#165 - 5 settembre 2016
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterŕ  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerŕ  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, puň durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni piů importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchč (Mark Twain) "L'istruzione č l'arma piů potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non č un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchč i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltŕ  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensě nella capacitŕ  di assistere, accogliere, curare i piů deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltŕ  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo č un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminositŕ, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

Il leader

di Ruggero Scarponi

Un miliziano si avvicinò al gruppo delle donne che stavano accovacciate in terra e fece cenno ad una di loro, una ragazza, di alzarsi e di andare a sedersi su una sedia davanti alla scrivania. Dall’altra parte, seduto su una poltrona girevole, un giovane uomo rispondeva con incredibile calma ad una raffica di domande poste da alcuni civili, forse uomini politici. Nessuno di loro volse lo sguardo sulle donne.
Quando terminò il colloquio, i civili, furono accompagnati fuori, da guardie armate.
Nella stanza restarono solo il leader, quattro miliziani armati fino ai denti e le sei donne. Dovevano essere quasi le dieci del mattino, pensò la ragazza, a giudicare dalla luce che si poteva scorgere dalle finestre e faceva già molto caldo. Il leader mantenendo un’espressione calma parlava al telefono.
Rispondeva alle chiamate e in molti casi prendeva appunti minuziosi che al termine della telefonata conservava in una sua cartella oppure cestinava dopo una veloce rilettura.
Dava ordini di continuo, a voce, ai miliziani che provvedevano a trasmetterli all’esterno, ma soprattutto attraverso una vecchia radio militare.
La ragazza obbedendo all’ordine del miliziano si era seduta cercando di mettersi più compunta possibile, tenendo lo sguardo basso, evitando di guardare, con troppa insistenza, il leader in volto.

L’uomo era molto diverso dai suoi miliziani. Era calmo e sereno e trasmetteva un senso di fiducia che contribuì non poco a calmare le donne. Erano state rapite nel cuore della notte dai ribelli che avevano fatto irruzione nella loro casa infischiandosene dell’insegna dell’agenzia internazionale che in teoria avrebbe dovuto proteggerle. L’irruzione era stata breve e burrascosa. Le donne erano state tirate giù dai letti con modi spicci e spinte insieme al personale di servizio nel cortile esterno, al buio, con indosso i pochi vestiti che erano riuscite a prendere. Senza tanti complimenti e senza alcuna spiegazione erano state fatte salire su un autocarro. Poi dopo aver viaggiato in condizioni a dir poco disagevoli erano finalmente arrivate a destinazione. Scese dal mezzo erano state introdotte in quella stanza, quando non era ancora l’alba. Il leader mentre parlava con i suoi soldati, fissò in modo diretto la ragazza, un paio di volte.
Tendendo l’orecchio, le donne, potevano ascoltare gli echi di una battaglia che sembrava avvicinarsi.
Le ore trascorrevano senza che nulla avvenisse. Il leader continuava il suo lavoro instancabile. Parlava di continuo, al telefono o alla radio oppure dettava ordini per i suoi aiutanti che svelti correvano a portarli ai comandi delle postazioni. Ogni tanto riceveva degli ufficiali con i quali aveva brevi scambi verbali. A volte schizzava su fogli di carta le istruzioni per la disposizione delle truppe. Svolgeva tutto con apparente distacco senza mostrare la minima ansia o apprensione.
Di tanto in tanto sembrava interessarsi persino della situazione delle donne, dando istruzione ai suoi di provvedere a dissetarle, in considerazione del clima torrido, che provocava una continua sudorazione. Ad un certo punto un miliziano gli si avvicinò per sussurrargli qualcosa all’orecchio. Quello assentì con la testa. Dopo, le donne furono invitate, sotto scorta, a recarsi al centro del campo, dove avrebbero potuto servirsi di una rudimentale latrina.
Tornate nella stanza avvertirono come la temperatura fosse notevolmente aumentata. Quasi un forno.
Si buttarono sul pavimento stremate. La mancanza di sonno, l’angoscia di una situazione confusa, il digiuno prolungato, contribuirono a creare in loro uno stato di prostrazione.
Di nuovo però un miliziano ordinò alla ragazza, che si era sistemata con le altre compagne, di andare a sedersi sulla sedia, di fronte alla scrivania.
Appena si fu seduta il leader senza dire nulla approvò con la testa.
Era chiaro, pensò la ragazza, che l’uomo la voleva lì per qualche motivo. E non era casuale che avesse scelto lei, gli sembrava.

