.
Le braccia s’accorciaveno a l’ascelle,
e li piedi de la bestia a l’incontrario
tanto più lunghi quanto quelle corte.
Le zampe posteriori, attorcijate,
diventorno er membro che se cela,
e da quello de l’omo uscireno du’ piedi.
Frattanto er fumo je fà cambia colore
e fà spuntà er pelo da ‘na parte
e l’artra la lascia depilata,
uno s’arzò in piedi e l’artro steso,
li sguardi furenti fissi su le facce
a guardà come perdeveno la forma.
Quello in piedi spostò l’occhi a le tempie,
e pe’ la tanta materia ch’era smossa
vennero fora l’orecchie da le guance:
e co’quella avanzata da lo scambio
se formò sopra la faccia un naso,
e gonfiò le labbra ar necessario.
Quello a tera allunga fori er muso
e ritira l’orecchi ne la testa,
come fà la lumaca co’ le corna;
la lingua ch’era intera se fà in due,
l’artra biforcuta se riassembla;
lo scambio è fatto, rimane solo er fumo.
Lo spirto ch’era diventato serpe
fugge ne la borgia sibilanno,
l’artro dietro de lui, parlanno, sputa.
Poi je vorta le spalle appena spuntate
dicenno ar terzo: “Me piacerebbe véde
che pure Buoso strisci giù per tera”.
Così viddi la trasmutazione
de ‘sti rifiuti ne la settima borgia,
e me scuso si ho scritto a la rinfusa.
L’occhi ce l’avevo indebboliti,
co’ l’animo che puro s’era smarito,
e quelli scappati quasi de nascosto,
riuscii a vedé però Puccio Sciancato;
l’unico de queli tre dannati
che nun subbí la sorte de la muta:
l’artro era chi Gaville piagne.

Dante

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