Dalla serie di articoli dedicati a personaggi del Cinema e del teatro
Una iniziativa di "Diari di Cineclub"
Marta Toren
[Diari di Cineclub n°51, VI 2017]
Di
Virgilio Zanolla
Il pubblico italiano è sempre stato sensibile al fascino delle attrici nordiche attive sui set del nostro cinema, brave o meno brave che fossero.
Quella che presento stavolta, pur se nata in Svezia, non giunse da noi direttamente da lì, bensì dagli Stati Uniti: si trattava infatti di una di coloro che, come Greta Garbo, Ingrid Bergman e non molte altre, ebbero la fortuna di aver successo ad Hollywood.
Märta Torén (il suo cognome si pronuncia così) era nata a Stoccolma il 25
maggio 1926 da famiglia agiata: suo padre Heige era un ex maggiore
dell’esercito e terminò la carriera come responsabile pubblicitario d’un
quotidiano locale.
Dopo la morte della sorella i genitori divorziarono e Märta,
che pur sognando fin da bambina di lavorare nel mondo dello spettacolo era
frenata dalla timidezza, venne iscritta a un corso di danza della ballerina Vera
Alexandrova, presso la quale studiò fino ai quattordici anni.
Tentò poi la carriera d’attrice di prosa al Royal Dramatic Theater di Stoccolma, e si provò nel canto,
ma l’inesperienza la costrinse a ponderare i suoi passi; così, per pagarsi dei corsi
di perfezionamento s’impiegò quale dattilografa al Ministero della Difesa, dove
restò tre anni.
Il suo fascino discreto, affidato alla magia dei suoi intensi occhi azzurri, con toni cangianti dal viola al grigio e al verde, per la verità aveva già attratto l’attenzione di qualche regista cinematografico, tanto che, pur non accreditata col nome, la sua presenza è accertata nei film Rospiggar di Schamyl Bauman (1942: Märta contava solo quattordici anni), Ombyte av tåg di Hasse Ekman (’43) ed Eviga länkar di Rune Carlsten (’46).
Nel ’47, a ventun anni, ella si ripresentò al Royal Dramatic Theater e superò
finalmente la prova d’ammissione: dei 112 candidati fu una degli 8 selezionati.
Qui studiò recitazione con Anna Norris, che in precedenza aveva avuto tra i suoi
allievi anche Ingrid Bergman.
In teatro, con un onorario ridicolo, ebbe un’unica
esperienza, nella parte di un’impiegata di banca: perché nel frattempo venne
scoperta dallo sceneggiatore americano Edwin Harvey Blum, che in quelle
settimane si trovava a Stoccolma lavorando a un copione per la RKO, e cercava
un’interprete femminile quale partner del protagonista del film, Cary Grant.
Blum vide Märta sul palcoscenico, e colpito dalla sua grazia non ebbe dubbi, specie quando, trovatosela di fronte, scoprì i suoi occhi, tra i più belli mai apparsi nella storia del cinema: ma per strano che fosse, all’idea di trasferirsi ad Hollywood la sua interlocutrice non si mostrò entusiasta: forse, non si sentiva pronta a recitare in inglese, benché come molti svedesi conoscesse questa lingua. Blum allora la sottopose ad un provino del suo testo, servendosi per la parte maschile d’un funzionario della rappresentanza militare statunitense: Märta superò brillantemente la prova, e davanti ad un’allettante offerta economica non volle sottrarsi.
Quando però Blum rientrò in California, scoprì che la RKO non
era più interessata al film, ma le subentrò la Universal-International, offrendo
all’esordiente attrice un contratto settennale.
Nel maggio ’47 Märta giunse ad Hollywood, e si trovò spaesata davanti alle
regole dello show-business, che pretendevano si mostrasse in giro in compagnia
di finti fidanzati.
Nel ’48 lavorò in due film, Casbah di John Berry e La legione
dei condannati di Robert Florey, nel secondo dei quali cantò anche una canzone.