Cosa poteva volere?, si chiese Non era la direttrice, lei era una semplice cooperante. Non sapeva nulla di politica e la sua presenza in quel paese era solo nell’ambito di una missione umanitaria.
Il leader disse qualcosa a un miliziano che subito si precipitò fuori.
Dopo circa un’ora, alle due del pomeriggio, forse, degli inservienti portarono acqua e cibo.
Verdure, pesce stufato e riso bianco. Nonostante che le donne fossero digiune dalla sera prima, l’odore penetrante del pesce, e quello assai inconsueto del riso, le dissuase dall’ingerire altro se non i vegetali bolliti, unico cibo ritenuto commestibile.
Alle quattro del pomeriggio il calore raggiunse la punta massima.
Dentro la stanza, le donne si erano assopite. Solo la ragazza seduta sulla seggiola vegliava, mentre il leader continuava a trasmettere ordini. Una volta, per pochi istanti, incrociarono gli sguardi.
Devo parlare con lei, disse l’uomo ma l’arrivo di una staffetta con importanti notizie lo distolse dall’intento.
Dopo, prolungandosi l’attesa, anche la ragazza, cedette al sonno.

Le donne si risvegliarono che era già buio. Nella stanza non c’era anima viva a parte loro. Dall’esterno giungevano solo i rumori della natura, squittii d’animali e richiami di uccelli.
Il rombo della battaglia era cessato così come i frequenti allarmi delle pattuglie in perlustrazione.
Le donne erano completamente disidratate, ma fortunatamente i miliziani avevano lasciato una tanica d’acqua. Ne bevvero avidamente.
La ragazza si alzò dalla sedia e con cautela osò affacciarsi prima da una finestra e poi sulla porta che conduceva all’esterno, nel cortile.
Non c’era più nessuno.
Dopo una mezz’ora, le donne decisero di uscire, avevano bisogno di prendere un po’ d’aria.
Fuori il buio era totale, l’elettricità era stata tolta e in tutto il campo non funzionava più nessuna lampada.
Ad un tratto mentre si aggiravano smarrite in cerca di qualcosa o qualcuno furono investite da un frastuono sordo e minaccioso.
Terrorizzate tornarono a rifugiarsi nella stanza dove erano state rinchiuse tutto il giorno e appena in tempo per vedere il cortile invaso da numerosi veicoli militari.
Grazie al cielo, recavano l’insegna dell’agenzia internazionale.

