#262 - 2 maggio 2020
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Cultura e Società

La forzata sospensione delle attività di cinema teatro spettacoli vari ha riacceso nel paese un vivace dibattito
sulle attività culturali. Un appello è venuto da Papa Francesco, e molte autorevoli voci della politica e della cultura
si sono affacciate ai mezzi di comunicazione. Abbiamo scelto due interventi riferiti al teatro:
"Leggere teatro" e "Oltre il confine".

Leggere teatro

Di

Anna Trincali - Teatro Bresci - Comune info

La crisi che vive il teatro va oltre le conseguenza della pandemia. Non servono solo tutele importanti per migliaia di lavoratori precari e la cura di spazi urbani spesso dimenticati (a cominciare dai piccoli teatri), ma trasformazioni radicali e apertura al cambiamento. Si tratta di proteggere quello che resta un modo per ricomporre le relazioni sociali, un atto per la polis

Credo sia utile tentare di mettere per iscritto alcune riflessioni e considerazioni sullo stato del settore cultura e in particolare su quello dello spettacolo dal vivo (che mi vede direttamente interessata). Creare occasioni per far luce su un mondo troppo spesso relegato dalla politica all’ombra, diventa oggi, soprattutto nella situazione di emergenza sanitaria che tutti noi stiamo vivendo, non solo importante ma necessario. E per spiegarla questa necessità farò un salto indietro nel tempo, in quella società avanzatissima e che ci è madre come quella della Grecia classica del V secolo a.C.. È allora che il teatro si sviluppa come istituzione indipendente. Non solo: in quel periodo l’arte drammatica gode di una considerazione e di un rispetto tali da essere considerata bene indispensabile per il progresso della propria civiltà, glorioso veicolo per la diffusione pubblica di valori e principi, oggetto e soggetto che lo Stato incentivava e curava perché prezioso per la meditazione e la pedagogia collettiva. Questo succedeva alle origini. E ora?

La crisi di considerazione che il teatro vive oggi va ben oltre il problema Covid. Si era già in una situazione per cui il fare e promuovere cultura non godevano della giusta stima in termini valoriali e di risorsa. Nel nostro Paese si ha difficoltà a rivendicare a gran voce l’indispensabilità di un intero comparto fosse anche solo per riconoscerlo, oltre che come patrimonio collettivo del sapere, come settore produttivo che contribuisce in maniera non secondaria al nostro Pil e che dà lavoro a centinaia di migliaia di persone. Come dire che se fai cultura, se sei un attore ad esempio, oggi non vieni immediatamente riconosciuto come lavoratore.

Leggere teatro

Ora, la storia ci insegna che dai tempi di Pericle ed Euripide non si sia dovuto arrivare a oggi per vedere depauperata l’idea che la cultura sia un bene e un sistema da proteggere e sostenere: ritornando nello specifico al mondo del teatro, si sa, è specchio della società e come tale ha vissuto nei secoli momenti di gloria e momenti di oscurità, ma forse più che mai in questo momento di emergenza sanitaria in cui tutto si è fermato, sono venute a galla come sotto una potente lente d’ingrandimento tutte le falle di un’intera struttura. È come se questo stop forzato ci avesse resi tutti un po’ più consapevoli da un lato di quanto l’arte sia importante perché in grado di unire, e dall’altro di quanto il comparto sia carente in materia di tutela dei lavoratori in primis ma anche di una legislazione chiara che banalmente definisca e riconosca un humus di professionisti ancora non giustamente considerati (penso ad esempio alle migliaia di Compagnie teatrali indipendenti, diverse dalle realtà che accedono ai fondi pubblici del FUS).teatro bresciÈ come se questo stop forzato ci avesse resi tutti un po’ più consapevoli da un lato di quanto l’arte sia importante perché in grado di unire, e dall’altro di quanto il comparto sia carente in materia di tutela dei lavoratori in primis ma anche di una legislazione chiara che banalmente definisca e riconosca un humus di professionisti ancora non giustamente considerati (penso ad esempio alle migliaia di Compagnie teatrali indipendenti, diverse dalle realtà che accedono ai fondi pubblici del FUS).

