#306 - 7 maggio 2022
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Racconto

Cher Ami

Storia di un'eroina

di Ruggero Scarponi

Racconto ispirato alla vera storia del piccione viaggiatore Cher Ami (un esemplare femmina) che grazie al suo eroismo contribuì a salvare 194 soldati della 77ma divisione di fanteria degli Stati Uniti d’America nella battaglia delle Argonne, la più sanguinosa mai combattuta dalle truppe americane, nel novembre del 1918.

Cher Ami conosceva molto bene i campi di battaglia. Durante le terribili giornate dell’autunno 1918 si coprì di gloria recapitando ben 12 messaggi da Verdun a Rampont, sfidando le pallottole dei fucili, delle mitragliatrici e gli artigli dei falchi intercettori. Ma fu proprio l’ultima missione a dargli quella fama imperitura che ancora oggi ne fa uno degli animali più celebri e straordinari tra quelli impiegati nei teatri di guerra di tutto il mondo.

Nel novembre del 1918, a pochi giorni dalla cessazione delle ostilità, si affrontano nel nord della Francia tra le Ardenne e le Argonne, le truppe alleate, composte da francesi, inglesi e statunitensi e le truppe tedesche, saldamente arroccate sulla linea Hindenburgh. È un enorme spiegamento di uomini, più di trecentomila, distribuiti lungo il confine tra la Francia e il Belgio.
La 77ma divisione americana, nel settore delle Argonne, al comando del generale John J. Pershing riceve l’ordine di avanzare per conquistare un’importante posizione nemica.
Il campo di battaglia è scosceso e reso scivoloso dal fango prodotto dai numerosi corsi d’acqua che l’attraversano. Si avanza con difficoltà senza avere una chiara visione delle difese nemiche che si nascondono negli avvallamenti naturali.
A prezzo di notevoli perdite l’unità penetra profondamente nello schieramento tedesco senza avvedersi, però, di essere completamente sguarnita sui fianchi. Errore dovuto all’errata percezione di Pershing di essere assecondato nell’avanzata da altre formazioni alleate.
Durante la manovra, un battaglione comandato dal maggiore Whittlesey, finisce circondato dai nemici. Per colmo di sventura, poi, mancando i collegamenti con il comando strategico dell’operazione, subisce il bombardamento della stessa artiglieria alleata, ignara della sua posizione. Successivamente, la cinematografia e la letteratura esalteranno le gesta del battaglione con un libro e un film dal titolo, Il battaglione perduto.
Dopo due giorni di feroci combattimenti, degli oltre 500 uomini componenti l’unità americana, ne restano solo 194 in grado di combattere. Il tentativo di inviare staffette e messaggeri con il compito di far cessare il fuoco amico dell’artiglieria che sta martellando lo sfortunato battaglione, viene frustrato dagli implacabili cecchini tedeschi che non risparmiano nessuno dei volontari che tentano di raggiungere le linee alleate. Scoraggiato Whittlesey ricorre a un rimedio estremo e imponderabile. Ordina, infatti, al soldato Enoch Clifford, specializzato nell’ addestramento dei piccioni viaggiatori, di liberare un volatile con il compito di recare un messaggio di soccorso al comando.
Purtroppo, dopo essersi levato in volo, il piccione non riuscirà a percorrere che poche decine di metri, schiantandosi sulla trincea americana, crivellato di colpi.
Stessa sorte viene riservata ad un secondo piccione.
Non resta che un ultimo volatile: Cher Ami.

