#147 - 8 febbraio 2016
AAAAA ATTENZIONE - Amici lettori, questo numero resterà  in rete fino alla mezzanotte di venerdi 05 aprile, quando lascerà  il posto al numero 349. BUONA LETTURA A TUTTI - Ora ecco per voi alcune massime: "Nessun impero, anche se sembra eterno, può durare all'infinito" (Jacques Attali) "I due giorni più importanti della vita sono quello in cui sei nato e quello in cui capisci perchè (Mark Twain) "L'istruzione è l'arma più potente che puoi utilizzare per cambiare il mondo" (Nelson Mandela) "Io non posso insegnare niente a nessuno, io posso solo farli pensare" (Socrate) La salute non è un bene di consumo, ma un diritto universale: uniamo gli sforzi perchè i servizi sanitari siano accessibili a tutti (Papa Francesco) Il grado di civiltà  di una nazione non si misura solo sulla forza militare od economica, bensì nella capacità  di assistere, accogliere, curare i più deboli, i sofferenti, i malati. Per questo il modo in cui i medici e il personale sanitario curano i bisognosi misura la grandezza della civiltà  di una nazione e di un popolo (Alberto degli Entusiasti) Ogni mattina il mondo è un foglio di carta bianco e attende che i bambini, attratti dalla sua luminosità, vengano a impregnarlo dei loro colori" (Fabrizio Caramagna)
Racconto

Caldo

(Ogni riferimento a persone situazioni o luoghi reali
è da considerarsi puramente casuale)

di Ruggero Scarponi

La caserma dei carabinieri intitolata alla memoria della medaglia d’oro Tenente Colonnello Casarulli sorgeva in una delle spianate più aride di tutta la penisola. L’architetto che l’aveva progettata doveva avere in odio la Benemerita per aver concepito una simile mostruosità. Anzi, sarebbe davvero interessante conoscere gli argomenti con i quali seppe convincere le varie commissioni giudicatrici ad assegnare proprio a lui la realizzazione del manufatto.
A ogni modo si sa che riuscì nell’impresa, non facile, di far costruire la caserma in una località totalmente fuori mano e per di più esposta alle peggiori condizioni climatiche. Infatti, il luogo prescelto fu individuato nel mezzo di una landa deserta fatta di sassi e argilla. Per giustificare la scelta dell’architetto, il terreno, si disse, era stato acquistato a buon mercato, con notevole risparmio in beneficio dell’erario. Sfido che costava poco, potreste dire, se per vedere l’ombra di un albero era necessario prendere la campagnola di servizio e fare non meno di due o tre chilometri di strade polverose.
Il sito, l’avrete capito, era così infelice che d’inverno si formavano i ghiaccioli nelle camerate e d’estate…

Dunque, durante l’agosto di quell’anno, il sole picchiò sulla terra con violenza inaudita. Per tutto il mese nel cielo non si riuscì a scorgere l’ombra di una nuvola e gli uomini attendevano il calar della notte come una liberazione. Al tramonto l’astro infuocato restava a galleggiare sull’orizzonte per un tempo infinito mentre gli strati di aria che si sollevavano dal terreno incandescente ne agitavano l’immagine che sembrava prendere vita come fosse il simulacro di una beffarda divinità. I carabinieri di stanza alla Casarulli tentavano ogni espediente per alleviare l’impietosa ondata di calore con il risultato di peggiorare ogni volta la loro già trista condizione.
Di giorno, il tetto della caserma era del tutto inefficace contro la terribile canicola, mentre di notte, al contrario, sembrava un sofisticato congegno realizzato con il maligno scopo di trattenere tutto il calore accumulato durante le ore diurne sì che i poveri carabinieri non trovassero un momento di pace.
Ora si sa che dove c’è una caserma ci sono i turni di guardia. A quei turni i poveri militi guardavano con apprensione. Tutto bene se te ne capitava uno di notte, ma durante il giorno era un tormento. Pensare di ripararsi nella garitta non era possibile, in quell’ambiente angusto sarebbe stato come andare a ficcarsi dentro a un forno e d’altronde restare due ore in pieno sole poteva costarti molto caro. L’unica via d’uscita era, quando possibile, di sfruttare la poca ombra proiettata da qualche elemento architettonico. Il portale d’ingresso, una torretta, un cornicione e talvolta, nei casi più disperati, persino l’asta della bandiera. L’ingresso della caserma era costantemente presidiato da un graduato e da un appuntato. Costui di norma restava nei pressi della sbarra che azionata a mano regolava il transito di pedoni e automezzi. Operazione penosa in quei giorni di fuoco. Il metallo della sbarra se azionata senza la protezione di un guanto poteva provocare ustioni dolorose tanto si surriscaldava. Anzi era questo uno scherzo riservato alle reclute che pronte a scattare al comando del sottufficiale il più delle volte dimenticavano ogni precauzione lasciando sulla sbarra brandelli di pelle bruciacchiata. Quel giorno però a presidiare l’ingresso principale c’erano il brigadiere Costalonga e l’appuntato Agnolin.