Bisogna ripartire da qui, dal “prima Covid” per cercare di risolvere i problemi di oggi e di domani. E, sia ben chiaro, il punto di partenza dove essere anche una presa di responsabilità perché sarebbe riduttivo dare la colpa solo a chi ci governa: troppo spesso ci dimentichiamo che la politica è la rappresentazione di uno Stato che altro non è che “noi”. Penso sia arrivato il momento di metterci tutti assieme a ripensare concretamente a cosa abbiamo sbagliato e a come possiamo agire per migliorare.
In questo senso i lavoratori dello spettacolo del vivo, non solo sarebbe bene amplificassero con coraggio l’aspetto creativo e artistico del proprio lavoro senza mai dimenticarsi del pubblico, ma anche quello concreto e pragmatico cercando soluzioni reali (pur sapendo che le soluzioni non ci potranno essere per tutto; stiamo vivendo delle settimane difficilissime che ci stanno provando e non possiamo aiutarci in toto da soli).

Da due mesi lo spettacolo è fermo. Ma il teatro non è morto. Non lo hanno ucciso la fame, le guerre, le carestie, non lo farà di certo questo virus. Concordo con quello che ha scritto Gabriele Lavia qualche giorno fa: “Il teatro continua a rimanere vivo nella mente e nel sentimento degli attori che il teatro lo fanno e lo vivono col pubblico. Vivo negli spettatori che aspettano”.
Chiarito questo non possiamo perdere tempo. Il teatro è vivo ma non sta bene. Migliaia di lavoratori (attori, registi, costumisti, tecnici, scenografi, musicisti, danzatori, direttori di produzione e tante altre maestranze) sono fermi da fine febbraio senza sapere quando o come potranno riprendere l’attività. Per la quasi totalità di coloro che fanno parte del settore spettacolo dal vivo non esiste un sistema di sostegno sufficiente a rispondere a questa prolungata, chissà fino a quando, mancanza di lavoro. Ecco che in primis le istituzioni dovrebbero pensare a stretto giro, come già fatto per altre categorie, a una riforma, non solo contingente al momento, ma anche permanente, che metta in sicurezza un’intera categoria completamente scoperta, scoperta da sempre.

Leggere teatro

Le Istituzioni rispondano e dialoghino con quei gruppi di lavoratori che oggi si stanno unendo per far sentire meglio la propria voce. Quanto possa durare questa unità di intenti (prima che nuove e sempre vive divergenze e competitività tipiche dei lavoratori dello spettacolo che gioco forza sono sempre stati abituati e costretti a sgomitare per sopravvivere tra gli altri, ritornino a farla da padrona) non lo so. Ma è vero che una presa di coscienza come questa, messa in opera da questo inaspettato lockdown non c’era mai stata. Un’altra questione importante da cui ripartire e ipotizzare nuovi modi di intervento è la messa a punto tempestiva di linee guida che chiariscano alle Compagnie teatrali e agli organizzatori di Festival e Rassegne come poter far ritornare lo spettacolo dal vivo, già in estate.

Come Teatro Bresci siamo lavorando, nel padovano, per studiare un sistema che consenta ad Antiche Mura Teatro Festival e Luoghi Comuni Festival (due eventi che organizziamo da qualche anno a Cittadella nel Teatro all’aperto di Campo della Marta tra giugno e luglio) di ritornare in scena (ad esempio il distanziamento sociale sulle gradinate, la gestione del pubblico in entrata e in uscita, l’eliminazione di tutti quegli eventi collaterali allo spettacolo teatrale difficili da gestire, la messa in sicurezza sia degli spettatori sia degli attori). Ma stiamo lavorando sulla base di ipotesi e possibilità che noi stessi ci immaginiamo: è fondamentale invece avere per tempo dei parametri di riferimento che ci vengano dati dall’alto, per costruire soluzioni possibili più precise e dettagliate. A ogni modo non vogliamo farci trovare impreparati e quindi non abbiamo bloccato la progettazione. Anche perché, e pure questo è un punto che spesso non viene considerato, per allestire un evento culturale ma anche un singolo spettacolo, ci voglio settimane, mesi di preparazione. In questo senso non sapere quando e come i teatri (e qui mi riferisco ai luoghi al chiuso, ancora più difficili da gestire) verranno riaperti provoca negli operatori culturali non solo un danno in riferimento al fermo di eventi già creati e avviati ma l’aggiunta di difficoltà nell’organizzazione preventiva.

