#176 - 10 dicembre 2016
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterŕ  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerŕ  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, puň durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni piů importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchč (Mark Twain) "L'istruzione č l'arma piů potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non č un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchč i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltŕ  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensě nella capacitŕ  di assistere, accogliere, curare i piů deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltŕ  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo č un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminositŕ, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

Un bel Natale

di Ruggero Scarponi

Una notizia buona e una cattiva.
La buona: sono stato assunto al Teatro Comunale come capo elettricista, comincio oggi 24 dicembre con le prove per la nuova commedia.
La cattiva: la mia fidanzata mi ha lasciato, me l’ha comunicato per telefono poco fa.
Oggi, dunque, a parte l’assunzione a tempo indeterminato, sembra che tutto vada storto.
C’è stata anche un’interruzione di corrente di circa quaranta minuti che ha messo in forse tutto il lavoro della Compagnia.
In piĂą due colleghi non si sono presentati, si sono dati malati.
Insomma tra il ritardo dovuto all’interruzione di corrente e il lavoro in più per sostituire i due colleghi, anziché terminare alle ventuno sono uscito dal teatro che erano quasi le ventitre.
Non avendo piĂą la ragazza non avevo impegni e nessuno che mi aspettasse.
Solo che l’idea di rientrare in una casa vuota e pensare di prepararmi la cena non mi sembrava tollerabile. Vicino alla fermata del bus c’è un vecchio che vende hot dog. Se ne sta tutto il giorno chiuso in un gabbiotto di legno a vendere panini. Lo conosco di vista e qualche volta mi sono fermato da lui a mangiare qualcosa. Penso che potrebbe essere una buona idea per stasera. Un hot dog non sarà la migliore cena di Natale ma…ho una fame da lupo e non mi faccio problemi.

Buonasera, dico avvicinandomi al chiosco, mi farebbe un panino?
Il vecchietto mi guarda sorridente annuisce vistosamente e comincia a preparare l’hot dog.
A un tratto si ferma e dice, che freddo stasera, vero? Dico di si con la testa e mi frego le mani. La temperatura è rigida, il cielo è limpido, sembra un cristallo, pieno di stelle.
Senta, aggiunge il tipo, mi scusi se mi permetto. Lo guardo interrogativo, è la prima volta che mi parla, ma non ho voglia di fare conversazione, sono stanco e affamato, in questo momento l’unica cosa che desidero è di mangiare il panino e poi filare a casa a dormire, sono frastornato.
Non è per essere invadente, aggiunge, ma forse anche lei è solo stasera?
Sono davvero sorpreso, così sorpreso che non riesco a trovare una risposta adeguata.
Che gliene importa al vecchio se sono solo, non sono fatti suoi.
Per la veritĂ , si, rispondo, senza riflettere.
Ecco, allora, forse ho qualcosa di piĂą adatto di un hot dog. Le piace la zuppa di crauti e maiale affumicato?
Mia moglie, aggiunge senza darmi neanche il tempo di continuare, prima di morire mi ha lasciato la ricetta e io me la preparo per le sere d’inverno, quando fa freddo. E’ una zuppa robusta, corroborante, ne vuole un po’? ne preparo sempre troppa, non so regolarmi, è buona e poi…offre la casa. Resto interdetto, ma la zuppa mi tenta e il vecchio m’incuriosisce.
Va bene, dico, ma solo un assaggio e però vorrei pagare…
Offre la casa, ribadisce il vecchio, e venga dentro, c’è posto, in due ci si sta comodi.

Entro nel chiosco. L’uomo mi serve la zuppa caldissima in una ciotola bianca di terracotta smaltata.
Poi dopo essersi servito anche lui, pesca dal fondo della pentola un pezzo di carne affumicata e la fa scivolare nella mia ciotola rischiando di far debordare il liquido.
Annuso il cibo in una nuvola di vapore.
Il profumo è intenso, invitante.
I crauti e le altre verdure del brodo si sono quasi dissolte a causa di una cottura molto prolungata e l’aspetto è di un liquido denso.
Vi immergo la punta del cucchiaio e ne assaggio un po’.
E’ buona, dico, calda, ti scalda dentro.
E’ buona, si, sorride il vecchio, compiaciuto.
In compagnia è ancora più buona, aggiunge.
Ci sento il cumino, dico, o sbaglio?
No, no, dice giusto. Il cumino, il cumino è il segreto, che da quel gusto così particolare. Si sposa a meraviglia con la carne affumicata. Eh, eh, ridacchia, lei ha buon gusto.
Il cumino mi piace, rispondo, mia madre lo usava spesso, in cucina. Mia madre era di origine nordica, Alta Italia.
Come mia moglie, annuisce il vecchio. Mia moglie era di Trieste. Questa zuppa viene da lì, roba austro-ungarica. Qui da noi non è facile trovare la carne di maiale affumicata. Io, però, ho scoperto una norcineria in centro, che la vende. Non sempre, ma abbastanza spesso, d’inverno.
E’ buona, dico, addentando il pezzo di carne di maiale.
E’ buona e appena provo a masticarla, sento lingua e palato inondarsi di fluidi profumati.
Ci sento l’odore del legno di pino che bruciando è servito all’affumicatura e il grasso, distribuito in sottili venature, che si è sciolto quasi completamente con la bollitura.
Lei deve essere uno del Teatro, esordisce a bruciapelo il vecchio, l’ho vista che usciva dalla porta riservata al personale.

