Fotografare la neve
le difficoltàdi ieri e quelle di oggi
Bianca Neve
di Guido Alberto Rossi
Precipitazione atmosferica costituita da aghi o lamelle di ghiaccio che, a seconda della temperatura, cade sotto forma di fiocchi o in granuli polverulenti: neve molle, fresca, farinosa, ghiacciata, un manto di neve.
La neve cade sulle montagne, una tormenta di neve, fare un pupazzo di neve, giocare a palle di neve.

Così viene spiegata sul vocabolario che non dice che è bianca perché, forse, dà per scontato che tutti la conoscano, il che è vero fino ad un certo punto, perché molti popoli che vivono al caldo la neve l’hanno vista solo in fotografia, con l’eccezione della squadra olimpica di bob giamaicana.

Per i fotografi la neve è manna che cada dal cielo, è un evento atmosferico che ti permette di realizzare migliaia di belle foto.

Puoi fotografarla quando cade, quando ricopre tutto quello che c’è sulla superficie terrestre, negli sport alpini e, ovviamente, scatena i fotografi artisti che non perdono mai l’occasione di scattare una bicicletta incatenata ad un palo ricoperta di neve.

Non tutti amano la neve, gli automobilisti la detestano, gli spalatori la maledicono e gli esposimetri si confondono e danno i numeri sbagliati, perché il bianco li acceca e quindi devi usare il trucco di misurare la luce su un colore neutro come il grigio e poi arrangiarti con l’esperienza e la ghiera dei diaframmi.

Oggi con i sensori delle macchine e dei telefonini non succede quasi mai che sbaglino a leggere il bianco della neve o il blu del mare, non chiedetemi il perché.

Quando la neve cade abbondante nelle grandi città, mettendo giù magari 30 cm. di scivolosa poltiglia, diventa un evento e occasione di business per i fotografi del luogo.


Quando a Milano nel gennaio del 1985 cadde la nevicata del secolo, mi scatenai slittando a fotografare tutti i monumenti noti della città ricoperti di neve; all’epoca uno dei miei buoni clienti era la rivista dell’Alfa Romeo “il Quadrifoglio” e proprio in quei giorni stavano smantellando lo stabilimento di Via Gattamelata.

Il suo direttore, Marino Bussi, non si fece scappare l’opportunità e facemmo un reportage tutto neve e muri distrutti che diventò l’ultima immagine di una storica fabbrica milanese, nei giorni successivi le ruspe finirono il lavoro.

Sempre negli anni 80, lavoravo molto anche per le riviste di sci ed alcune aziende di abbigliamento ed attrezzature sciistiche, eravamo in pochi fotografi disposti a stare fermi ore al freddo ai bordi delle piste con la ferma intenzione di fare il super scatto ai super campioni.


Erano foto tecnicamente difficili, non esisteva l’autofocus, e quindi, mettevi a fuoco sul palo di una porta o su un mucchietto di neve dove sarebbe dovuto passare lo sciatore e poi dovevi scattare qualche millesimo di secondo prima che sci e sciatore arrivassero sul punto esatto della messa a fuoco.


Ma la cosa più difficile era trovare il punto della pista migliore, dove il soggetto sarebbe passato a gran velocità e impegnato al massimo, senza trascurare l’immaginaria traiettoria del volo, se l’atleta fosse caduto a oltre 100 km. all’ora finendoti dritto sul naso.

Per trovare il punto giusto, dovevi scendere piano lungo tutta la pista e guardare attentamente ogni cunetta o angolatura della porta, immaginando come si sarebbe presentato il campione all’obiettivo in agguato.

Oggi ci sono postazioni fisse per i fotografi da cui non ti puoi muovere e l’autofocus sugli obiettivi, però ci sono anche tanti fotografi e quindi le difficoltà sono pari, non più sul piano tecnico ma sul piano commerciale, perché oggi è più difficile vendere.

La poesia della foto di neve è una cosa complessa, ci sono tanti elementi e tantissime cose da studiare prima di fare click, ogni foto può essere una sfida alla fantasia, un po' come cucinare il tacchino a Natale. Auguri!