Una settimana dopo essere state portate al sicuro, la ragazza ricevette la visita di alcuni uomini dei servizi, che volevano informarsi sull’episodio del rapimento.
Può spiegarci il comportamento di quell’uomo nei suoi confronti? Le chiesero senza tanti preamboli. Lo conosceva?
Non mi sembra, rispose sorpresa la ragazza. L’ho visto una sola volta, prima del rapimento, alla nostra missione. Era venuto scortato dai suoi uomini per farsi curare una ferita d’arma da fuoco alla coscia, ma niente di grave.
E’ stata lei a curarlo?
No, io ho solo assistito la nostra direttrice che se n’è occupata.
Ha notato nulla d’insolito durante quell’incontro? Ha voluto sapere qualcosa di voi, della vostra attività, della vostra vita da civili? Vi ha interrogato su qualcosa?
No. Però quando se n’è andato ha chiesto i nostri nomi. Questo è tutto.
Signorina, disse l’ufficiale che la stava interrogando, può dirsi davvero fortunata, insieme alle sue compagne, infatti, non si è trattato di un rapimento, nonostante le apparenze. E’ difficile crederlo, ma quell’uomo vi ha salvato la vita. Facendo irruzione nella missione ha impedito che finiste nelle mani degli sciacalli e dei saccheggiatori, nel momento di maggior caos. La sua protezione vi sarà sembrata rude, ma senza dubbio, efficace. Perché l’abbia fatto è un mistero e speravo di avere qualche lume da voi, pertanto se le viene in mente un particolare che potrebbe aiutarci a comprendere meglio questo episodio, non si faccia scrupolo d’informaci, è importante. Al momento le auguro buona fortuna e buon ritorno a casa.
In realtĂ  la ragazza chiese e ottenne di lavorare ancora qualche mese in un ospedale della capitale che riconquistata dalle truppe regolari era tornata alla normalitĂ .

Nella struttura sanitaria giungevano ogni giorno decine di feriti, quasi tutti ribelli, gli irriducibili, stanati uno ad uno dai loro nascondigli.
Un giorno la ragazza mentre prestava il proprio servizio, come infermiera fu incuriosita da un uomo, un ribelle, gravemente ferito e da poco trasportato in ospedale.
L’uomo non si lamentava limitandosi a fissarla.
La ragazza lo riconobbe. Nonostante le ferite e le ustioni ne avessero sfigurato il volto, era di certo il leader dei ribelli. Lo riconobbe dall’espressione calma e serena.
Gli si avvicinò e con una garza cercò di pulirlo liberandogli la fronte e gli occhi dal sangue e dai detriti che vi si erano incrostati a causa dell’esplosione di un ordigno.
L’uomo con un grande sforzo di volontà riuscì a prenderle la mano. A fatica pronunciò un nome. Fu il suo ultimo sospiro, prima di morire.

Per molto tempo la ragazza pensò a quello strano episodio.
Non riusciva a dimenticare quell’uomo che anche dopo morto continuava a rappresentare un enigma.
Perché aveva deciso di salvare proprio sei donne rimaste isolate nel caos di una guerra civile? E perché aveva voluto che solo lei sedesse sulla sedia davanti alla scrivania?
Era stato un gesto preciso, non casuale. Forse desiderava interrogarla?
Forse l’aveva scambiata per la direttrice della missione?
Forse era interessato a lei, come donna?
Ma dopo tanto riflettere trovò che purtroppo era impossibile rispondere a qualsiasi domanda. La morte, infatti, aveva troncato di netto il filo che conduceva alla spiegazione. E nessuno le avrebbe fornito la risposta, avesse campato mille anni.
E rabbrividì a un simile pensiero. Al pensiero che una parte importante della sua vita fosse avvolta da un mistero che non le sarebbe stato svelato.
Invece, una notte, durante il sonno, le tornò a mente il nome pronunciato dall’uomo.
Si svegliò di soprassalto, turbata.
E’ Il piccolo Amin mormorò, il bimbo che la sua famiglia aveva adottato a distanza, vent’anni prima.
L’uomo, divenuto leader dei ribelli, doveva averla riconosciuta durante la visita alla missione in cui si era fatto curare la ferita. Di lei forse aveva conservato il ricordo del nome, insieme con quello della famiglia che lo aveva adottato. L’adozione, a causa dei gravi rivolgimenti politici nel paese, era stata presto interrotta. Lei a quel tempo era solo una bambinetta di pochi anni ma sua mamma, in una letterina scritta al piccolo Amin aveva pensato di aggiungere una foto con l’indicazione del nome di ognuno dei componenti della famiglia. E Amin, divenuto capo dei guerriglieri, se ne era ricordato, salvandola, insieme alle sue compagne.

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