La zuppa è talmente calda e inebriante che per un istante quasi mi ci perdo dentro e non mi rendo conto che quello mi sta parlando.
Eh, eh! Ridacchia il vecchio, è proprio, buona, dice, sono contento che se la stia gustando.
Ah! Mi scusi, rispondo sollevando la testa sopra la ciotola, era che non mangiavo una zuppa così buona da tanto tempo e…
Non si preoccupi, faccia con calma, magari, dopo, scambiamo due chiacchiere, se le va.
Grazie, ma…si, lavoro al Teatro Comunale, da questo pomeriggio per la precisione.
Un tecnico? Domanda il vecchio.
Capo elettricista, rispondo con un po’ di pudore, temendo di apparire vanesio.
Complimenti, mi elogia, una bella responsabilitĂ , credo.
Altrochè. Oggi, poi, non le dico, un inizio trionfale, si fa per dire.
Mi guarda di sottocchi e azzarda, rogne?
Eh, si. Mah! Sospiro e resto silenzioso.
Finiamo la zuppa praticamente insieme.
Un bicchiere di vino rosso? Che ne dice? Con questo freddo!
Bè, rispondo, per la verità la zuppa mi ha già scaldato ma un bicchiere di vino non lo rifiuto.
Bene, fa il vecchio, e stappa una bottiglia di valpolicella.
Poi riempie due bicchieri di plastica.
Alla salute, dice con un largo sorriso, e Buon Natale!
Buon Natale, rispondo contento.

Devo dire che il vecchio ha saputo creare un’atmosfera di simpatia e condivisione che non ricordavo. Per molti anni ho vissuto con tedio le festività natalizie. Mi erano diventate insopportabili nel ripetersi noioso di rituali nei quali non mi riconoscevo più. Il Natale mi sembrava una finzione nel quale sopravviveva prepotente soltanto l’interesse commerciale, un’odiosa kermesse consumistica.
Che cosa c’era in programma oggi? Chiede il vecchio.
Le prove per una commedia di Shakespeare, rispondo, Il Sogno di una Notte di Mezza Estate, la conosce?
Si, si affretta a rispondere, anche se non l’ho mai vista, a teatro. Però da ragazzo ricordo di averne letto il testo, a scuola. Anzi, aggiunge e qui si fa una bella risata, in un certo senso posso dire che quella commedia mi ha cambiato la vita, sa?
Davvero? E come, chiedo curioso.
Pensi, continua il vecchio, da ragazzo, mi piaceva recitare ed ero anche bravino, oh! Parliamo di tanti anni fa, di quando frequentavo la prima media. Ecco che il nostro insegnante di lettere che era un brav’uomo e sapeva come interessare i suoi allievi, aveva preparato una riduzione e un adattamento della commedia che avremmo dovuto rappresentare alla recita di fine anno.
A me toccò il personaggio di Bottom, praticamente il primo attore.
E allora, che le successe?
Di nuovo il vecchio scoppia in una risata.
Guarda tu la vita, dice, a volte prende delle strade veramente curiose.
Insomma a quell’età ero bravo a scuola e avevo una bella memoria, tutte qualità eccellenti per un aspirante attore. Eppure non avendo ancora sviluppato, avevo undici anni, quasi dodici, avevo un fisico, diciamo, ancora in fase di definizione. Per farla corta, era bassotto grassoccio e con un sederone da senatore in pensione.
Ma tutto questo non avrebbe influito sul mio futuro se non fosse stato che Simonetta, una compagna per la quale stravedevo, a quei tempi, scopre che Bottom in inglese significa “chiappa”.
Un nome che mi si addiceva alla perfezione. E allora non ti dico. Divento oggetto di un’autentica persecuzione canzonatoria. Non potevo aprire bocca, non potevo fare un passo senza che qualcuno non mi ricordasse la mia ingombrante prerogativa.
E nessuno l’ha difeso? L’insegnante, qualche compagno, nessuno?
Ero troppo orgoglioso per ammettere di non riuscire a cavarmela da solo.
Fu piĂą semplice abbandonare la recita e per quel che mi riguarda, il mio futuro di attore.
Le vacanze erano vicine e in autunno al ritorno a scuola ero cambiato.
Avevo sviluppato. Mi ero alzato, ero dimagrito, del Bottom di pochi mesi prima non c’era più traccia.
Anzi le dirò, ebbi anche un flirt con quella stupidina di Simonetta che mi aveva fatto tanto soffrire.
S’interruppe e stette silenzioso a fissare un punto nel vuoto.
Poi si riprese e disse:
E adesso che ne dice di brindare con un altro bicchiere di vino?
Accettai naturalmente e passai con il vecchio qualche altro minuto in allegria.
Ora però, vada, disse, dopo il brindisi, altrimenti rischia di perdere l’ultima corsa dell’autobus. Poi chiudo la baracca e vado a dormire anche io, abito qui vicino.
Bè, dissi, non so davvero come ringraziarla. Sarebbe stata una giornata storta senza la sua zuppa, il suo valpolicella e la sua compagnia. La ringrazio davvero di cuore.
Lo salutai stringendogli forte la mano e poi abbracciandolo.
Mi sembrava di abbracciare un vecchio zio, un padre, un amico.
Avevo trascorso insieme a lui meno di un’ora e in fin dei conti non è che ci fossimo detti chissà cosa. Però era stato un momento di autentica condivisione che aveva trasformato quella notte in uno dei più bei natali della mia vita.

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