#304 - 2 aprile 2022
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
letteratura

Uno spazio in omaggio al Sommo Poeta

Endecasillabi sciolti e ritmati nella lingua dell'Urbe

La Commedia

Canto IV - 1^ Parte

di Angelo Zito

Ar pari d’un tamburo ne la testa
sentii un sòno, tanto da svejamme
e provai de aprî l’occhi controvoja;
me scossi dar torpore, guardai attorno
cercanno un punto fermo ne la mente;
nun capivo dov’ero capitato.
M’accorsi de stà in cima d’un burone,
sopra ‘na valle dove li lamenti
batteveno er tempo de chi s’addannava.
Profonda, buia, avvorta ne la nebbia,
provai a guardà dentro fino in fonno,
e nun riuscivo a véde quanto c’era.
“Scennemo giú ner monno senza luce”,
me dice er vate, bianco come un cencio,
“vado io avante, viemme tu de dietro”.
M’ero accorto der pallore de le guance:
“Come faccio a seguitte si te manca
la sicurezza che me fà sicuro?”
“Tanto è er dolore de sta gente”, dice,
“che me riflette in faccia quela pena,
che tu hai scambiato adesso pe’ ppaura.
Nun famo sosta che la strada è longa,
vieni pe’ qqua”. A ‘sta maniera entrammo
ner primo cerchio attorno a quela valle.
L’orecchio fu corpito da quer pianto,
frammisto a li sospiri sussurati,
che scôteveno l’aria tutt’attorno.

Nun era afflizione, ma mestizia,
er tormento che agitava quele genti
de donne, de omini e de infanti.
“Nun me chiedi”, me domandò er maestro,
“chi sò ‘st’anime perse dentro ar cerchio?
Devi conosce, prima de annà avanti,
che nun sò peccatori ma je manca,
puro si cianno meriti, er battesmo:
er principio che te fà credente;
sò nati avanti che venisse Cristo,
ignoranti a pregallo co’ la fede:
faccio parte pur’io de questa schiera.
Questo è tutto er male, nun c’è artro,
l’unica córpa che ciavemo addosso:
è vive senza un filo de speranza”.
M’addolorai così tanto ner sentillo
perché incontrai, tra ‘st’anime sospese,
gente gloriosa, piena de valori.
“Dimme maestro, leveme ‘gni dubbio”,
risposi io pe’ ttrovà er riscontro
de quella fede che supera l’erori,
“è capitato che ce fu quarcuno
che meritò er nome de beato?”
E lui che aveva còrto l’intenzione
me disse: “Io da poco ero tra questi,
quanno entrò ner gruppo uno potente
co’ le stimme segnate dar distino.
Questi sarvò l’anima d’Adamo,
der fijo Abele, de Noè patriarca
e pure de Mosè co’ le sue leggi;
e appresso Abramo, Davide regnante,
Giacobbe cor padre Isacco e co’ li fij,
e co’ Rachele che la fece sposa,
tant’artri ancora: tutti sò beati.
Devi sapé che mai prima de loro
artri spiriti furono sarvati”.
Parlava e intanto annava avanti
e attraversammo tutta quela sérva
accorpata attorno a tanti spirti.

Nun era tanto che camminavamo,
da quanno m’ero svejato, che un foco
me comparí lucente in mezzo ar buio.
Anche si eravamo un po’ lontani
me riuscí de intravéde lo splennore
de l’anime che staveno in quer posto.
“O tu che onori l’arte e sai de scienza,
chi sò questi che godeno l’onore
de vive separati da quell’antri?”
“Quela fama che cianno sú ner monno”,
me rispose così, “merita er premio
d’avé la grazia de ‘sto privileggio”.

La Commedia

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