#346 - 17 febbraio 2024
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Fotografia

Tra giornali noncuranti, agenzie furbe, fotografi rassegnati

La firma

di Guido Alberto Rossi

Fin dalla notte dei tempi, in Italia c’è stata la guerra della firma tra i fotografi e gli editori e direttori di giornali, specialmente con i direttori dei quotidiani.
Certamente al lettore poco interessa di chi è la foto pubblicata, invece per gli autori è un principio importante, primo perché non si capisce perché tutti gli articoli, anche quasi i necrologi, siano firmati dai giornalisti, mentre per le fotografie no. Per un fotografo è importante ed anche un segno di rispetto per il suo lavoro.

La firma

Purtroppo, questo è un problema quasi esclusivamente italico, mentre all’estero anche lo Zimbabwe Post firma le fotografie, da noi ci sono alcuni quotidiani nazionali che per principio non firmano le fotografie, una volta chiesi il perché di questa politica a un direttore e mi fu risposto: “perché tanto non serve”, ovviamente di fronte a una tale risposta asina, cosa puoi ribadire? È un po’ come cercare di convincere un credente mussulmano a bere del buon whisky mentre mangia una salsiccia di maiale.

Anni fa ci furono diversi incontri tra associazioni di fotografi e editori in merito alla firma, e gli editori hanno sempre scaricato la colpa sui direttori, questi spesso si sono scusati scaricando la colpa sull’impaginatore e ancora un po' che si andava avanti la colpa sarebbe stata dell’edicolante.
Mentre tutte le agenzie fotografiche serie si sono sempre battute per ottenere la firma del fotografo/agenzia, alcune agenzie fotografiche malandrine erano ben contente che la foto non venisse firmata, così magari c’era una scusa in più per non rendicontarla al fotografo e tenersi tutti i soldini.

La firma

A un certo punto negli 80 c’era stato un piccolo progresso a favore della firma delle fotografie e così per semplificare il tutto quasi tutti i giornali firmavano le fotografie delle due più note agenzie milanesi: Laura Ronchi e Grazia Neri semplicemente con il nome dell’agenzia, tralasciando il nome del fotografo autore dell’immagine, così tra noi fotografi girava la battuta che Laura e Grazia erano le due più prolifere e famose fotografe italiane.
Ma la cosa che più mi faceva arrabbiare era che non mancava mai la firma di un fotografo straniero che magari era anche un mediocre a casa sua e invece da noi riusciva ad ammaliare il direttore o l’art director di un settimanale e, oltre a lavorare, aveva la firma garantita.
Una volta arrivò dritto da New York un fotografo che se la tirava come il più bravo al mondo a scattare la moda e siccome era della agenzia The Image Bank, che allora rappresentavo, fui obbligato a presentarlo alle redazioni, dove riuscì a fare qualche foto su commissione e le testate si vantarono di mettergli la firma a più non posso.
Bazzicò per Milano per circa un mese, finché tornò a NY e diventò imbianchino.

La firma

Oggi le cose sono molto migliorate, non esiste quasi nessun settimanale che non firmi le foto o sotto le stesse o nel colophon, mentre moltissimi quotidiani anche d’importanza nazionale, per non parlare dei quotidiani locali, ignorano completamente la questione, se poi guardiamo i quotidiani online da noi è una tragedia, nessuno firma come se le foto fossero delle strane cose aliene cadute dal cielo, mentre nei settimanali e mensili quelli che mettono il credito si possono contare sulle dita di una mano.

Dal momento che tutte le immagini sono dei file digitali, penso che un modo per vincere l’atavica guerra e costringere tutti a firmare le foto potrebbe essere quello di scrivere il nome del fotografo direttamente dentro l’immagine in basso e ovviamente diffidare l’utilizzatore dal tagliare la foto, questo sistema darebbe anche una garanzia che la foto è stata veramente scattata e non è figlia dell’intelligenza artificiale (AI). Mentre le maggiori televisioni straniere firmano le foto che trasmettono, magari solo con il nome dell’agenzia per ragioni di spazio grafico, da noi questo è ancora un argomento sconosciuto e se è conosciuto da qualcuno è comunque tabù, quindi non resta che sperare.

La firma

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