Grande giornalismo cristiano, di scrittura e di pensiero
Andrea Spada
di Amanzio Possenti

Sono passati ventuno anni dalla morte di monsignor Andrea Spada e in verità, da quel triste 1 dicembre
2004, ogni giorno sembra a me essersi fermato nel tempo, poiché di Lui porto il doppio e vivo ricordo
come di un familiare stretto nonchè dello straordinario direttore de ‘l’Eco di Bergamo’.
Se è indimenticabile, ora nella preghiera, la data di morte, non è da meno quella del suo onomastico, il 30
novembre, Sant’Andrea, quando ci convocava tutti noi redattori nel suo ufficio per dirci grazie dell’augurio
e per consegnarci - con la virtù generosa che lo distingueva - un dono speciale della sua riconoscenza.

Don Andrea è stato un ‘super’, indimenticabile interprete del giornalismo moderno, al tempo stesso umile e instancabile servitore di Cristo, tra l’eccezionalità della scrittura - i suoi editoriali nel neretto rientrato delle prime due colonne del giornale, soprattutto la domenica - e la riservatezza, che senza esibizione lo accompagnava nella vita interna della redazione e nella quotidianità esteriore. L’una e l’altra qualità - il bello scrivere, che contemplava lettori esigenti e no, e la normalità del vivere la dimensione del servizio all’informazione senza farne oggetto autoreferenziale – ne trasmettevano la severità dell’agire e la serenità del confrontarsi. Severità come forma autonoma e libera del valutare (e proporre) e serenità (condivisibile), anche in momenti drammatici (il terrorismo nel 1977-1978) quale antidoto responsabile alle tensioni del tempo.

E poi la bergamaschità: il legame intimo e profondo alla terra nativa - Schilpario era per don Andrea non solo casalinghità bensì luogo di memorie carissime, familiarità vissuta con i compaesani nelle celebrazioni eucaristiche domenicali, momento di riposo dai ritmi del giornale – e Bergamo, fra vita sacerdotale, Patronato, Messa dell’artista, ‘l’Eco di Bergamo’ (51 anni di direzione esemplare e migliaia di articoli ),obbedienza al vescovo, lieta convivenza con la città e i suoi problemi, riservata e costante attenzione ai poveri e agli ultimi sull’esempio dell’amico don Bepo Vavassori, gioia di sentirsi amato dai concittadini e desiderio di essere per loro un portatore di bene.
‘L’Eco di Bergamo’ è stato il traguardo di un ininterrotto spirito di fede, da quello esercitato come cappellano militare di marina a quello tradotto in articoli ed editoriali, frutto del Vangelo in esperienza motivata e di volontà di servizio all’informazione, plurale, corretta, rispettosa, raccontata con fedeltà, diretta alla verità e ai valori cristiani.

I suoi redattori - il sottoscritto fra questi, dal 1962 per 32 anni - conoscendone le sensibilità, lo stile e l’arte preziosa e amica dello scrivere per il lettore, incontrando quest’ultimo sulla strada della Notizia e del commento, lo apprezzavano come un padre ricco di umanità concreta ed esempio ammirevole di disponibilità al raccontare la cronaca della vita, espressa e fondata sul bene comune con la qualità del pensiero.