Vietnam e Cambogia: vicende di mondi lontani
Meade River
Difficile dimenticare
di Guido Alberto Rossi
Non credo che i miei colleghi che fanno i fotografi di guerra, lo facciano solo
per il guadagno, anzi sicuramente guadagnano molto meno di un bravo
fotografo di matrimoni, che oltre a non rischiare nulla ha anche la possibilità di
bere champagne e mangiare la torta nuziale.
Almeno tutti quelli che ho
conosciuto, compreso il sottoscritto, l’hanno fatto e lo fanno perché hanno
altre motivazioni: chi pensa che con il suo lavoro possa smuovere le coscienze
dei leader, (mai successo) chi vuole provare l’emozione di un’esplosione da
quasi vicino (emozione forte) e via dicendo.
Personalmente ho fatto questo
tipo di reportage, perché avevo bisogno d’avventura e negli anni 60 c’era il
Vietnam e la Cambogia che riempievano molte pagine di tutti i giornali del
mondo quindi, se volevi fare questo lavoro, era d’obbligo andarci anche
perché se lavoravi bene salivi velocemente l’immaginaria scala dei bravi.
Oggi è uguale ma devi andare in Ucraina.
Prima di partire per Saigon avevo parlato a lungo con il grande Gianfranco Moroldo, che era un grande in tutto, compreso dare giusti consigli ai giovani che volevano scimmiottarlo. Lui era già stato in Vietnam un paio di volte ed era sempre tornato a casa pieno di rullini che poi diventavano dei magnifici reportage per L’Europeo, indimenticabile quello dell’assedio di Khe Sanh dove i Marines hanno perso oltre 1.000 uomini e Gianfranco era riuscito a immortalare tutto, anche la paura sulla faccia dei ragazzi nelle trincee.
Ovviamente il mio sogno era riuscire a fare qualcosa di
simile e quindi dovevo darmi da fare come un matto, semplicemente dovevo
solo andare dove poteva succedere qualcosa o stava succedendo qualcosa, qui
devo dire che gli americani erano unici.
I vari addetti stampa delle varie armi
(aviazione, esercito, marina e marines) svolgevano il loro compito esattamente
come i loro colleghi delle agenzie pubblicitarie che, per far parlare del loro
prodotto, si facevano in quattro per aiutarti.
E fu così che dalla spiaggia della base dei Marines di Da Nang un mattino dei primi di dicembre del 1968, mi trovai con due giornalisti americani su un elicottero Chinook in volo per seguire l’operazione Meade River a circa 20 chilometri Sud di Da Nang, in una zona chiamata Dodge City, un nome un programma.
Che non fosse un posto molto
sicuro l’abbiamo capito dall’atterraggio che praticamente è durato come il
cambio gomme della Ferrari.
Il nostro accompagnatore durante il volo ci aveva
istruito sul da farsi: appena l’elicottero toccava terra, scendeva del tutto la
rampa di poppa, noi quattro dovevamo slacciarci velocemente la cintura di
sicurezza ed in coda agli altri marines che erano a bordo correre fuori
velocemente e appena l’ultimo della fila, che era un grosso sergente e che
forse aveva anche il compito di “sollecitarci” ad uscire in caso di ripensamenti
era fuori, l’elicottero era già ripartito a tutto gas.
Eravamo atterrati nei pressi di uno dei posti di comando avanzati, dove c’era una quantità di materiale e molti Marines dalla faccia esausta per la notte passata tra una bomba l’altra. Mentre i due giornalisti sono interessati ad intervistare un ufficiale a me interessa fare foto, mi affidano come un trovatello a due grossi ragazzi del Midwest del 2 battaglione della Prima Divisione U.S. Marines che mi portano in gita turistica nel perimetro ritenuto abbastanza sicuro.
Qui i soggetti non mancano, tra marines che si danno da fare a bonificare l’area con esplosivi, diversi cadaveri di soldati Nord Vietnamiti e bodybags di Marines caduti, che però non scatto, non voglio sembrare irrispettoso e non so come la prenderebbero i compagni che stanno intorno. Per non smentire il nome di Dodge City, esce da non so dove un piccolo soldato NVA (Nord Vietnamese Army, soldati del Nord Vietnam), scalzo, mal ridotto e fuori di sé, che impugna una pistola Colt 45, presa chissà da chi e spara verso di noi, fortunatamente non colpisce nessuno.
Quasi simultaneamente uno dei Marines che era nei pressi dei caduti, scatta verso di lui, lo disarma e lo controlla, in tempo record viene legato e bendato, sarà uno dei 123 soldati di Hanoi presi prigionieri nei 19 giorni che è durata l’operazione Meade River che in tutto è costata 108 Marines morti e poco più di mille morti tra NVA e Viet Cong della zona, senza contare i feriti delle tre parti.
Nel tardo pomeriggio un altro elicottero arriva con altri Marines e altri
materiali. Non spegne neanche i motori, noi corriamo a bordo portandoci il
prigioniero a Da Nang. Sono al settimo cielo, ho scattato tutto quello che
potevo, credo di essere salito di un paio di gradini nell’immaginaria scala dei
bravi e non vedo l’ora di far giudicare le mie foto dal mitico Moro.
Tempo un mese dopo che i Marines hanno ripulito la zona e sono andati via, tutto è
tornato come prima con gli NVA e Viet Cong, che sono tornati a Dodge City a
fare le stesse cose che facevano tre mesi prima e io sono tornato a Milano con
i miei rullini.