#287 - 5 giugno 2021
AAA ATTENZIONE - Questo numero rimarrà in rete fino alla mezzanotte del 19 aprile, quando lascerà il posto al numero 350. Ora MOTTI per TUTTI : - Finchè ti morde un lupo, pazienza; quel che secca è quando ti morde una pecora ( J.Joyce) - Lo sport è l'unica cosa intelligente che possano fare gli imbecilli (M.Maccari) - L'amore ti fa fare cose pazze, io per esempio mi sono sposato (B.Sorrel) - Anche i giorni peggiori hanno il loro lato positivo: finiscono! (J.Mc Henry) - Un uomo intelligente a volte è costretto a ubriacarsi per passare il tempo tra gli idioti (E.Hemingway) - Il giornalista è colui che sa distinguere il vero dal falso e pubblica il falso (M. Twain) -
Fotografia

Così fu il principio
e la passione mutò presto in professione

...e ho fatto il fotografo

di Guido Alberto Rossi

A volte mi chiedono: perché hai fatto (lo faccio ancora) il fotografo?
La risposta per tagliar corto è: perché non mi piaceva andare a scuola! Ma non è proprio vero, magari solo al 30% il restante 70% è qualcosa altro che non è facile da spiegare senza sembrare un santone indiano.
Provo a farlo e spero di riuscirci.

...e ho fatto il fotografo...e ho fatto il fotografo

Tutto inizia con la prima macchina fotografica Kodak a soffietto trovata a casa dei nonni, questo ho scoperto è un comune denominatore per tanti colleghi, nel mio caso è vero solo in parte perché quando i nonni si sbarazzarono della loro vecchia Kodak io ero già stato contaminato dal virus della fotografia da mio padre Gino, fotoamatore evoluto e specializzato nelle immagini delle nostre trote pescate e immortalate in tutti i sensi insieme agli oggetti di casa più vari creando ingenue nature morte. Ma aldilà degli scatti con mio padre ci divertivamo anche a sviluppare i negativi e a stamparle in camera oscura, eravamo arrivati fino a sviluppare i rullini di diapositive a colori. Poi come tutti i fotoamatori che si rispettino c’è il lato della attrezzatura: man mano che lui potenziava le sue due Leica con nuovi obbiettivi io passavo dalla Kodak a soffietto alla Agfa Silette 35mm. E’ stato il più bel regalo ricevuto prima del motorino.

...e ho fatto il fotografo...e ho fatto il fotografo

Il virus della fotografia è qualcosa che ti prende e non ti molla più per il resto della vita, se poi diventa come nel mio caso anche la professione allora è tutto più complicato, non hai più speranza di guarire, anzi ti contamini sempre di più. Dovrai scattare oltre a quello che ti piace anche quello che non ti piace, perché se no, non guadagni e non paghi le bollette.
Comunque credo sia sempre importante scattare con il cuore e sempre con il proprio stile; del resto ogni virus ha le sue caratteristiche: chi si ammala di fotogiornalismo, chi di still life (detta semplice, foto di oggetti in studio e non, in genere foto per pubblicità) chi di foto di gastronomia o arredamento e così in altre decine di specializzazione di quella che reputo una delle più belle professioni del mondo, magari solo la più divertente.

In genere chi prende uno dei virus sopracitati, lo prende in giovane età e magari per mille ragioni. Nel mio caso la passione per la foto di reportage e viaggi è stata sicuramente influenzata dall’abbonamento al mitico National Geographic Magazine che entrava in casa nostra dal 1949, praticamente da quando sono nato, poi c’erano anche dei libri di viaggio illustrati, quindi senza ben rendermi conto, mi sono trovato con una macchina fotografica ed una valigia in mano.

...e ho fatto il fotografo...e ho fatto il fotografo

Non iniziai subito a viaggiare perché avevo solo 16 anni, così iniziai a fotografare quella che allora era la mia seconda passione: il motorsport, cioè auto e moto da corsa, ovviamente da dietro la recinzione del circuito di Monza insieme al mio amico Amatore Bianchi, anche lui patito di fotografia e auto, ci davamo da fare a scattare come matti e alla sera sviluppare e stampare nella camera oscura ricavata nel bagno di servizio.

Da hobby a professione il mio salto fu abbastanza breve e fortunato.
Era l’agosto del 1966, quando come nostro vicino d’ombrellone ai bagni Imperatrice di San Remo arrivò il giornalista Alberto Ballarin, iniziammo a fare amicizia e gli raccontai che il mio sogno era di fare il fotografo professionista, a differenza di altri ragazzini non ho mai voluto fare né il cowboy né il pompiere. Ovviamente in vacanza non avevo portato le mie foto ma solo le inseparabili Leica ereditate da mio padre.

...e ho fatto il fotografo

Alberto che allora era vicedirettore dello Sport Illustrato, il periodico della grande Gazzetta dello Sport, si incuriosì e mi invitò ad andare a trovarlo in redazione al rientro a Milano con le mie foto. Detto fatto! Andai subito a trovarlo, gli mostrai le mie foto e come per magia mi trovai in mano un Press Pass per i box del Gran Premio di formula uno di Monza che si correva dopo pochi giorni. Pura magia, sarei passato da dietro a davanti la recinzione del circuito.
Era la mia grande occasione e scattai come un matto tutti i piloti e tutte le macchine, una per forza doveva vincere.
Vinse Ludovico Scarfiotti su Ferrari e Alberto mi comprò il mio primo reportage che fu pubblicato anche con tanto di copertina.
Da quel giorno la collaborazione con lo Sport Illustrato divenne più importante del Liceo linguistico.

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