#322 - 21 gennaio 2023
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterà  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerà  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Cinema

Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro

I dimenticati - Una iniziativa di "Diari di Cineclub"

Andrea Checchi

I dimenticati, Diari di Cineclub n°84, VI 2020

Di

Virgilio Zanolla

Andrea ChecchiAndrea Checchi

Dimenticato Andrea Checchi? Un attore la cui figura ancor oggi appare spesso nei nostri schermi televisivi, nelle riproposizioni di film degli anni Quaranta e Cinquanta, dove spesso ricopre il ruolo di vilain: del fascista, del bandito, del rivale in amore o in affari che trama alle spalle di un Nazzari, di un Girotti? Ma questa è una colossale bufala!... Ebbene no caro lettore, non si tratta d’una bufala, bensì di una provocazione: perché se c’è un interprete il cui volto ci è familiare e del quale sappiamo ben poco, ignoriamo l’assoluto valore, questo è proprio Andrea Checchi.
Nato a Firenze il 21 ottobre del 1916, Andrea era figlio del fiorentino Amedeo, pittore, e della calabrese Carolina Davidica Beduschi. Amante della pittura, seguì l’insegnamento paterno, e giovanissimo s’iscrisse all’Accademia di Belle Arti della città natale, dove studiò per qualche tempo. Ma insofferente di regole ed esami e ansioso d’avventure, all’età di quattordici anni fuggì di casa e s’imbarcò come mozzo sul brigantino “Sant’Anna”, dove trascorse sei mesi viaggiando, finché un brutto giorno, nel corso d’una mareggiata un colpo di vento lo sbatté contro la sottocoffa, procurandogli una grave ferita al capo: e fu inevitabile, per lui, essere rimandato a casa.
Pur continuando ad amare la pittura, a dipingere e a disegnare caricature, egli non intendeva più seguire lezioni; così il padre, di sua iniziativa, lo iscrisse ad un corso di recitazione cinematografica che si teneva a Roma, del quale aveva letto su un manifesto per strada; era il 1932.

Andrea ChecchiAndrea Checchi

Stavolta, in Andrea la curiosità prevalse sull’istinto che l’avrebbe spinto a fuggire di nuovo: si presentò, e scoprì con sorpresa che quelle lezioni gli piacevano, quel mondo in celluloide l’interessava. Buona parte del merito la dové a uno dei suoi insegnanti, l’allora trentaduenne regista Alessandro Blasetti: il quale, stimandolo, prese a benvolerlo, tanto che due anni dopo lo fece esordire come generico in 1860, quindi gli affidò una piccola parte in Vecchia guardia (’35). Andrea sostenne modesti ruoli anche in film d’altri registi come Righelli, Campogalliani, Bragaglia, Poggioli e Max Ophüls (di quest’ultimo, apparendo ne La signora di tutti, ’34, il film che lanciò come diva Isa Miranda); e poiché nel frattempo la scuola di recitazione si era mutata nel Centro Sperimentale di Cinematografia, frequentò il corso di perfezionamento nell’annata 1937-38.

Quando riprese a lavorare davanti alla macchina da presa, le parti che gli assegnarono si fecero via via più impegnative: tra le molte, fu il tenente Binelli in Luciano Serra pilota di Goffredo Alessandrini (’38), Gentilino in Ettore Fieramosca di Blasetti (id.), Maurizio ne I grandi magazzini di Mario Camerini (’39); ma quella che l’impose all’attenzione di pubblico e critica fu il Pedro de L’assedio dell’Alcázar di Augusto Genina (’40), che gli meritò una menzione onorevole al Festival di Venezia.

Andrea Checchi

In breve egli si ritagliò un posto al sole nell’Olimpo dei giovani attori emergenti, mai tanti come in quegli anni: pescando anche qui tra le sue molte interpretazioni, nel ’41 fu Ippolito Buondelmonti ne Il re d’Inghilterra non paga di Giovacchino Forzano, con Silvana Jachino, e il fascinoso professor Marini in Ore 9 lezione di chimica di Mario Mattòli, accanto ad Alida Valli; nel ’42 fu Checco in Via delle Cinque Lune di Luigi Chiarini, con Luisella Beghi, l’allegro conducente di autobus Bruno Bellini in Avanti c’è posto... di Mario Bonnard, con Adriana Benetti ed Aldo Fabrizi, l’introverso scrittore Corrado Silla in Malombra di Soldati, in bilico tra Isa Miranda e Irasema Dilian, Nanni in Tragica notte di Mario Soldati, con Doris Duranti, e ancora con lei, Baldo Princivalli ne La contessa Castiglione di Flavio Calzavara; nel ’43 fu l’avvocato assistente di studio Fabrizio Arcieri in Tristi amori di Carmine Gallone, tratto dall’omonimo dramma di Giacosa e interpretato anche da Gino Cervi e Luisa Ferida, Giacinto Magnezio in Giacomo l’idealista di Alberto Lattuada, tratto dall’omonimo romanzo di Emilio De Marchi, con Marina Berti e Massimo Serato.

