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racconto

La Regina dei Pirati

di Ruggero Scarponi


Il comandante Zorzi era un uomo davvero interessante. L’avevo conosciuto in occasione di una traversata da Genova a Barcellona, città nella quale mi recavo almeno due volte l’anno, per conto di un mio zio, in affari nel settore dell’import-export. Mi ero imbarcato sul vascello Espana, un tre alberi, in servizio di linea. Zorzi ne era il comandante e il patron, navigando in proprio. Era un uomo imponente, dall’aspetto gioviale con una folta capigliatura oramai in parte grigia e in parte bianca, data l’età, prossimo ai settanta e un volto talmente bruciato dal sole e dai venti marini da sembrare rivestito di cuoio brunito. Zorzi non era il tipo di comandante che una volta guidata la manovra si ritira nella sua cabina a sbronzarsi di rhum o altri liquori. Amava, invece, trascorrere molto tempo in compagnia dei suoi ospiti. Tutti ne restavano affascinati per le infinite conoscenze marinare che mostrava di possedere e soprattutto per la sua capacità di raccontare storie, della cui veridicità nessuno avrebbe mai dubitato. Era solito venire dopo cena a far compagnia ai passeggeri in conversazione sul ponte prima di scendere nelle cuccette per la notte. Era sufficiente un’onda spumosa più violenta delle altre o una folata di vento fresco che gonfiasse la vela di trinchetto o un delfino che a balzi seguisse la scia della nave o qualsiasi altra cosa per suscitare nel comandante il ricordo di una storia, di un’avventura. Aveva un modo tutto suo di catturare l’attenzione e anche se a distanza di anni mi sono convinto che il più delle volte improvvisasse, pure, non si poteva far a meno di ascoltarlo.
Le sue storie erano così ricche di particolari che la mente non doveva fare nessuno sforzo per ricostruire le vicende narrate. Tra le tante, di una, in particolare ho conservato il ricordo e forse perché velata di un’ antica tristezza. Fu durante una bella notte di luna piena nel mar di Corsica al largo di Calvi sotto la punta di l’Acciolu. Si stava tutti piacevolmente sul ponte a goderci il fresco portato da un gradevole vento di ponente e ammiravamo rapiti l'immensa volta del cielo stellato che in quella stagione esibiva orgoglioso con vega, antares e il triangolo estivo i suoi gioielli più luminosi. Zorzi armato dell’inseparabile pipa, si appoggiò con i gomiti alla murata guardando in direzione della terra ferma. Si distingueva appena qualche luce nella profondità del golfo. Poi rispondendo alla domanda di una signora che chiedeva se avesse mai messo piede in Corsica disse:
- Certamente, Madame, anzi, proprio a quell’isola è legato il ricordo di una delle avventure più straordinarie che mi siano capitate. – Qui il capitano si arrestò in attesa che dall'espressione della dama e di altri passeggeri giungesse l'invito a raccontare. Quindi dopo aver aspirato un paio di boccate di fumo iniziò. Dunque – cominciò con aria assorta – ero un giovane marinaio imbarcato su un brigantino a due alberi in servizio passeggeri tra Genova e Cagliari ed avevamo lasciato da poco sulla dritta Capo Sagro poco a nord di Bastia quando fummo intercettati da una nave pirata. Non era una cosa tanto rara a quei tempi alla metà del secolo scorso, e in genere, a parte i beni materiali non si rischiava gran che. I pirati si accontentavano di ripulirti ben bene ma si guardavano dal torcere un capello a chicchessia. Al massimo, i più efferati, rapivano a scopo di riscatto qualche personaggio ritenuto “di valore”. I capitani delle navi, d'altronde erano avvezzi a simili contrattempi e raramente tentavano la fuga. Anche perché i legni dei pirati erano più veloci e meglio armati e gli equipaggi delle navi mercantili non amavano farsi coinvolgere in pericolosi combattimenti. Stavolta però la sorte ci aveva messo sulla rotta della più famigerata delle navi : La Regina dei Pirati. Prima c’intimarono di rallentare sparando una salva davanti alla prua, poi ci affiancarono e armati fino ai denti, una ventina di mori ci abbordarono. Anche se sapevamo che seguendo le istruzioni del nostro capitano non avremmo avuto nulla a temere per noi stessi, non opponendoci alla depredazione, pure la vista di quei brutti ceffi dai ghigni di criminali incalliti e con i corpi ricoperti di orribili tatuaggi, incuteva un certo timore.

