#155 - 18 aprile 2016
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrŕ in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerŕ il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchč ti morde un lupo, pazienza; quel che secca č quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport č l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte č costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista č colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Racconto

Le secche di Sant'Andrea

Parte terza

di Ruggero Scarponi

Il Dubbio

Mentre l’assemblea si scioglieva ed ognuno tornava alle proprie occupazioni, René mi si avvicinò e guardandomi dritto negli occhi, disse:
perché non li hai informati del “colpo” di questa notte?
Che cosa ne sai tu? Non stavi dormendo? Risposi secco.
E’ vero, ma ero abbastanza sveglio, da sentire e ricordare…ricordare.
Che vuoi dire?
Lo sai benissimo, ribatté con un sorriso malizioso, loro sono qui, aggiunse, e vogliono ciò che gli spetta…
Lo disse canterellando in maniera provocatoria, irritante.
Tu devi essere pazzo, René e al ritorno a casa fari bene a farti vedere da qualche specialista.
Scoppiò in una risata sguaiata che non gli conoscevo, come se in lui si fosse destata una nuova personalità, e la cosa non mi piaceva affatto.
Uno specialista di che, mi urlò in faccia, di “colpi secchi”?come quello che ha rovesciato la nostra barca o quello che si è portato via stanotte i due “piccioncini innamorati”?
Era uscito allo scoperto René e aveva colpito nel segno.
Era vero, anche io non potevo negare di aver pensato le stesse cose, per questo dissi:
Diamoci una calmata René, diamoci una calmata. Non dico che sarà una passeggiata, ma ti prometto…
Non mi lasciò finire la frase.
Tu non capisci, disse tentennando il capo, proprio non capisci. Poi si acquietò e guardandomi di traverso con un sorriso più simile a una smorfia mi fece un mezzo saluto con la mano per tornare a occuparsi delle sue cose.

Il giorno trascorse in un’atmosfera irreale. Ci sentivamo tutti sovrastati da un senso di angosciosa aspettativa. Ci rendevamo ben conto, infatti, che quanto capitato a Meg e Charles conteneva un che di misterioso, qualcosa che non riuscivamo a spiegare e che ci rendeva impotenti.
Nonostante tutto portammo a compimento i preparativi per la partenza.
Caricammo sulla nostra imbarcazione acqua e viveri sufficienti per una traversata di alcuni giorni.
Non vedevamo l’ora di partire, ma dell’entusiasmo del giorno prima non c’era più traccia. Il resto della giornata lo trascorremmo nella ricerca dei dispersi.
Con scrupolo setacciammo l’isola più e più volte. Organizzammo persino turni di vedetta per scrutare il mare se mai dai flutti emergesse qualcosa o qualcuno. Tutto fu vano.
Giunta la sera, decidemmo di interrompere le ricerche, eravamo stremati. Ci riunimmo allora per mangiare insieme l’ultimo pasto sull’isola e prendere un po’ di riposo prima della partenza, l’indomani all’alba.
Ma prima di ritirarci a dormire chiesi a René di uscire all’aperto per scambiare due chiacchiere.
Volevo cercare di capire di piĂą delle sue strane premonizioni.
Se c’è qualcosa di concreto di cui sei a conoscenza, esordii con un tono pacato, forse dovresti dirmelo, ne va della sicurezza di tutti.
René assunse un’aria tranquilla, sembrava voler raccogliere i suoi pensieri e poi disse:
veramente ci sarebbe qualcosa, ma io stesso non voglio credere a certe storie.
Eppure, lo incalzai, poco fa mi è sembrato che ne fossi piuttosto influenzato…
Che vuoi che ti dica, rispose calmo, è tutto talmente assurdo! E io…insomma…ci credo e non ci credo. Anche se per la verità, dentro di me si agita da qualche tempo una strana sensazione di pericolo come se qualcuno o qualcosa tentasse di mettersi in contatto…ma non riesco a percepire con chiarezza…il messaggio! Sospetto in ogni caso che sia ostile e quanto capitato la notte scorsa potrebbe esserne la prova.
Quindi, azzardai, tu pensi che i due ragazzi abbiano fatta una brutta fine?
C’è forse una ragionevole alternativa a questo dubbio?
No, dissi, credo proprio di no.

Un’antica leggenda

René ad un certo punto mi fissò serio, ti racconterò una storia, disse, che ho appreso durante una ricognizione in biblioteca. In un antico testo spagnolo del 1600, ho trovato il riferimento all’unica fonte in cui è attestata l’esistenza di queste “secche”. L’autore riporta una tradizione orale degli indiani in cui si narra che da tempi antichissimi, gli “spiriti” usano manifestarsi secondo misteriosi cicli temporali su quelle che noi chiamiamo “secche di Sant’Andrea”. I banchi sabbiosi emergerebbero proprio per assolvere a questo compito.
Il luogo resterebbe inaccessibile, fuori del tempo, chiuso in una sorta di calotta invisibile ai mortali. All’interno si sprigionerebbero forze sovrannaturali e si compirebbero eventi incomprensibili agli uomini. Alcuni uomini, però, chiamati dagli indiani uomini-aria, hanno, per motivi misteriosi, la facoltà di congiungersi psichicamente con queste forze. Il loro compito è tramandare il tabù del luogo. Solo a loro è concesso di sopravvivere se per caso venissero a trovarsi su queste “secche”.
Guardai René incredulo, bé, dissi, tanto domattina si parte e ci lasceremo alle spalle tutte queste superstizioni.
Lo dissi con fare spavaldo, ma in cuor mio non ero piĂą tanto sicuro che fossero solo fandonie. Andiamo a dormire, dissi, domani dovremo essere in forma per affrontare il viaggio per il quale non ti nascondo di nutrire qualche timore.
Ci ritirammo al castello e in breve ci addormentammo.