Andrea ChecchiAndrea Checchi

Pur senza essere bello, la figura alta e snella, l’espressione ponderata e scettica del volto e la sobrietà del gestire lo resero popolarissimo e assai apprezzato dal pubblico femminile: attore molto versatile, in ruoli brillanti e in ruoli drammatici, in abiti moderni o in costumi d’epoca, egli riusciva sempre a mostrarsi all’altezza, conferendo al suo personaggio, con la credibilità, anche la giusta misura di dignità e sentimento. Intanto, nel 1938 Andrea aveva preso moglie, sposando l’ungherese Erika Schwarze; coi primi soldi guadagnati nel cinema acquistò una porzione di terreno a Capri, dove nell’attuale via Tiberio fece costruire una splendida tenuta, per la quale gli sposi disegnarono l’arredamento. Dalla moglie, di cui fu sempre innamoratissimo, gli nacque l’unico figlio Enrico Roberto, che come il nonno e il padre sarebbe anch’egli diventato pittore, nonché scenografo televisivo.
Alla fine della guerra, Andrea riprese a lavorare col medesimo ritmo elevato; erano cambiate molte cose, lui stesso era diverso: maturo e consapevole, col volto che i segni del tempo avevano reso viepiù espressivo. Nel ’45 apparve in quattro film, tra cui Due lettere anonime di Camerini, accanto a Clara Calamai e Otello Toso: dove nei panni di Bruno, che reduce dal fronte russo, tornato a casa si batte contro gli occupanti tedeschi, si aggiudicò il Nastro d’Argento come migliore attore protagonista. Lattuada aveva pensato a lui per il protagonista da affiancare ad Anna Magnani nel film Il bandito (’46), ma in un secondo tempo, su suggerimento di lei, optò per il più noto Amedeo Nazzari.

Per Andrea seguirono altre grandi prestazioni in Caccia tragica di Giuseppe De Santis (’47), con Massimo Girotti, Carla Del Poggio e Vivi Gioi, ancora nei panni d’un reduce, Alberto, che la disoccupazione spinge al comando d’un manipolo di rapinatori, a dispetto dell’indole buona: una delle sue prove più incisive; in Atto di accusa di Giacomo Gentilomo (’50), con Marcello Mastroianni e Lea Padovani, nel ruolo dell’umanissimo commissario Costantini: un grande film dimenticato; in Achtung! Banditi! di Carlo Lizzani (’51), con Gina Lollobrigida e Lamberto Maggiorani, nella parte dell’eroico ingegnere di una fabbrica che viene giustiziato dalle milizie tedesche (da vedere la scena in cui viene interrogato e condotto all’impiccagione, superba per tragica essenzialità); in Altri tempi - Zibaldone n° 1 di Blasetti (’53), nell’episodio - ricco di sfumature satiriche - *Meno di un giorno*, con Alba Arnova, in cui impersonò Camillo; e ne La signora senza camelie di Michelangelo Antonioni (id.), con Lucia Bosé e Gino Cervi, dove il personaggio del produttore Gianni Franchi gli valse la Grolla d’Oro*** quale migliore attore.

Andrea ChecchiAndrea Checchi

In netto contrasto con l’attitudine declamatoria del regime fascista, la recitazione sobria e incisiva che lo caratterizzava, di pregnante modernità, nel dopoguerra apparve perfetta per le istanze naturalistiche del neorealismo. La sua aria schiva piaceva moltissimo alle donne; e pur se marito devoto, almeno una volta si ha notizia che egli ne approfittò: successe con la bellissima Constance Dowling, l’attrice americana che fu l’ultimo disperato amore di Cesare Pavese, il quale le dedicò la collana di poesie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. La Dowling aveva conosciuto Andrea nel ’49, sul set de La strada finisce sul fiume di Luigi Capuano, dove lui era il suo partner in una vicenda poliziesca e melodrammatica; la loro storia durava già da qualche mese quando nel Capodanno ’50 ella conobbe Pavese. L’attrice non corrispose il sentimento dello scrittore: lo sfruttò per farsi scrivere soggetti e sceneggiature di film da proporre, lei protagonista, a registi e produttori. Fu per questo che nel marzo di quell’anno, quando trascorsero assieme alcuni giorni a Cervinia, ospiti dei coniugi Rubino amici di Pavese, Constance non volle avere con lui rapporti intimi (anche se resta da provare che notte tempo abbandonò la sua stanza per rifugiarsi - com’è stato scritto - tra le braccia di Andrea, il quale, se presente a Cervinia, doveva trovarsi in un albergo). Poche settimane dopo Constance ripartì per gli Stati Uniti, da dove non avrebbe più fatto ritorno, e la sua liason con Andrea ebbe così fine.

