#216 - 14 aprile 2018
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Cultura e Società

L'opportunità di un riferimento in un momento difficile nei rapporti internazionali

Da 55 anni cardine diplomatico della Santa Sede

Pacem in Terris

Di Andrea Gagliarducci per ACI Stampa

“La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio”.
San Giovanni XXIII cominciava così, 55 anni fa, l’enciclica Pacem in Terris. Ancora oggi, quell’enciclica continua a rappresentare il cardine dell’attività diplomatica della Santa Sede.

Pacem in TerrisPacem in Terris

Quando, l’11 aprile del 1963, Giovanni XXIII promulgò la sua enciclica destinata anche “a tutti gli uomini di buona volontà”, rivolgendosi non solo ai cattolici, il quadro internazionale era profondamente diverso: c’era la Guerra Fredda, il mondo era diviso in blocchi, la corsa agli armamenti era fatta con fine dissuasivo. Eppure, sebbene lo scenario internazionale non sia mutato, i temi restano sempre i medesimi.
C’è ancora da guardare alla Pacem in Terris quando la Santa Sede parla di disarmo e quando sottolinea in sede internazionale che “più armamenti non equivalgono a maggiore sicurezza”, come è successo in una recente conferenza internazionale promossa in Vaticano per parlare di disarmo nucleare.
E c’è ancora da guardare alla Pacem in Terris quando si guarda ai grandi temi della diplomazia di oggi, in un mondo più multilaterale di allora, meno diviso in blocchi, eppure ancora così frammentato da necessitare quella spinta all’unità dei popoli che si trova subito nel testo di Giovanni XXIII. Il tema di fondo della Pacem in Terris è in fondo la comunione tra i popoli.

Per quanto innovativa e figlia dei suoi tempi, l’enciclica affondava le radici nel Magistero di Leone XIII, ma anche di Pio XII, non a caso citato 28 volte nel testo.
Un testo che delinea con precisione quattro gradi di sussidiarietà, che sono gli ordini: quello dell'universo, quello degli esseri umani, quello tra gli esseri umani e le autorità politiche, a quello della comunità mondiale.
Ed è in questi ordini che si ritrovano molte (se non tutte) delle questioni contemporanee.
Giovanni XXIII, infatti, dà all’ordine degli esseri umani un impianto concettuale per il quale i diritti naturali sono legati al dovere di ogni persona di rispettare quei diritti, tra i quali c’è quello “della libertà della ricerca del vero, della manifestazione del pensiero e della sua diffusione”, nonché il diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza e il diritto al culto di Dio privato e pubblico.

Pacem in TerrisPacem in Terris

Come non vedere in questo il tema della libertà religiosa, legato indissolubilmente alla libertà di coscienza.
Così come, nelle pieghe della Pacem in Terris, si trova anche il tema del diritto di conservarsi in vita, un diritto negato a volte in maniera strisciante, a volte in maniera aperta, attraverso, ad esempio, un lavoro di legalizzazione dell'eutanasia.
Quindi, il tema della sussidiarietà, fondamentale anche quando Papa Francesco parla di colonizzazione ideologica. Perché quello che fanno gli Stati è imporre la loro agenda sui popoli, e i popoli spesso non possono contrapporsi. E per questo, già la Pacem In Terris chiedeva una autorità mondiale con competenze universali, per orientare il mondo verso il bene comune.
Quello di San Giovanni XXIII era però anche un cambio di approccio nelle relazioni internazionali, predicando una dottrina che non era in linea con la diplomazia classica, e che a molti appariva utopistica. Non era però irrealizzabile.
Scriveva San Giovanni XXIII nella Pacem in Terris: “Riaffermiamo noi pure quello che costantemente hanno insegnato i nostri predecessori: le comunità politiche, le une rispetto alle altre, sono soggetti di diritti di diritti e di doveri”.

Pacem in TerrisPacem in Terris

Per questo – aggiungeva il Papa Buono – “anche i loro rapporti vanno regolati nella verità, nella giustizia, nella solidarietà, nella libertà”. Perché “la stessa legge morale, che regola i rapporti tra i singoli esseri umani, regola pure i rapporti tra le rispettive comunità politiche”.
Aggiungeva Giovanni XXIII: “Sarebbe del resto assurdo anche solo pensare che gli uomini, per il fatto che vengono preposti al governo della cosa pubblica, possano essere costretti a rinunciare alla propria umanità”.
Parole da rileggere oggi, da meditare, e da comprendere.
Perché, 55 anni dopo, la Pacem In Terris continua ad essere una straordinaria utopia, mentre il mondo sembra essere andato in un’altra direzione.
Perché, ancora oggi, la Pacem in Terris rappresenta un cardine dell'attività diplomatica della Santa Sede.

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