Perfezionista, si applicava molto per superare le difficoltà dovute alla parlata americana, lo slang, e la sua recitazione registrò infatti sensibili progressi nei successivi Trafficanti di uomini di Frederick de Cordova e Spada nel deserto di George Sherman, entrambi del ’49. Ebbe anche l’onore di apparire su una copertina di “Life” in una magnifica foto. Nel frattempo, frequentava alcuni personaggi del bel mondo, come l’attore Howard Duff e l’uomo d’affari Huntington Hartford II, ed ebbe una relazione con l’impresario di Broadway Lars Nordensen, interrotta per gli impegni cinematografici.
Nel ’50 lavorò in quattro film: Appuntamento con la morte di Hugo Fregonese, K2 - Operazione controspionaggio di George Sherman, Il deportato di Robert Siodmark e Il sottomarino fantasma di Douglas Sirk; per il terzo, una vicenda ispirata alla vita del boss Lucky Luciano con Jeff Chandler quale protagonista, si trasferì in Italia, giacché il film fu girato per buona parte in Colle Val d’Elsa, con la presenza di molti attori italiani.
A Roma ella conobbe il ricco conte Silvio Sportzatti, che preso di lei più tardi la seguì ad Hollywood. Frequentò poi anche Peter Lindstrom, ex marito della sua collega e conterranea Ingrid Bergman, e il costumista Bill Thomas. Ma nelle storie sentimentali dell’attrice è difficile discernere la verità dall’invenzione giornalistica: - Sono un’attrice, non una pin- up - affermò spesso.
Nel ’51, perplessa per le scialbe parti che le offrivano, ruppe amicamente il
contratto con l’Universal, firmandone uno con la Columbia per due film
all’anno; quello interpretato allora fu Damasco ’25 di Curtis Bernhardt, dove
vestì i panni d’una ragazza «davvero cattiva».
Quando venne chiamata per
Destinazione Budapest di Robert Parrish (’52), a chi le chiedeva di sottoporsi a
un provino rispose: - Non è il caso di sprecare tempo e denaro quando sapete già
cosa posso fare. - I dirigenti concordarono. In seguito, lavorò in Illusione di
Harold French.
Acquisita la cittadinanza americana, il 13 giugno del ’52 Märta sposò in
Svizzera, a Klosters, il regista, produttore e sceneggiatore americano Leonardo
Bercovici (1908-95) quindi si trasferì in Italia, a Roma, per le riprese del Puccini
di Carmine Gallone (’53), dove, chiamata a interpretare Elvira, la moglie del
compositore, dai vent’anni iniziali doveva giungere a mostrarne sessanta.
Durante la lunga lavorazione del film si accorse d’essere incinta: sua figlia,
Cristina, volle nascesse a Roma, il 20 aprile del ’53, nella sala parto dove l’anno
prima la Bergman, sua cara amica, aveva dato a Rossellini due gemelli.
Il successo del film e la sua ottima prova la portarono a lavorare ancora con
registi italiani; nel ’54 interpretò tre film: Maddalena di Augusto Genina, girato
in Francia, Casa Ricordi di Gallone e L’ombra di Giorgio Bianchi, nel ’55 La
vena d’oro di Mauro Bolognini, nel ’56 Tormento d’amore, firmato dal marito
Leonardo Bercovici e da Claudio Gora. La più fortunata di queste opere fu
Maddalena di Genina, probabilmente il suo miglior film: per il quale ottenne
diversi premi, tra cui quello al Festival Cinematografico di Edimburgo.
Märta lavorò ancora ne L’ultima notte d’amore di César Ardavín (’57), a fianco di Amedeo Nazzari. Poi, durante un soggiorno a Stoccolma, venne sedotta dalla proposta d’interpretare in teatro una commedia di J. B. Priestly, per la quale, conscia della severità del pubblico svedese, si preparò con estremo puntiglio; il suo debutto fu un trionfo di critica e di pubblico. Ma il 17 febbraio del ’57 fu colpita improvvisamente da un’emorragia cerebrale di tipo subarachnoide, e due giorni dopo si spense nell’ospedale sud della sua città natale, all’età di trent’anni, otto mesi e venticinque giorni, col marito al suo capezzale. Al suo funerale c’era anche una corona di fiori con questo semplice messaggio: «Addio, cara piccola Märta, la tua amica Ingrid». Gli occhi più belli del mondo si erano chiusi per sempre.