Tempi...moderni?
No, non vendo libri:
li leggo soltanto
di Giuseppe Sanchioni
Mark Twain – In questa Italia che non capisco – Mattioli1885 - 2011
Ogni giorno leggo il giornale ed ogni sera vedo un TG, quindi non ne posso più. Ma i recenti tragici fatti mi hanno fatto tornare in mente questo libro letto qualche estate fa.
Si tratta della riedizione dei capitoli relativi all’Italia di un libro scritto da Twain nel 1869 di ritorno da un viaggio in Europa. Paese che definisce come il più disgraziato e principesco della terra. Ed in questo direi che è molto attuale visto che siamo sempre tra gli ultimi posti in tutte le classifiche (ormai anche nel calcio). Però siamo sempre i migliori a fare i ricchi senza una lira. Pardon, un euro.
È un resoconto impietoso di un paese di straccioni da poco unito dall’alto ma a sua insaputa.
Twain va da Genova, dove attracca il piroscafo, a Milano, a Venezia, a Firenze poi a Civitavecchia, da cui prosegue per Roma, dove serve il passaporto non essendo ancora italiana. Per finire a Napoli, dove si reimbarca sullo stesso piroscafo per proseguire il viaggio nel Mediterraneo, verso oriente.
Si ritrovano molti luoghi comuni, ma anche tante situazioni attuali. È sicuramente inattesa, per l’italiano di oggi, l’unica cosa per cui Twain spezza una lancia a favore, che sono le stazioni e le strade. Infatti rimane stupito dalla sontuosità degli scali ferroviari e dalla levigatura e pulizia delle strade statali. Che per giunta non richiedono pedaggio. Mancano ancora quasi quarant’anni alla Ford modello T ed alla produzione di serie con le conseguenti highway americane a sei corsie! Ma non fatevi illusioni, questa è forse l’unica nota positiva di tutto il libro. E per giunta deve averci portato un po’ sfiga: infatti ormai riusciamo solo a spezzare cerchioni su strade tutte bucate per percorrere le quali a volte si deve pure pagare un salato pedaggio.
Evidentemente nel Regno d’Italia ottocentesco le strade e le stazioni non si facevano tramite gli appalti pubblici e di conseguenza venivano terminate, collaudate regolarmente ed inaugurate una sola volta.
Però qualcosa di quello che succede oggi era già nell’aria, già in embrione. Infatti Twain si lamenta che dal treno il paesaggio sia in continuazione interrotto da numerose (forse inutili?) gallerie: mi devo informare quale fosse il Ministro dei Lavori Pubblici dell’epoca.
Poi si lamenta che nessuno parli inglese: ma caro Twain è vero oggi che con la TV tutti parlano almeno italiano, figuriamoci all’inizio del Regno d’Italia dove ogni Stato parlava un idioma locale e non c’era neanche la radio! Si lamenta dell’accidia delle persone, che se fanno qualcosa anche solo per cortesia poi vogliono essere pagate. Della superstizione del popolo, che si affida ai miracoli, ha chiese piene di tesori mentre le scalinate esterne sono popolate da cenciosi che chiedono l’elemosina e non hanno un tetto dove andare. Tutto questo in città piene di palazzi nobiliari di marmo vuoti. Del fatto che esistano quantità incredibili di reliquie, tanti pezzi di croci da costruirne decine, ossa di santi che dovevano avere otto arti e tanti chiodi quanti ne ha una ferramenta. Che i frati chiedano l’elemosina e facciano penitenza ma siano tutti grassi e sereni.
Tutto questo è però mitigato dal riconoscimento che la vita da noi scorre più tranquilla, che dopo il lavoro le persone vadano a fare una passeggiata in piazza la sera, che le donne siano belle e che abbia conosciuto a Venezia una guida afroamericana che ha deciso di rimanere in Italia per questioni razziali. Tutte cose che in fondo stupiscono il pioniere che è in lui.
Insomma descrive un Paese che, a suo dire, per secoli ha speso gran parte delle sue risorse per costruire dei meravigliosi edifici affamando però metà dei suoi cittadini per riuscirvi. Dopo quasi ottanta anni di Regno e settanta di Repubblica, a nostro dire, possiamo affermare che l’opera è finalmente compiuta: ora si costruiscono opere sia brutte che inutili, comunque interminabili, e sufficientemente costose da affamare l’intera popolazione!
Consigliamo questa lettura a tutti ma in modo particolare alle nostre Autorità . Come si dice: facciamo vedere di cosa siamo capaci noi italiani!
Cari gufi: non vi viene il dubbio che centocinquant’anni siano passati invano?