Costalonga era un uomo di mezza età che era avanzato al grado di brigadiere grazie al diploma di geometra che si era preso durante il periodo di ferma. Un brav’uomo che raggiunto il limite della carriera, come unica ambizione aveva, in quel torrido agosto, una volta smontato dal servizio, di tornare a casa, mettersi sotto a una doccia gelata e passare poi il resto della serata insieme alla famigliola, spaparanzato sulla sdraia sistemata sotto un bell’albero di pino, ricordo di un lontano Natale. Agnolin invece era un ragazzotto di leva capitato alla Casarulli non si sa bene come con in testa una cosa sola: i cavedani di casa sua. Cioè quelli che pescava nel fiume vicino casa. Per questo motivo era l’unico di tutta la caserma che non temeva il turno di guardia.
Ora mi rendo conto che per voi che leggete non è facile comprendere che nesso possa esserci tra i cavedani di Agnolin e i turni di guardia alla Casarulli…ma …state a sentire.
Bisogna sapere che quando il giovanotto era comandato a fare la guardia, specie di giorno, a differenza dei suoi compagni, non se ne lamentava mai. E questo per una particolarità che lo rendeva immune a qualsiasi condizione climatica. Anzi, fare la guardia, per lui era una buona occasione di mettersi indisturbato per due ore a pensare ai fatti suoi e in particolare agli amati cavedani. E tanto ci pensava, il ragazzotto, e così intensamente, che finiva per immaginare di starci davvero, sulla sponda del fiume, vicino casa, sotto l’ombra fresca di qualche verde salice. E allora giù a trafficare con lenze e ami e poi forza a tirar su trote e cavedani che quando venivano a dargli il cambio, passate le due ore previste, quasi gli dispiaceva. Insomma, Agnolin quelle due ore se le godeva proprio, beato lui.

  • Ma come fai? – gli chiedevano i compagni. – startene lì, sotto il sole come se niente fosse. Ci saranno almeno cinquanta gradi all’ombra, figurarsi sotto il sole.
  • Eh, sa, che volete – rispondeva timido Agnolin – basta non pensarci.
  • E sì, ma quando il sudore ti cola da tutte le parti e la camicia ti si incolla sulla schiena, Santodio, anche tu sei fatto di carne, no?
  • E’ che io in testa c’ho la pesca. Io non mi curo del caldo. Sto lì, è vero, ma poi dopo un po’ non ci sono più, con il pensiero voglio dire, e allora mi vedo a casa, sulla riva del fiume, con i piedi nell’acqua fresca dei ruscelli che vengono giù dai ghiacciai delle nostre montagne e allora... – Non terminava la frase Agnolin ma nel volto gli si dipingeva un’espressione in cui era chiaro a tutti come quel ragazzo timido e semplice avesse trovato in un certo senso la ricetta della felicità .
  • Eh – sbottava qualcuno – ma come fai? Insegnaci pure a noi.
  • Mah – si schermiva il ragazzotto – non so, non saprei. Per me è naturale, mi viene facile, non faccio nessuno sforzo. Però a voialtri non saprei dire com’è che bisogna fare. Forse dovreste provare a concentrarvi su qualche cosa di piacevole.
  • Io c’ho provato – s’intromise un milite anzianotto dall’aria smaliziata – ma le cose piacevoli cui penso io, fanno venire ancora più caldo!

Un’altra cosa che bisogna sapere è che nella caserma vigeva una regola fondamentale. E cioè che senza transito di pedoni o automezzi la sbarra d’accesso, doveva essere rigorosamente abbassata. D’ordine del maggiore. Guai a trasgredire. Anzi vigilare su questa norma era compito specifico del graduato che aveva la responsabilità del corpo di guardia. In poche parole del nostro simpatico brigadiere Costalonga.
Ora il sottufficiale, quel giorno, o che avesse ecceduto nel mangiare o a causa della mole, pesava quasi cento chili, fatto sta che soffriva il caldo in maniera indicibile. E le aveva provate tutte per trovare un po’ di sollievo. Ma alle tre del pomeriggio non c’era nessuna speranza. Bisognava rassegnarsi a passare le due ore più infernali della giornata. Aveva cominciato con lo sventolarsi con il cappello. Aveva bagnato un fazzoletto alla fontanella vicino il posto di guardia e se l’era passato più volte sulla faccia, sul collo e sulla testa, ma niente da fare. Quello, il sole, si faceva beffe di lui e ogni volta tornava a tormentarlo con autentico sadismo.

