#277 - 7 gennaio 2021
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterà  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerà  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

Lo sport affratella gli animi

A buon rendere

Finale di partita

di Ruggero Scarponi

Pioveva il giorno della finale. Una pioggerella fine e fitta. Gelida.
Il pubblico era accorso numeroso per quella che fin dalla vigilia si annunciava come un’epica sfida.
Dopo tre anni d’incontrastato dominio, la squadra dei Rossocerchiati, una vera outsider, avrebbe provato a togliere ai Bianchi il Trofeo Nazionale.
Alla fine dei tempi supplementari si era sul tre a tre. Uno a uno dopo novanta minuti, due a uno nel primo tempo supplementare e tre a uno fino a cinque minuti prima del fischio finale.
Poi il rocambolesco pareggio. In soli tre minuti. Tre a due e subito dopo tre a tre.
Non restavano che i calci di rigore.
Gli atleti delle due squadre si radunarono a centro-campo. Qualcuno, steso a terra, colto dai crampi ricorreva alle cure del massaggiatore, altri girellavano per il terreno di gioco con lo sguardo sfatto per la fatica ingollando lunghe sorsate di acqua minerale dalle bottigliette che gli assistenti distribuivano a chi ne chiedeva.
I due allenatori parlottarono con l’arbitro e poi dopo aver deciso in quale delle due porte si sarebbero tirati i rigori, si strinsero cavallerescamente la mano. Buona fortuna, si augurarono, forse, addirittura sinceri in quei momenti carichi di tensione.
Anche i calciatori dei due club si strinsero la mano. Alcuni ritrovarono ex compagni di squadra di precedenti stagioni. Si sorrisero e si abbracciarono.
Il pubblico sugli spalti seguiva il rituale in silenzio e la tensione invadeva le gambe, la testa e lo stomaco di decine di migliaia di spettatori.
La pioggia cadeva fine e fitta. Gelida.
L’arbitro raggiunse il centro campo. Chiamò i due capitani e dopo aver scandito con chiarezza la frase di rito estrasse di tasca una moneta e la lanciò in aria. Lasciò che cadesse in terra sull’erba bagnata.
La raccolse e la mostrò ai due capitani che assentirono con il capo.
Subito dopo dette le istruzioni per iniziare l’ultima fase di gioco.
Le due squadre si schierarono all’interno dell’ampio cerchio che delimita la metà campo.
I giocatori delle due compagini si strinsero uno all’altro in un abbraccio simile ad una catena in attesa che gli specialisti venissero chiamati a calciare i rigori.
Iniziarono i Bianchi.
Tiro, rete.
Seguirono i Rossocerchiati.
Tiro, rete.
Si andò avanti così, fino al quattro a quattro.
Poi il calciatore dei Bianchi, il fuoriclasse, colui che avrebbe dovuto mettere il sigillo sulla quarta coppa, vinta consecutivamente, calciò con forza, sopra la traversa.
Il pubblico esultò, si disperò, sbracciò, urlò, poi ammutolì.
Cessato il clamore il calciatore dei Rossocerchiati si avvicinò al pallone, lo prese con le mani e lo depose sul dischetto posto a nove metri dalla linea di porta.
A buon rendere, gli aveva detto il suo amico, il portiere dei Bianchi.
A buon rendere, si ripeteva lui, concitatamente.
I Bianchi, meditò, la Coppa l’avevano vinta tre volte, oltre a un gran numero di altri trofei.
I Rossocerchiati, invece accedevano ad una finale per la prima volta nella loro storia.
E il suo amico, il portiere dei Bianchi, gli aveva strizzato l’occhio e gli aveva sussurrato, a buon rendere! E aveva aggiunto senza farsi notare dagli altri, alla mia destra, forte e teso, a mezz’aria e sarà a buon rendere. Poi saremo pari, concluse.
Il calciatore dei Rossocerchiati si posizionò per la rincorsa ad alcuni metri dal pallone. Restò a capo chino evitando di guardare il suo ex compagno di squadra, il portiere dei Bianchi che invece lo cercava insistentemente con lo sguardo.
In quella posa attese il fischio dell’arbitro.
Quello guardò prima i calciatori a metà campo, poi i due allenatori sotto le pensiline e infine il portiere dei Bianchi. Indugiò sul portiere, attento che rispettasse il regolamento ed evitasse di muoversi in anticipo.
Poi alzò un braccio in aria come a chiedere attenzione e silenzio e finalmente fischiò.
A buon rendere, si ripeté il calciatore dei Rossocerchiati, nell’istante in cui lasciava la sua posizione per slanciarsi sul pallone a pochi metri di distanza.
A buon rendere, mormorò con forza mentre calciava la palla con una traiettoria angolata, raso-terra alla sinistra del portiere. Che era volato dall’altra parte a cogliere un pallone che, era sicuro, sarebbe dovuto arrivare forte, teso, a mezz’aria, alla sua destra.
A buon rendere, esultò il calciatore dei Rossocerchiati, mentre osservava il pallone varcare la linea di porta.
Poi cercando gli occhi del suo avversario, il portiere dei Bianchi, digrignando i denti gli gridò muto: morammazzato!
Il portiere dei Bianchi, con sul viso uno schizzo di fango e una smorfia di disappunto, calò un pugno a terra, con rabbia, sull’erba bagnata, mentre la pioggia continuava a cadere fine e fitta. Gelida.

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