I cecchini tedeschi attendono pazienti. Intuiscono che gli americani lanceranno almeno un altro piccione. E, infatti, Cher Ami, appena liberato, si lancia come sempre verso la meta, la colombaia da dove è stato prelevato qualche tempo prima.
Ma anziché fare quello che tutti si aspettano e cioè sollevarsi in altezza il più possibile per raggiungere la quota da dove seguire la pista che lo porterà a casa, si lancia in una folle rincorsa verso la trincea nemica, a volo basso, quasi fosse un goffo gallinaccio.
Gli americani sono sgomenti. I tedeschi, invece, per quanto sorpresi dalla mossa imprevista del piccione, sghignazzano divertiti, immaginando che il pennuto, terrorizzato dal clamore della battaglia, abbia completamente perso l’orientamento senza sapere più da quale parte andare.
Ma si sbagliano tutti, naturalmente. Cher Ami, che l’esperienza maturata sui martoriati campi intorno a Verdun ha saputo trasformare in istinto, dopo aver superato il terreno che lo separa dalla trincea tedesca, con un colpo d’ala sfreccia quasi irridente sopra le teste dei nemici, per sollevarsi rapido, in quota, fin quasi a rischiare di finire in stallo. La manovra, assai spregiudicata, per il rischio di precipitare a causa della perdita di portanza sull’ala, gli ha evitato il tiro dei cecchini, come, invece, non è stato per i suoi sfortunati compagni.
Centrare un piccione in volo, alla quota di duecento o trecento metri, risulta estremamente difficile e Cher Ami ne approfitta, prima con una lunga virata e successivamente con una cabrata in verticale, che gli consente di schivare le rabbiose scariche della fucileria nemica.
Poi, tra lo stupore degli americani e dei tedeschi, increduli che un volatile dal cervello notoriamente minuscolo sia riuscito in un’azione tanto scaltra, dopo aver compiuto una serie di spericolate acrobazie, si avvia a percorrere la strada di casa.

Ma proprio adesso che sembrava fatta, un colpo lo abbatte.
Cher Ami precipita e i tedeschi esultano complimentandosi con il camerata che lo ha centrato.
Gli americani, invece, osservano delusi il fallimento dell’ultimo tentativo di far giungere al proprio comando la richiesta di aiuto.
Nel vallone fangoso dove disperatamente si è asserragliato il battaglione, il maggiore Whittlesey ordina agli uomini di innestare le baionette. Ci si prepara in tal modo a vendere cara la pelle con uno scontro corpo a corpo. Il maggiore ha in mente una sortita contro la trincea nemica nella speranza di travolgerne le difese. È l’unica possibilità di rompere l’accerchiamento e uscire dalla trappola.
E, invece, un grido di gioia prorompe dai soldati americani. Cher Ami, sebbene gravemente ferito a un occhio, al petto e con una zampetta (quella a cui è assicurato il messaggio di aiuto) spezzata e tenuta attaccata al corpo soltanto da un tendine, ha ripreso il volo.
Ma ciò che più conta è che, oramai, è fuori dal tiro maligno dei cecchini e nel fumo delle esplosioni sente allontanarsi il sibilo delle pallottole, le imprecazioni dei nemici e persino i fischi d’incoraggiamento del bravo soldato Clifford, il suo addestratore.

Il piccione Cher Ami, nonostante le menomazioni riuscirà a percorrere la distanza di 45 chilometri in meno di un’ora. Al termine della missione dopo essere stato liberato del messaggio, così importante per i soldati del battaglione accerchiato, sarà accolto e curato dai veterinari dell’esercito. Riuscirà a sopravvivere fino al ritorno in America dove, decorato con la Croix de guerre e con la Oak Leaf Cluster, sarà annoverato tra gli eroi più valorosi della Prima Guerra Mondiale.
Morirà a seguito delle gravi ferite riportate, nel 1919 ma non sarà dimenticato. Chi volesse vederlo può farlo anche oggi recandosi a Washington, al Museo Nazionale di Storia Americana. Cher Ami, opportunamente impagliato e mummificato, si trova in una sala denominata, Il Prezzo della Libertà, in una bella teca a perenne memoria di un animale che seppe raggiungere i vertici del coraggio e dell’abnegazione dimostrando che tali doti non sono appannaggio del solo genere umano ma si trovano diffuse in tutto il regno animale.

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