#254 - 11 gennaio 2020
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterŕ  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerŕ  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, puň durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni piů importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchč (Mark Twain) "L'istruzione č l'arma piů potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non č un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchč i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltŕ  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensě nella capacitŕ  di assistere, accogliere, curare i piů deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltŕ  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo č un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminositŕ, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

La bibita

di Ruggero Scarponi

In una bella mattinata di aprile, un mercoledì, mi pare, Gisella, la proprietaria della boutique sulla piazza centrale, si recò, come d’abitudine, al caffè, da sola.
Si sedette al solito tavolo e ordinò un aperitivo. Prese un giornale, di quelli a disposizione dei clienti e s’immerse nella lettura.
Compiva questa specie di rito tutti i giorni, dal lunedì al sabato con esclusione del giovedì quando il negozio restava chiuso per riposo settimanale. E lo compiva da quando aveva raggiunto un ragguardevole benessere economico grazie alla boutique nella quale si servivano le signore della migliore società cittadina.
Gisella aveva cominciato a occuparsi di moda tanti anni prima, poco piĂą che adolescente, come apprendista presso una nota sarta che nel tempo si era affermata come stilista.
Gisella era una donna elegante, anzi possiamo dire, che l’eleganza fosse in lei connaturata. E non solo nel vestire ma persino nelle movenze, nel modo di parlare o in quello di ricevere gli ospiti. Tutto in lei ispirava grazia, decoro, buon gusto.
A ventinove anni, oramai sarta rifinita, aveva deciso il grande passo. Dopo essersi consigliata con la sua “maestra” la sarta stilista presso la quale lavorava, chiese un prestito a un vecchio zio e aprì la boutique nel punto più esclusivo della città, la piazza centrale.
L’impresa non tardò ad affermarsi. Le doti umane e professionali di Gisella furono le fondamenta su cui si fondò l’intero progetto.
Un progetto cui Gisella si votò anima e corpo con una dedizione quasi mistica.
Pur essendo indiscutibilmente una bella donna, corteggiata da molti uomini, non volle mai legarsi dichiarando apertamente che il suo unico amore era la boutique.
Ed ogni mattina, quando vi entrava, non poteva far a meno di godere del profumo che vi si respirava, dovuto alle stoffe di pregio, con cui erano confezionati gli abiti, pronti per essere esibiti alle clienti piĂą esigenti e danarose delle cittĂ .
Quella mattina mentre Gisella gustava l’aperitivo insieme alle ultime notizie in cronaca riportate dal giornale si accomodarono a un tavolo vicino al suo quattro ragazze.
Dovevano essere quattro amiche, turiste di passaggio, orientali, a giudicare dai lineamenti del volto.
Sbirciando con la coda dell’occhio Gisella ci mise un attimo a cogliere l’abbigliamento delle giovani. Deformazione professionale, pensò con un certo compiacimento. Le ragazze, tutte molto graziose e giovanissime, con dei visetti illuminati da splendidi occhi neri le sembravano uscite da un manga, i classici fumetti giapponesi per adolescenti. Erano vestite con degli abitini attillati e molto accollati su delle minigonne vertiginose. In più indossavano delle calze che arrivavano poco sopra al ginocchio e che davano loro un’aria ingenua e provocante insieme. Così come le scarpe, di vernice, con i lacci e poco tacco, di foggia quasi maschile.
Le ragazze ridevano e scherzavano senza badare troppo a Gisella che nel frattempo, disturbata dal loro modo di fare, aveva interrotto la lettura del giornale. Carine, pensò Gisella con sufficienza ma maleducate come la più parte dei loro coetanei.
Nella vita ci vuole stile, rimuginò tra sé, non basta essere carini sennò sarebbe troppo facile. Se vuoi conquistarti un posto nel mondo devi lavorare con passione e intelligenza e non dico di non usare i talenti che la natura ti regala, però, queste, hanno molto da imparare, concluse.
Le giovani, fatto un cenno a un cameriere, ordinarono delle bibite e poi a voce bassa presero a commentare fittamente qualcosa.
Casualmente Gisella notò che una delle ragazze aveva una busta con impresso il logo della sua boutique e anzi ne aveva estratto il contenuto, una camicetta di seta, per mostrarlo alle amiche, che sembrava apprezzassero in modo entusiastico l’acquisto.
Evidentemente, pensò Gisella, le ragazze dovevano essere entrate nel negozio subito dopo che ne era uscita lei per venire al caffè e dovevano avere già in mente cosa acquistare dal momento che l’avevano raggiunta quasi subito nel locale.
Ma quello che attirava Gisella era il fatto che le ragazze continuavano a ridere e a commentare l’acquisto passandosi di mano in mano la camicetta per soppesarla, osservarla, ammirarla.
