#256 - 8 febbraio 2020
AAAAA ATTENZIONE questo numero resterà in rete fino alla mezzanotte del 3 maggio quando lascerà il posto al numero 351. - BUONA LETTURA - ORA ANTICA SAGGEZZA - Gli angeli lo chiamano piacere divino, i demoni sofferenza infernale, gli uomini amore. (H.Heine) - Pazzia d'amore? Pleonasmo! L'amore è già  in se una pazzia (H.Haine) - Nel bacio d'amore risiede il paradiso terrestre (Lord Byron) - Quando si comincia ad amare si inizia a vivere (M. de Scudery) - L'amore è la poesia dei sensi ( H. De Balzac) - Quando il potere dell'amore supererà  l'amore per il potere, sia avrà  la pace (J. Hendrix)
Racconto

Il Capo-stazione

di Ruggero Scarponi

IL CAPO-STAZIONE

Anche l’ultima bisarca non giunse mai a destinazione.
Come le altre, si era persa tra le sabbie del deserto senza lasciare traccia.
Dopo di allora la fabbrica restò muta.
Le catene di montaggio si arrestarono negli immensi capannoni simili a fortezze abbandonate.
Anche gli uomini ammutolirono di fronte all’irrazionale.
Il cielo divenne cupo come nell’imminenza di una tempesta e si udirono per miglia e miglia intorno ai paesi e alle città gli ululati dei lupi e lo strepitio degli uccelli tra i rami rinsecchiti degli ultimi alberi.
Delle bisarche non si seppe più nulla.
Che cosa stava accadendo nel mondo?
Qualcosa di misterioso era calato un giorno all’improvviso o, forse, da molto tempo, se gli uomini avessero saputo osservare.
Ma come era possibile che le grandi bisarche s’inabissassero nel nulla?
Il fenomeno era talmente inconsueto che persino le coscienze più raffinate e gli intelletti più speculativi non osavano pronunciarsi.
I politici si sforzavano di diffondere ottimismo, dalle reti televisive, in attesa che gli scienziati fornissero l’equazione in grado di ripristinare la realtà consueta. Con il passare dei giorni, però, a poco a poco, cominciarono a spegnersi le luci, ovunque, nei paesi come nelle città, lungo le strade e persino nelle case di abitazione.
L’inverno freddo si posò sul mondo come una coltre tessuta di fili d’angoscia.

Sul limitare del deserto sorgeva semi abbandonata una vecchia stazione.
Negli anni passati era stata il capo-linea di un’insensata corsa all’oro.
Poveri diavoli, simili a dei forzati, si erano messi a scavare con ogni mezzo e senza regole, nei canaloni di valli desertiche.
La più parte finì inghiottita dalla sabbia che sempre ricopriva ogni cosa.
Finché un giorno, senza che nessuno lo avesse programmato, cessò il transito dei cercatori e sul gelido deserto, piombò improvviso, un silenzio tetro, rotto solo dalle folate dei venti impetuosi.
Nella vecchia stazione era rimasto soltanto un uomo, forse dimenticato, il capostazione Johnny.
Costui, senza farsi domande, compiva ogni giorno il suo lavoro, uscendo a controllare gli scambi e lo stato dei binari.
Annotava tutto su certi registri, perfino i ritardi dei treni, che non sarebbero arrivati mai più.
Subito dopo trasmetteva le informazioni raccolte, tramite telegrafo, alla stazione del capoluogo. Nessuno si preoccupò mai di rispondere.
E Johnny da parte sua non si fece mai domande.
Pur essendo assai scrupoloso nel suo lavoro, Johnny, aveva un mucchio di tempo libero.
Secondo gli orari ufficiali diffusi dalla Compagnia sarebbero dovuti transitare ogni giorno nella stazione, due convogli, uno alle nove del mattino e l’altro alle undici. Johnny, restava in attesa fino alle due del pomeriggio, poi annotava nel diario che in mancanza di comunicazioni il treno sarebbe stato considerato soppresso.
Svolta la sua mansione, chiudeva l’ufficio e si dava a perlustrare il deserto a caccia di piccoli mammiferi di cui si nutriva.
Coltivava persino un orticello, dietro l’abitazione che gli era stata assegnata dalla Compagnia, in un punto protetto, dove la sabbia non arrivava.
Johnny non si lamentava.
Aveva un lavoro, la caccia abbondante e la riserva di cartucce per il suo fucile davvero inesauribile, facendo affidamento sulle migliaia di scatole abbandonate dai cercatori d’oro, prima di essere inghiottiti dal deserto.
Non che avesse disdegnato un po’ di compagnia, all’occasione, ma è pur vero che si era abituato a star solo e in fin dei conti si considerava perfino felice.
Un giorno senza nessun avviso il telegrafo cessò di funzionare.
Non c’era corrente.
Johnny registrò l’evento e attese pazientemente che il servizio fosse ripristinato per informare l’autorità centrale dell’accaduto.
Ma il servizio non fu più ripristinato e Johnny non se ne preoccupò continuando ad annotare diligentemente il problema.
Dopo alcuni mesi a Johnny vennero meno i mezzi per le quotidiane registrazioni.
Per un po’ di tempo si arrangiò con dei fogli di carta, in attesa di poter ricevere, prima o poi, i modelli ufficiali.
Dopo altri mesi avendo esaurito ogni possibile espediente per scrivere, certificò con tanto di firma e data che sospendeva la tenuta del diario per causa di forza maggiore.

