Istituto Cervantes in collaborazione con l’Ambasciata dell’Ecuador in Italia
Jorge Chalco
El paraÃso del los contrastes - il sogno amazzonico
di Luigi Capano
E’ un venerdì di fine settembre. Piazza Navona, a Roma, oggi come sempre, è tutto un brulicare di turisti variopinti dagli sguardi allegramente saettanti, di passanti frettolosi, di coppiette allacciate, di ambulanti di ogni risma.
La pioggia recente ha dato nuova luce al quadro barocco ritmato dalle tre rumorose fontane e concluso, sullo sfondo, dall’imponente chiesa di Sant’Agnese in Agone che, con la sua pacata ondulazione borrominiana, dardeggia candidi bagliori di marmo sulla vetriera diafana del prospiciente Istituto Cervantes, istituzione internazionale nata con il proposito di diffondere nel mondo la cultura dei paesi di lingua ispanica e che proprio nella celebre piazza romana ha aperto, ormai da qualche decennio, una prestigiosa sede espositiva.
Di scorcio, una figura dai tratti meticci, a momenti assorta nella lettura, sogguarda di là dai vetri quella confusa, vociante animazione.
Nella galleria è in corso la mostra El paraÃso del los contrastes dell’ecuadoriano Jorge Chalco (Cuenca, 1950) pittore, disegnatore e muralista, attivo sul proscenio dell’arte da oltre quarant’anni.
Eccomi all’interno, davanti ai quadri dell’artista cuencano che subito mi investono con un profluvio di colori e di forme.
Viene da pensare che uno di quei bagliori di marmo barocco, rifratto dalla vetriera in un irreale viraggio diacronico verso più lontane latitudini, abbia ineffabilmente proiettato quei toni forti, accesi e apparentemente dissonanti, quei folti viluppi di forme embricanti: siamo nel paraÃso del los contrastes appunto.
Appena messo piede nella seconda sala, mi viene incontro sorridente un signore dai modi cordiali: è la figura dai tratti meticci poc’anzi intravista, Jorge Chalco in persona.
Superato qualche timido impaccio linguistico, gli chiedo spiegazioni sul senso della mostra.
L’Amazzonia, la più grande foresta del mondo, sta morendo – mi dice – e con questa iniziativa ho voluto dare un contributo di sensibilità : è un dramma che sta ormai diventando tragedia… Dopo Roma sarò a Parigi… Da dove trae la sua fonte di ispirazione artistica, quali sono i suoi maestri? chiedo.
Amo soprattutto la grande arte europea, Rembrandt, Picasso…avrei detto piuttosto il Doganiere con la sua studiata ingenuità , oppure il nutrito filone indigenista così diffuso in America Latina, per quel gusto del colore pastoso e per quella marcata impronta di denuncia sociale che connota, anche dalle nostre parti, l’azione pittorica di certi muralisti metropolitani…
Ad una mia domanda provocata dalla presenza, di tanto in tanto, nel folto di un bosco variopinto, di figure dall’aspetto ieratico o di certi strani simboli che potrebbero far pensare ad una dotta incursione teosofica, accenna di sfuggita al suo interesse per le filosofie orientali ed ai suoi regolari viaggi in India.
C’è qualcosa di irreale nell’immagine della natura proposta dal pittore ecuadoriano, qualcosa come la distanza ineliminabile di un sogno. Si tratta forse di un retaggio atavico del suo sangue indio, di un recupero, forse voluto o forse inconsapevole, di quel mondo onirico caro alla tradizionale cultura sciamanica? Ovvero dell’ennesimo indizio di quella cronica scissione tra l’uomo e la natura, proiezione illusoria di una più intima frattura interiore che fa dell’inquietudine esistenziale una categoria antropologica?
Mi congedo dall’artista, portando con me, tra la folla, questa pensosa e lambiccante domanda.
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