Finché non avremo un vaccino non potremo ritornare in sala come prima. Capire quindi per tempo come agire per rimodulare tutto, laddove fosse possibile, è fondamentale. Il “laddove fosse fosse possibile” si riferisce soprattutto a un elemento da cui non potremo prescindere: lo spazio. I teatri molto grandi potrebbero permettere il distanziamento sociale tra gli spettatori e avere introiti derivanti dalla vendita dei biglietti forse accettabili, ma i teatri da 100-150 posti? È impensabile un equilibrio tra numero di spettatori e fattibilità economica. Le questioni su cui riflettere sono davvero molte, ma va fatto. E va fatto facendo partecipare ad un tavolo di lavoro non solo rappresentati della politica e del comitato tecnico-scientifico, ma anche esponenti chiave del comparto spettacolo che conoscano profondamente e dall’interno i meccanismi che lo guidano. Ripeto, ne va della sopravvivenza di centinaia di migliaia di lavoratori. Inoltre non concentrare studi e risorse su questo settore significherebbe anche non considerare quanto il teatro sarà importante per recuperare in termini di relazione e condivisione viva, da parecchio tempo ormai negateci.

Si parla spesso in queste settimane di teatro in streaming, sul web. Non è teatro. Il teatro è un rito che presuppone la comunicazione viva tra attore e pubblico, è un dono fisico e carnale tra chi fa e chi attivamente guarda e ascolta, è comunione e condivisione istantanea ed effimera, potentissima perché vitale. Tutto ciò che si può fare in diretta o con la messa in onda di una registrazione su internet o in tv non è teatro, non costituisce l’evento teatrale, è altro. È condivisione parziale, castrata nell’aspetto diretto ed essenziale della natura del teatro, è riproduzione. E non sto demonizzando lo schermo, anzi. La messa in onda di riprese video si è sempre fatta: abbiamo a disposizione centinaia e centinaia di registrazioni di spettacoli teatrali che già da anni possiamo guardare su Rai5 o altri canali. Lo trovo un servizio importante e utile, addirittura da potenziare. Ho potuto godere tramite la tv, e anche al cinema, di riprese di spettacoli teatrali che mai avrei potuto vedere. Ma è tv, ed è cinema. Non è teatro. Sarebbe interessante trovare un neologismo che mettesse fine a questa diatriba!

Leggere teatro

Altra questione invece è proporre, come ha fatto qualche giorno Monica Guerritore assieme ad altri illustri colleghi, come soluzione al problema che vede tanti professionisti senza lavoro, girare ex novo, ora, spettacoli teatrali in studio per poi mandarli in onda in Rai. Questo sarebbe risolutivo per chi? Per il pubblico che tanto materiale, lungo decenni, può già visionarlo? No. Per i migliaia di lavoratori a casa? Tanto meno. Per una manciata di attori e una spicciolata di tecnici? Ecco, si. Una professionista come la Guerritore sa benissimo che un’operazione del genere andrebbe a coinvolgere qualche volto noto, probabilmente i soliti volti noti che tra l’altro non verrebbero di certo pagati in modo simbolico come ha dichiarato. E tutta l’altra miriade di professionisti? Tutto quel mare di professionisti che giornalmente FUS o non FUS lavorano in teatro? In questo momento in cui si sente la qualunque, devo dire che fa male più che tante altre parole dette da chissà chi, sentire un’attrice tanto autorevole e nota come la Guerritore, che dovrebbe essere portavoce dei disagi e delle proposte sensate di un’intera categoria, porsi invece come porta bandiera di istanze che non farebbero un servizio a nessuno se non a un’élite. È importante non creare confusione, soprattutto tra i non addetti ai lavori che forse ora più che mai si ritrovano a conoscere un po’ più da vicino un mondo tanto articolato.

Per concludere penso che questo difficile momento debba essere motore per porsi seriamente e trasversalmente delle domande alle quali voler rispondere in modo concreto, costruttivo e rivoluzionario. Dobbiamo prenderlo come punto di partenza comune in vista di un nuovo futuro da costruire. Il teatro riguarda direttamente l’uomo, la società e la socialità, e proprio per questo è in continua evoluzione. Dobbiamo essere in grado più che mai, con onestà e ricordandoci di stare facendo un atto politico (per la polis), di essere aperti al cambiamento (non allo snaturamento), all’evoluzione. Siamo per natura esseri adattabili. Siamone consapevoli e agiamo di conseguenza. Guardiamo al domani senza dimenticarci del nostro ieri, di quel passato antico ed eterno che tanto ci ha insegnato e regalato.

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