Andrea Checchi

Altre prove memorabili dell’attore fiorentino furono il timido e devoto dottor Mancini di Disperato addio di Lionello De Felice (’55), con Girotti e Lise Bourdin, l’arguto gioielliere Sertinori di Parola di ladro di Gianni Puccini e Nanni Loy (’57), con Gabriele Ferzetti ed Abbe Lane, per la cui parte ottenne il Nastro d’Argento quale miglior attore non protagonista; il Francesco de L’impiegato di Gianni Puccini (’59), accanto a Nino Manfredi, Eleonora Rossi Drago e Anna Maria Ferrero; il Morello de L’assassino di Elio Petri (’61), con Marcello Mastroianni e Micheline Presle; e l’ex ministro e diplomatico fascista Dino Grandi, che impersonò con grande sapienza ne Il processo di Verona di Lizzani (’62), con Silvana Mangano, Frank Wollf, Vivi Gioi e Salvo Randone.
Da divo ch’era stato fino ai secondi anni Quaranta, era ormai passato a parti di comprimario e caratterista, ancorché di grandissimo lusso.
Nei ruoli di vilain, poi, era insuperabile nel conferire dignità ai personaggi, i quali spesso si facevano guastare per superficialità e fiacchezza d’indole: come l’Antonio di Appassionatamente di Gentilomo (’54), accanto a Nazzari, Myriam Bru e Vera Carmi, o come l’Alberto Serpieri de L’intrusa di Raffaello Matarazzo (’56), ancora con Nazzari e con Lea Padovani.

Andrea Checchi

Negli anni Cinquanta Andrea lavorò anche in teatro (dove tra l’altro nel ’59 fu un ottimo Marito in Girotondo di Arthur Schnitzler) e nei Sessanta e i primi Settanta molto in televisione, disegnando personaggi indimenticabili come l’Ivan Mironov de La figlia del capitano di Leonardo Cortese, tratto dall’omonimo romanzo di Puškin (’65), il Perry Lascoe di Al calar del sipario di Noël Coward, per la regia di Roberto Sartarelli (’66), e il Robert Fenwick di E le stelle stanno a guardare... di Anton Giulio Majano, tratto dall’omonimo romanzo di Cronin (’71). Alternava le non molte pause lasciategli dalla professione dividendosi con la sua famiglia tra Anzio e Capri, e non stancandosi mai di dipingere: propose con successo i suoi quadri in varie mostre personali. Del suo mestiere d’attore non era gran che soddisfatto: nel ’68, al lettore d’una rivista che gli chiedeva cosa gli fosse mancato per diventare un Mastroianni rispondeva con onestà: «Io non ho mai amato il lavoro che ho fatto. (...) L’ho fatto fin da ragazzo perché mi ci sono trovato, per motivi di pigrizia, di «oblomovismo» per dirla col nome del più celebre dei pigri e degli apatici della letteratura mondiale, quell’Oblomov del russo Ivan Gonciarov. (...). Ho fatto l’attore pensando sempre che fosse un ripiego, in attesa del giorno in cui mi sarei messo esclusivamente a dipingere. E non l’ho mai curata a fondo, dunque, la mia professione. E se qualche volta l’ho fatto con successo, ciò è per due motivi: primo, non sono stupido, secondo, ho un certo istinto, buon istinto per fare l’attore; e terzo, debbo aggiungere, sono stato ben guidato. Perché se ho fatto dei buoni film, lo devo soltanto a dei grossi registi. Altrimenti, lasciato a me stesso, io sono crollato nelle posizioni più misere. Ho amato il mio mestiere, signor Mantovani, sa quando? Quando mi ha portato in giro per il mondo: in Russia, in Inghilterra, in Francia, in Africa, in America. L’ho amato perché mi ha fatto vedere mondi che nella mia pigrizia non avrei probabilmente mai visto». Affermazioni insospettabili da parte di un attore che prestò la sua figura in oltre centocinquanta film.

Andrea Checchi

Nel cinema, l’ultimo suo personaggio di rilievo fu un soldato della Vecchia Guardia napoleonica nel colossal Waterloo di Sergej Bondarčuk (’70); in tv, il Creonte de La lunga notte di Medea di Corrado Alvaro per la regia di Maurizio Scaparro, che la Rai mandò in onda due mesi dopo la sua morte. Nel febbraio del ’74 Andrea venne colpito da una malattia autoimmune allora incurabile, la poliarterite nodosa: dopo un breve inutile ricovero in una clinica specializzata di Ginevra fece ritorno a Roma, dove il 29 marzo si spense all’ospedale Salvator Mundi: aveva cinquantasette anni, cinque mesi e otto giorni.

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