Epilogo

Il mio sonno si fece inquieto. Presi a smaniare e ad un certo punto verso le 2 di notte mi svegliai sudato e ansimante. Qualcosa mi spingeva ad uscire. Volli prendere un po’ d’aria e aggirando gli scogli mi trovai in riva al mare. In quel momento avvenne la materializzazione del mistero.
L’aria sembrò fermarsi. Scese un silenzio carico di tensione. E vidi.
Come posseduto da uno spirito, il mare si ritirava davanti a me per sollevarsi in forma di alta muraglia. E poi cominciò ad avanzare come un mostro fantastico, immenso e incombente.
Si arrestò a pochi metri. Comunicava con me. Non riuscivo a muovermi, ero letteralmente paralizzato. L’immensa muraglia liquida mi sovrastava carica di un’energia terribile e sconosciuta.
Comunicava con la mia mente. I miei circuiti cerebrali furono invasi da flussi psichici e da linguaggi inesprimibili. Mi offriva la vita. A me solo. Ero dunque io il predestinato a tramandare il mistero. René aveva trasferito su di me il carisma. Mi ricambiava un antico favore.
Alcuni anni prima, e fu l’occasione in cui nacque la nostra amicizia, ebbe un gravissimo incidente automobilistico. Durante un viaggio turistico in Italia, di notte, si scontrò frontalmente con un camion. La sua macchina fu distrutta e lui finì privo di conoscenza e con gravi traumi, in un burrone. In quel periodo io mi trovavo in vacanza in una villetta a qualche chilometro di distanza. Il luogo dell’incidente era deserto e il conducente del camion era morto.
Una sorta di premonizione mi spinse ad uscire e a recarmi sul posto. Resomi conto di quanto era avvenuto chiamai subito i soccorsi riuscendo a salvare la vita di René. Egli serbò nei miei confronti una sincera riconoscenza e da allora tutti gli anni d’estate non mancava d’invitarmi a trascorrere una vacanza sul suo yacht. Mi sganciai dal contatto telepatico con lo spirito del mare. Rientrai nel castello. Non sapevo cosa dire né cosa fare. Improvvisamente con un fragore assordante si scagliò contro la nostra isoletta uno tsunami. Tutti i miei compagni si svegliarono in preda al panico. Le urla dei bambini terrorizzati, non si udivano più, tanto era il rumore prodotto dalla furia degli elementi.
Gigantesche onde si succedevano a ritmi serrati spazzando l’isola da un capo all’altro.
La parete di roccia della grotta resistette fornendoci un sicuro e momentaneo rifugio.
L’isola, però, appariva completamente sommersa sotto l’oceano in subbuglio.
In pochi istanti avevamo tutto perso tutto, compresa la nostra imbarcazione, che c’era costata tanta fatica.
Eravamo sconvolti e il peggio doveva ancora accadere.
Ci trovavamo naufraghi sui pochi scogli che avevano resistito all’uragano, privi di tutto. Nel frattempo era calata una calma sinistra e minacciosa.
Ma fu solo questione di poco e poi di nuovo l’intero oceano sembrò riversarsi su di noi.
Mi voltai verso René. Il mio sguardo era supplicante e interrogativo.
Mi ricambiò con indifferenza, disse solo, ora sai tutto, non c’è altro da dire, ma promettimi, che non dimenticherai.
Volevo rispondere che non sapevo…non volevo…Ma l’oceano prese a turbinare su di noi con un fragore infernale. Uno spettacolo grandioso e terrifico.
Ci stringemmo l’un l’altro, certi che fosse arrivata la nostra fine.
Il turbine si portò via tutti i miei compagni.
Io restai svenuto per diverse ore sui pochi scogli rimasti.
Quando mi svegliai trovai accanto a me una barca con due buoni remi.
Tutto era finito.

AAAA ATTENZIONE - Cari lettori, questo giornale no-profit č realizzato da un gruppo di amici che volontariamente sentono la necessitŕ di rendere noti i fatti, gli avvenimenti, le circostanze, i luoghi... riferiti alla natura e all'ambiente, alle arti, agli animali, alla solidarietŕ tra singoli e le comunitŕ, a tutte le attualitŕ... in specie quelle trascurate, sottovalutate o ignorate dalla grande stampa. Il giornale non contiene pubblicitŕ e non riceve finanziamenti; nessuno dei collaboratori percepisce compensi per le prestazioni frutto di volontariato. Le opinioni espressi negli articoli appartengono ai singoli autori, dei quali si rispetta la libertŕ di giudizio (e di pensiero) lasciandoli responsabili dei loro scritti. Le foto utilizzate sono in parte tratte da FB o Internet ritenute libere; se portatrici di diritti saranno rimosse immediatamente su richiesta dell'autore.