  • Che cosa darei per un po’ di pioggia! – mormorò con un filo di voce, il viso disfatto, sotto una luce bianca e accecante.
    Poi vedendo Agnolin diritto e impalato, davanti alla garitta, completamente indifferente ai raggi solari e con lo sguardo perso in chissà quali luoghi freschi e ameni, non resistette e contravvenendo al regolamento si avvicinò per scambiare due chiacchiere e avere così l’illusione di far passare il tempo. Perciò disse:
  • Fa caldo, eh?
    Agnolin che non si aspettava la domanda, e per la verità un po’ indispettito dovendo distrarsi dai suoi amati sogni di pescatore, ebbe un’esitazione prima di parlare.
  • Signorsì, signor Brigadiere.- rispose, come risvegliato da un sonno.
  • Signorsì? – gli fece il verso Costalonga.
  • Io dico:fa caldo? E questo mi risponde, signorsì! E mica t’ho dato un ordine, t’ho fatto una domanda!
  • Signorsì – ripeté l’appuntato.
  • E che bella conversazione! – sbottò il brigadiere. - Potremmo andare avanti fino a domani: Signorsì, signorsì. - Ma tu, non senti caldo?- Domandò alla fine.
  • Signorsì – rispose ostinato Agnolin che ora cominciava a sudare più per l’imbarazzo che per il caldo. Costalonga si ritirò stizzito.
  • Manco due parole c’è modo di scambiare co’ ‘sto“cosoâ€. E a quest’ora se ne stanno tutti rintanati. Solo due scemi come noi se ne stanno fuori a fare la guardia alle mosche!
    Agnolin intanto approfittando del fatto che il suo superiore si stava allontanando si era messo placido a pensare ai cavedani di fiume.
    Ma Costalonga non si dette per vinto.
    -Ora però ci penso io – mormorò tra sé quasi con rabbia.
    Ritornò verso Agnolin che vedendolo arrivare riprese a sudare.
    -Comandi Signor Brigadiere – disse con un filo di voce, quando il graduato gli fu accanto.
    -E meno male! – Esclamò Costalonga – abbiamo cambiato musica?. Meglio così. – Ora stammi bene a sentire - disse serio sgranando i suoi occhi umidi, pieni di gocce di sudore che sembrava che avesse pianto – Qui occorre fare qualche cosa.
  • Signorsì, Signor brigadiere – rispose l’appuntato rigido sull’attenti.
    Il sottufficiale tacque mostrando soltanto un’espressione spazientita.
    Poi, quasi sottovoce e con grande risolutezza disse:
  • O lo facciamo adesso, o non lo facciamo più!
  • Che cosa? – Urlò spaventato Agnolin e aggiunse dopo una breve pausa, timoroso – Signor brigadiere.
    -Adesso ti dico io, cosa devi fare, ragazzo!.
  • Comandi Signor Brigadiere – rispose il giovane pronto ad affrontare qualsiasi impresa dietro l’ordine del suo superiore. Tanto per quel giorno aveva definitivamente accantonato i cavedani che ora avrebbero potuto nuotare indisturbati in lungo e in largo nel fiume della sua fantasia, al sicuro da retini e ami da pesca.
  • Ragazzo – riprese il Brigadiere – qui oggi non si respira, te ne rendi conto anche tu, no? Così non si può andare avanti.
  • Che devo fare Signor Brigadiere? – Urlò impettito e impaziente il giovane appuntato.
  • Tu esegui e non fare domande – ingiunse imperioso Costalonga.
    Un lungo sguardo pieno d’interrogativi corse tra i due carabinieri.
    In quel momento nell’aria surriscaldata del primo pomeriggio aleggiò un brivido di tensione.
  • Agli Ordini Signor Brigadiere! – scandì deciso Agnolin sbattendo i tacchi.
  • Allora, ragazzo, forza!- Lo esortò Costalonga - alza finalmente ‘sta sbarra. E facciamo entrare un po’ d’aria!
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