Cinema
L’ottavo giorno
del cinema
di Giada Gentili
L'arrivo in sala del sequel di “300” e della versione restaurata de “La grande illusione” di Jean Renoir del 1937, ci impone una considerazione sullo stato del cinema.
Abbiamo rivisto il vecchio film in una sala stracolma e immagino lo stesso per i "300", dotato di ogni confort per i cinefili attuali. Il cinema ama dispiegare le sue potenti energie attraverso una strenua ed efficiente pubblicità come ha dimostrato Canale 5 proponendo l'Oscar italiano in prima serata e raccogliendo un auditel traboccante di introiti pubblicitari.
Mettiamo nel conto quello che è accaduto a Checco con il suo "Sole a catinelle" che ha sfiorato i 55 milioni di euro.
Dunque: dove va il cinema?
A nostro modesto parere non va da nessuna parte, ecco tutto. Tira a campare, si direbbe; oppure "carpe diem", oppure: vattelappesca, chissà! No, non c'è un progetto, un indirizzo, una novità, un "pensare" cinema. Si "fa" cinema per imposizione di mercato, per una legge di continuità, in una sorta di "mangiare" cinema senza un'adeguata "ruminazione".
Gli spettatori che assiepavano la sala dove si proiettava il film di Renoir, ad esempio: Chi sono? Abbiamo dato un'occhiata e si è appurato che erano tutti sui cinquanta. Frequentavano a Roma i cineclub? Il Filmstudio? O il Cineclub Tevere? Con quale criterio il Ministero eroga i soldi sui progetti che gli vengono presentati? Ebbene, sulla leggi di mercato, su nomi collaudati e solidi, senza rischiare nulla sul "turn over" perchè, appunto, non esiste nessuna generazione di autori-registi italiani pronti a sostituire la vecchia guardia ormai in grado solo di realizzare cine/panettoni, cine/colombe, ad usa e getta. Ogni anno, come il virus intestinale, i soliti noti ripropongono copioni fritti e rifatti, meccanismi collaudati, maschere già viste. Tutto tranquillo, tutto sicuro. L'effetto è disarmante: cercare una novità è un'impresa e talvolta la novità è talmente "oltre" che c'è il rischio di preferire la normalità, la banalità.
L'arte, si dice, rispecchia il proprio tempo. Vero: anche il cinema italiano, incartapecorito da un sistema che si sta sbriciolando: L'immagine è quella di un capannello di auto che, pur di lavorare, pur di fare cassetta, pur di continuare a frequentare l'ambito "red carpet", è disposto a tutto, cioè pari al Nulla. I bei salotti televisivi restano il principale traguardo.
Niente di più facile, in Italia. E i Maestri vengono relegati nelle piccole sale, nelle videoteche, sugli scaffali.