#182 - 4 febbraio 2017
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Editoriale

Sciuscià

di Dante Fasciolo

Ci fu un tempo,
che molti di noi non hanno conosciuto
e molti altri ne hanno uno sbiadito ricordo,
in cui molti ragazzi della Napoli affamata
rincorrevano i soldati alleati
per lucidargli le scarpe per qualche spicciolo
o per una tavoletta di cioccolato o altro commestibile.

Qualcuno, ingegnoso si costruì un panchetto
e si stabilì in un angolo della città
ritenuto idoneo per un passaggio di clienti
e lì cominciò ad esercitare un vero e proprio lavoro.

Gli anni passano, l’Italia cambia,
c’è il boom economico e nuove opportunità si affacciano.
Il mestiere di sciuscià non soddisfa più nessuno,
e la metafora del film di Vittorio De Sica
in cui due sciuscià finiscono male
per aver sperato troppo: il possesso di un cavallo,
chiude una narrazione di bisogno e di speranza,
a suo modo romantica e aperta al futuro.

Il nostro vignettista Trojano, in questo giornale,
disegna uno sciuscià che lucida le scarpe a San Lucido,
il santo protettore, appunto, dei lustrascarpe
e si riferisce all’iniziativa della regione Sicilia
che ha indetto un corso per novelli sciuscià.

Apriti cielo, sberleffi e invettive…
Siamo forse tornati ai primi anni quaranta?!
L’Italia è così ridotta male?
I giovani dovranno umiliarsi a fare gli sciuscià?

No. E’ un primo segno tangibile per rispondere
alle esigenze che la tumultuosa crescita italiana
ha lasciato cadere…fin da quando
un intero popolo di contadini lasciò la terra
e corse alla fabbrica affamata di braccia.

Fare lo sciuscià oggi non è da considerasi umiliante,
può ben significare invece l’inizio di scelte
che recuperano ciò che si è perduto nel tempo…
e tutti sanno quanti mestieri manuali
non trovano giovani leve per sopravvivere.
Per malintesa dignità, molti scelgono strade intasate,
soste annuali nelle liste di collocamento,
forse un giorno un comodo mantenimento
che promette un facile reddito di cittadinanza.

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