#301 - 19 febbraio 2022
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Cinema

Robert Morley

I dimenticati: Diari di Cineclub n°40

Di

Virgilio Zanolla

Consentitemi, una volta tanto, di parlare di un personaggio ‘normale’: cioè di un attore vissuto e morto serenamente, con una carriera senza traumi o particolari difficoltà. Il motivo per cui lo includo in questa rubrica è che l’ho sempre trovato straordinario: e ogni volta che rivedo qualche film al quale prese parte (più spesso di quanto potessi sospettare) mi dico che è un peccato sia così poco noto; se fossi stato un regista e avessi lavorato ai suoi tempi, in Inghilterra o negli Stati Uniti, l’avrei voluto in ogni film, tanto lo stimo e la sua figura mi è simpatica.

Robert MorleyRobert Morley

Di chi parlo? Ma del britannico Robert Morley, l’indimenticabile Luigi XVI di Maria Antonietta di W. S. Van Dyke, il Giorgio III di Lord Brummel di Curtis Bernhardt, il Luigii XI de L’arciere del re di Richard Thorpe, l’Oscar Wilde di Ancora una domanda Oscar Wilde di Gregory Ratoff, per non citare che quattro tra le sue più incisive interpretazioni; e quasi sempre da attore non protagonista.

Nato il 26 maggio 1908 a Semley, nel Wiltshire, Robert Adolf Wilton Morley era figlio del maggiore Robert Wilton e di Gertrude Emily Fass, sudafricana d’origine germanica. Intendendo farne un diplomatico, gli venne impartita un’educazione piuttosto rigida, prima all’Elizabeth College nell’isola di Guernesey e poi al Wellington College nel Berkshire, dove il suo innato talento per l’umorismo venne spesso mortificato; per dare un’idea di come ci si trovò, basti questo aneddoto: quando diventò famoso, essendo un ‘old Wellingtonian’ molti suoi vecchi compagni di collegio lo ricercarono per feste e cerimonie commemorative: lui fu cortese con tutti, ma negandosi sempre rispose che l’unico motivo per cui sarebbe tornato a vedere il Wellington College sarebbe stato quello di bruciarlo.

Il giovane Robert aveva in sé i germi della recitazione, e ultimati gli studi s’iscrisse alla Royal Academy of Dramatic Art di Londra, debuttando sul palcoscenico nel 1928 e, dopo un solido apprendistato, raggiungendo il successo nel ’36 come protagonista della commedia Oscar Wilde al londinese Gate Theatre Studio in Villers Street, opera che due anni più tardi avrebbe ripreso con altrettanto buon esito al Fulton Theatre di Broadway. Fu appunto quest’interpretazione che suscitò l’attenzione di Hollywood: egli debuttò davanti alla macchina da presa nel ’39 in Maria Antonietta, nei panni del goffo ma onesto Luigi XVI, accanto a Norma Shearer e Tyrone Power, disegnando un personaggio così umano e simpatico da meritargli una candidatura all’Oscar come migliore attore non protagonista.

Robert Morley

Negli anni seguenti, la sua duttilità come interprete gli permise di dare vita a personaggi anche molto diversi: come l’Andrew Undershaft, padre della protagonista ne Il maggiore Barbara di Gabriel Pascal ed Harold French (’41), il Tom Bercks del musical You Will Remember di Jack Raymond (id.), il generale ‘Jumbo’ Bishop di The Ghosts of Berkeley Square di Vernon Sewell (’47), senza dire di The Big Blockade di Charles Frend (’42), film di propaganda antinazista, dove fu il ‘nemico’ Von Geiselbrecht. Non aveva dimenticato il teatro, che rimase tra i suoi amori più grandi: per esso non solo si esibì indefessamente sui palcoscenici del regno e specialmente londinesi, dando vita a straordinari personaggi come l’Henry Higgins del Pigmalione di George Bernard Shaw al Old Vic Theatre (’37), lo Sheridan Whiteside de Il signore resta a pranzo di George S. Kaufman al Savoy Theatre (’41-43), il Principe Reggente de Il primo gentiluomo di Norman Ginsbury al New Theatre ed al Savoy (’47), ma scrisse anche dei testi drammatici: dal suo Goodness, How Sad (’37) il regista Robert Stevenson trasse nel ’40 il film Return to Yedsterday; inoltre, dal grande successo ottenuto a Londra e a New York dal dramma Eduard, mio figlio, che egli scrisse con Noel Langley nel ’47 e nel quale interpretò superbamente la parte del padre, Arnold Holt, nel ’49 il regista George Cukor trasse il film omonimo: questi come interprete volle però Spencer Tracy, il quale non offrì una delle sue migliori prove.

Nel dopoguerra, l’attività di Morley proseguì di successo in successo sia nel teatro che nel cinema, e più tardi anche in televisione (dove nel ’59 lo volle Hitchcock per alcuni episodi della sua fortunatissima serie Alfred Hitchcock presenta): nella settima arte si distinse nel ruolo del missionario ne La regina d’Africa di John Houston (’51), nei panni del celebre scrittore e librettista britannico William Schwenck Gilbert ne La storia di Gilbert e Sullivan di Sidney Gilliat (‘53), come Robert MacPherson ne La battaglia dei sessi di Charles Crichton (’59), come Sir Ambrose Ambercrombie ne Il caro estinto di Tony Richardson (’65), e soprattutto impersonando il loquace critico Meredith Merridew di Oscar insanguinato di Douglas Hickox (’73), e il critico culinario Max Vandeveer di Qualcuno sta uccidendo i migliori cuochi d’Europa di Ted Kotcheff (’78), due delle sue migliori prove negli oltre settanta film a cui prese parte.

Premiato quale miglior attore non protagonista dalla Los Angeles Film Critics Association Award e dalla National Society of Film Critics, candidato in un’occasione al Golden Globe, nel 1957 la regina Elisabetta II gli conferì il titolo di Commendatore dell’Impero Britannico, e nel ’75 gli offrì il cavalierato, che tuttavia lui preferì rifiutare. Nella vita privata, era sposato con Joan Buckmaster (1910-2003), figlia della celebre attrice Gladys Cooper, dalla quale ebbe i figli Sheridan, Annabel e Wilton; il primo dei quali è un noto scrittore e critico.
Sir Morley (eggià: anche se non ci teneva, ormai andava chiamato così) morì per un ictus il 3 giugno 1992 a Reading nel Berkshire, all’età di ottantaquattro anni e dieci giorni. Difficile dimenticare la sua imponente e rotonda fisionomia, il suo faccione arguto e imperturbabile, il suo umorismo ad un tempo lieve e ficcante, molto british. Un grandissimo caratterista che ha saputo rivelarsi, in più occasioni, anche un superbo protagonista. È appena il caso di ricordare che l’ispettore Bloch, popolare personaggio della collana di fumetti Dylan Dog, ha le sue simpatiche fattezze.

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