Intervista al giornalista e Presidente Ucsi Vincenzo Varagona sull'attualità
del messaggio di San Francesco di Sales patrono dei giornalisti
e sulla specificità della comunicazione cattolica nel panorama italiano
Francesco di Sales
Nel 1923 Papa Pio XI assunse San Francesco di Sales a protettore della categoria dei cronisti e degli operatori della comunicazione per la sua dedizione alla verità e alla diffusione della parola di Dio.
Teologo, dialettico e, soprattutto innovatore nelle forme della comunicazione, San Francesco di Sales (1567-1622) fu anche il primo ad introdurre l’uso di fogli stampati da distribuire nelle case o da affiggere all’ingresso delle chiese per le comunicazioni religiose e di catechesi.
Il suo messaggio di dialogo e pace è quanto mai attuale in questa “terza guerra mondiale a pezzi”, come l’ha più volte definita Papa Francesco.
Sull’attualità del messaggio di San Francesco di Sales e sulla centralità della comunicazione cattolica nel panorama italiano, Milena Castigli per Interris.it ha intervistato Vincenzo Varagona, giornalista di lungo corso, scrittore, Presidente nazionale dell’Unione Cattolica della Stampa Italiana (Ucsi).
-MC - Perché san Francesco di Sales, un uomo della Chiesa nato a metà del 1500, è considerato il patrono dei giornalisti?
-VV - “San Francesco di Sales era un vescovo cattolico francese a Ginevra, culla del calvinismo. Viveva e svolgeva la sua missione in un contesto culturale e religioso decisamente proibitivo. La gente non andava in chiesa, era difficile quindi stabilire contatti, relazioni e soprattutto fare evangelizzazione. San Francesco era un appassionato e non si è fatto abbattere, anzi, è partito da una forte criticità per trasformarla in opportunità. Se la gente non viene in chiesa, si è detto, sarò io ad andare fra la gente. Così ha fatto, andando per le case e lasciando i suoi messaggi, da lui ‘tradotti’ in modo da essere comprensibili al popolo”.
-MC - Dopo 5 secoli la sua figura è ancora attuale?
-VV - “Sì. Ci sono figure che non hanno tempo. San Francesco di Sales, ad esempio, avrebbe avuto grande dimestichezza con i social. Vive nel 16° secolo, la sua modernità sta nel riuscire ad adeguare la tecnica della sua missione alle circostanze in cui viveva. Così, per la gente, sforna quelli che oggi chiameremmo i tweet, o X, liofilizzando i passaggi più rilevanti delle sacre scritture in frasi di pochi caratteri, facilmente leggibili. Scriveva su quelli che oggi chiameremmo post-it, li infilava sotto la porta di casa o li affiggeva sui muri. Gli storici osservano che parte del suo successo era dovuto anche alle modalità utilizzate, al suo carattere, caratterizzato da empatia, dolcezza, comprensione. Un po’ lo stile che papa Francesco ci invita a recuperare”.
-MC - Crede che possa essere motivo di riflessione per tutta la categoria, credenti e non credenti?
-VV“San Francesco, vedendo le chiese vuote, ha cercato con il pensiero laterale una strada nuova. Noi siamo chiamati, cinque secoli dopo, allo stesso esercizio: inventare una strada nuova, oppure, più semplicemente, tornare alle origini, che forse abbiamo tradito. In questi dieci anni di pontificato, Francesco ci ha indicato una strada precisa, una direzione valida per credenti e non credenti. Ci invita a tornare a consumare le suola delle scarpe, recuperando un genere che sembra sparito, salvo poche eccezioni: il giornalismo d’inchiesta. E poi ci richiama a una maggior empatia, appunto; all’ascolto con l’orecchio del cuore; a esercitare l’assenza di giudizio. Un bravo giornalista, dice, è capace di cambiare idea, modificare la sua opinione, se in un’inchiesta o intervista intercetta elementi che gli fanno riconsiderare la posizione iniziale. Questi non sono inviti solo per giornalisti credenti, ma quelli credenti hanno motivi in più per seguirli”.
-MC - Qual è la mission e la peculiarità della stampa cattolica nel contesto italiano?
-“Molti, quando si sente parlare di giornalisti cattolici e stampa cattolica, storcono la bocca, e un po’ li capisco. Tuttavia, vedo giornali come Avvenire salire al quarto posto nella graduatoria nazionale di diffusione grazie alla testimonianza professionale di chi non aderisce al cosiddetto pensiero unico, dando voce all’unica figura che oggi, inascoltata, ha il coraggio di opporsi, ad esempio, alla logica della guerra per la guerra, per svuotare arsenali, alimentare il mercato della morte, arricchire i sempre più ricchi e impoverire ancora i sempre più poveri. Quindi: sarebbe forse bello un mondo che non avesse bisogno di giornali cattolici. Noi abbiamo trovato questa realtà e abbiamo ritenuto un peccato buttarla a mare. Possiamo, certo, lavorare per un mondo diverso”.
-MC - Come si rompe questo circuito?
-VV - “Posso dire quello che sta facendo Ucsi in questo momento: formazione, attraverso una Scuola, quella di Assisi, che si sta rivelando un’ottima palestra per nuovi giornalisti. Poi, un laboratorio per la professione. Abbiamo riunito, per la prima volta nella nostra sede romana, direttori e vaticanisti del mondo cattolico, per capire quale riflessione potesse scaturire e fare proposte. Ne è nato un bel numero della nostra rivista, Desk. Quest’anno abbiamo affrontato un altro passaggio, riproponendo lo stesso laboratorio a una ventina di firme fuori del perimetro cattolico. Ne è nato un volume, appena uscito con la Libreria Editrice Vaticana, “ComunICare” che non a caso si colloca lungo il solco tracciato da don Lorenzo Milani. Abbiamo raccolto i 10 messaggi del papa sulle comunicazioni sociali e abbiamo chiesto a Fontana, Molinari, Cazzullo, Riotta, Damilano, Girardo, Monda, Dachan, e altri, di dirci cosa ne pensano. Il papa invoca una chiesa in uscita, noi gli regaliamo un’Ucsi in uscita. Ci siamo alleati con il Constructive Network, entrandoci, perchè siamo convinti che questa proposta sia molto valida. Si fa appello al giornalismo comunitario, a crescere insieme alla gente, riducendo la distanza attuale che ci mette in crisi di fiducia e credibilità. Sappiamo che stiamo solo seminando, speriamo verrà il tempo della raccolta”.