Chissà cosa ci trovavano di tanto eccezionale, pensò Gisella, è una graziosa camicetta ma nulla più. Evidentemente non sono abituate a un abbigliamento di classe, poi, sbirciandole ancora furtivamente concluse, d’altronde vanno in giro come delle “poco di buono”, cosa ti puoi aspettare?
Ma subito dopo tornò a pensare, mi basterebbe averle con me, non dico tanto, una settimana e ne farei delle signorine a modo, le cambierei da così a così, altro che se le cambierei. Perché in fondo il materiale c’è, sono davvero graziose, a parte le gambette un po’ storte che comunque devo ammettere non gli stanno male e anzi le rendono addirittura particolari, maliziose, quasi.
Compiaciuta, comunque che avessero acquistato nel suo negozio tornò all’ aperitivo e alla lettura.
Dedicava di norma non più di un quarto d’ora alla pausa, Gisella, e stava già per chiamare il cameriere per saldare il conto quando fu distratta dallo squillare incessante del cellulare di una delle ragazze.
Sbuffò spazientita. Maleducate! Commentò a fior di labbra, possibile che non si rendono conto di disturbare? Si viene in questo locale per godere una piacevole pausa e non per farsi rompere la testa da quei maledetti telefonini! Almeno rispondesse, accidenti!
La ragazza, lo cercava nella borsetta, nelle tasche del soprabito, di qua, di là, finché con gesto di trionfo una delle amiche lo estrasse dalla busta della camicetta e lo porse alla proprietaria.
Nel frattempo giunse un cameriere che servì alle giovani le bibite che avevano ordinato.
Le ragazze, bevvero subito, con gusto, dai grandi bicchieri, tranne una, quella che aveva ricevuto la chiamata al telefonino.
Seguì una serie di telefonate piuttosto concitate.
La ragazza che aveva risposto al cellulare cominciò a fare diverse chiamate. Entrava e usciva continuamente dal locale dove evidentemente aveva problemi di connessione e ogni volta che rientrava confabulava con le sue amiche. Non sembrava preoccupata, piuttosto, sembrava impegnata in una qualche operazione organizzativa. Magari, pensò Gisella, stanno pensando di andare all’aeroporto ad accogliere un loro amico o parente o chissà.
Anche le altre ragazze cominciarono a telefonare e a confabulare su qualcosa che evidentemente le teneva molto impegnate.
Gisella notò che ogni volta che le giovani uscivano fuori dalla sala erano puntualmente seguite dagli sguardi di tutti gli uomini presenti.
Sfido, si disse, con quelle minigonne! E però bisogna essere di bocca buona per sbavare dietro a delle ragazzine, graziose, lo ammetto, ma diciamocela tutta, anche volgarucce, senza un filo di classe.
Così dicendo non poté fare a meno di voltarsi verso un lato del locale interamente ricoperto da specchi. Vi rintracciò la propria immagine riflessa. Si compiacque del proprio profilo, di donna aristocratica. Poi, istintivamente portò una mano ai capelli, raccolti in uno chignon e li accarezzò appena, quasi per assicurarsi che fossero in ordine. Soddisfatta, sorrise impercettibilmente e si mise in attesa.
Le ragazze continuavano imperturbabili a telefonare e la cosa aveva finito per coinvolgere anche Gisella, curiosa di veder concluso, chissà perché poi, quel forsennato tour telefonico.
Per questo restò seduta al suo tavolo prolungando la pausa oltre il consueto.
Poi le ragazze si alzarono tutte insieme, ognuna col proprio cellulare, per andare nell’atrio del caffè.
Gisella decise che era giunto il momento di andarsene e stava di nuovo per chiamare il cameriere quando notò qualcosa per terra accanto al tavolo occupato dalle ragazze.
Le ci volle poco per riconoscere lo scontrino di pagamento emesso dal suo negozio. Doveva essere caduto quando una delle ragazze aveva estratto il telefonino dalla busta con la camicetta.
Con cautela si mosse dal suo tavolo e lo raccolse.
Era tutto spiegazzato. Lo stese e restò allibita.
Lesse e rilesse lo scontrino e alla fine si convinse che non c’erano dubbi, appariva chiara e inequivocabile la cifra, 30 euro. Mancava un 3, il 3 di 330. Si spiegò così i commenti e le risate delle giovani orientali. Avevano fatto uno shopping proficuo quella mattina, ai suoi danni, pagando 30 euro una camicetta di seta pura che ne costava 330. Come fosse stato possibile al momento non riusciva a darsene una spiegazione o meglio la spiegazione avrebbero dovuto fornirgliela le sue dipendenti che avevano commesso un errore così grossolano.
Intanto fu presa da un senso di rabbia e di frustrazione.
Non certo per la perdita economica che per un negozio come il suo era poca cosa quanto per l’atteggiamento delle ragazze che non avevano fatto che ridere di quell’acquisto come se la boutique fosse stata una specie di casa degli allocchi.
Le ragazze intanto continuavano fittamente a telefonare nell’atrio del locale.
Fu allora che Gisella prese la sua decisione. Rapida e inusitata per una donna elegante e raffinata come lei.
Chiamò il cameriere e saldò il conto. Poi si alzò e con gesto disinvolto prese dal tavolo delle ragazze il bicchiere con la bibita che non era stata toccata e lo vuotò d’un fiato, asciugandosi poi le labbra col dorso della mano.
Restò immobile per qualche istante, in piedi, in mezzo al locale, sfidando con lo sguardo chi avesse avuto l’ardire di biasimarla e dopo aver emesso un profondo sospiro uscì con passo deciso, per rientrare al lavoro, nell’amata boutique.

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