Una notte fu svegliato da un boato.
Sulle prime Johnny pensò che fosse un terremoto e si precipitò fuori dalla casetta.
Tutto sembrava intatto e dopo i primi accertamenti si rese conto che non era avvenuto nessun crollo e il lume a petrolio, mancando l’energia elettrica, sotto il porticato della stazione, appariva immobile.
Johnny pensò di aver sognato e stava per rimettersi a letto quando dalla nebbia notturna, si era al primo autunno e di notte il deserto si copriva di una nebbia densa, emerse la massa gigantesca di una locomotiva.
Johnny ebbe un sussulto.
Il cuore cominciò a battergli forte nel petto - finalmente! – esclamò tra se – si torna al lavoro. –
Sebbene fossero passati molti mesi dall’ultimo treno giunto in stazione, Johnny ricordava perfettamente le procedure.
Pertanto con molto sussiego prese la lanterna a luce rossa e l’agitò, per segnalare al macchinista di arrestare il treno.
Johnny ripeté più volte la segnalazione per essere certo che il macchinista non avesse dubbi, poi si mise in attesa della discesa dei passeggeri.
Dal treno non scese nessuno.
Con grande stupore Johnny dovette constatare che il convoglio era privo di passeggeri e di personale.
Eppure tutto sembrava in ordine.
Allora si mise seduto su una panchina a pensare.
Infine prese una decisione.
Si alzò e raggiunse la locomotiva.
Scese sui binari e si pose di fronte alla macchina.
Per la prima volta dopo molti mesi parlò a voce alta.
• Allora sei arrivata, finalmente. Ti stavo aspettando già da un po’, ma forse nemmeno io lo sapevo. Ora, vedendoti qui davanti non ho più dubbi. Ho capito che questa volta non sei venuta a portare dei passeggeri. Sei venuta a prendere me.
• Sbuuff! Sbuuff!
Sbuffò la locomotiva in segno di assenso. Crollando la testa Johnny tornò all’ufficio. Controllò che tutto fosse in ordine, poi prese uno zaino con gli effetti personali e stava per metterselo in spalla, quando sentì di nuovo lo sbuffare impaziente della locomotiva.
Ha ragione, pensò tra sé, il bagaglio non serve per dove devo andare.
Allora abbandonò lo zaino, chiuse a chiave l’ufficio e raggiunse rapido la banchina ferroviaria. Salì sul primo vagone e si sistemò in uno scompartimento di prima classe, come gli spettava, secondo il regolamento delle ferrovie.
Subito il treno si mosse.
Era l’ultimo treno del mondo e non giunse mai a destinazione.
S’inabissò da qualche parte, tra le sabbie del deserto.

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