Ce n’era uno, il più grosso di tutti, armato di due pistole che teneva incrociate alla cintura e una scimitarra che rifletteva in modo sinistro i raggi solari che anziché occuparsi di spogliarci dei nostri averi prese a svolgere una curiosa attività. Chiedeva i documenti. E per di più ai soli uomini. Ci scambiammo sguardi interrogativi ma il capitano ci fece cenno di fare quanto ci veniva richiesto. Quando arrivò il mio turno, mostrai senza esitazione le mie carte. Ma appena il gigantesco moro ebbe letto il mio nome sembrò trasalire. Passò più volte lo sguardo dal documento al mio viso e poi con autorità mi poggiò una mano sulla spalla e mi obbligò a seguirlo sulla Regina dei Pirati.
In quei momenti non posso descrivere tutti i funesti presagi che mi passarono per la mente. Immaginavo di fare comunque una fine orrenda, magari, per il sollazzo di quella ciurma selvaggia.
Il moro che mi aveva prelevato mi condusse in una cabina sotto il castello di prora.
Subito dopo aver richiuso la porta fece un profondo inchino rivolto a un personaggio che non riuscii a scorgere da nessuna parte e mi obbligò a fare altrettanto. Dopo, lasciandomi oltremodo stupito parlando la mia stessa lingua si rivolse a qualcuno, che ora, avevo compreso, era nascosto dietro una sorta di grata fitta che divideva la cabina in due ambienti:
- Signora, forse l'ho trovato.
- Chi? - commisi l'imprudenza di chiedere, guadagnandomi in tal modo dal mio carceriere un pugno su di una spalla che mi fece crollare a terra.
- Come ti chiami? - disse la voce al di là della grata. Una voce modulata, direi dolce, con una leggera asprezza appena trattenuta.
Il moro mi ficcò i suoi occhi terribili in piena faccia facendomi comprendere che dovevo rispondere senza esitazioni.
- Zorzi, Zorzi Signora, Andrea, Pietro, Giacomo, Giovanni...per servirla...

Ora che mi ero assuefatto alla scarsa luce della cabina riuscivo ad intravedere appena al di là della grata il corpo di una donna mollemente disteso tra cuscini e adagiato su un fianco. Fumava da un tubicino collegato a un narghilè.
Prima di parlare la donna aspirò una lunga boccata. Mi sembrò che si alzasse a sedere. Vicino aveva un ragazzino, forse un giovane eunuco che l'aiutava a sistemarsi.
- Portamelo – ingiunse al moro che ora mi aveva fatto rialzare tirandomi su di peso, con la sola forza del braccio destro. L'omaccione mi sospinse attraverso una porta e m'introdusse al cospetto della signora.
Era una donna di circa quarant'anni, abbigliata come diremmo noi alla turca, con ampi pantaloni e ricoperta per intero da una lunga veste di seta. I capelli erano nascosti in una sorta di acconciatura che le incorniciava il viso. Aveva lineamenti belli e regolari. Gli occhi però sembravano spenti quasi trasognati. Con gesto gentile mi fece cenno di sedermi vicino a lei sui cuscini e nel contempo licenziò il gigantesco moro che si ritirò come un cagnolino ubbidiente .
- Non temere – mi rassicurò per prima cosa – non ti sarà fatto alcun male. Voglio solo delle informazioni se potrai darmele.
La donna aveva un modo così urbano di chiedere e parlava con tale rassicurante lentezza che confermai subito, che avrei risposto a qualsiasi domanda mi avesse rivolto.
- Tu sai chi sono io? - cominciò a dire
- No Signora, mi dispiace, anche se non mi sembra azzardato dire da quel poco di cui sono stato testimone che voi siate:La Regina dei Pirati.
La donna proruppe in una risata aperta, quasi sguaiata che finì in un prolungato accesso di tosse.
Stavo, istintivamente, per precipitarmi a sorreggerla quando il ragazzino, l'eunuco, con uno sguardo di una crudezza che non ricordo di aver mai più rivisto, mi fece balenare davanti agli occhi la lama fredda di un pugnale. L'avvertimento era stato chiaro, non dovevo assolutamente permettermi di toccare la donna per nessun motivo.
Quando si fu calmata riprese:
- Andrea Zorzi – ripeté come se stesse seguendo un pensiero lontano – sei forse parente di tal Andrea Zorzi, da Genova, giocatore, seduttore, ladro, truffatore e fors' anche assassino?
Compresi subito che si trattava di mio zio.
- Temo di si – risposi.
Allora la Signora quasi folgorata dalla mia risposta, tenendosi ben eretta sul busto e sorretta a un braccio dal giovane eunuco, si girò verso di me fissandomi con occhi di un tale languore mesto che mi suscitò un tuffo al cuore per l'emozione.
- Se mi aiuti a ritrovarlo – disse scandendo le parole una ad una – farò di te l'uomo più ricco di tutto questo mare.
Ero allibito e sinceramente non sapevo cosa rispondere. Di certo la Signora aveva un conto in sospeso con quella canaglia di mio zio, e in tutto il Mediterraneo, non doveva esser la sola.
- Ti racconterò una storia – riprese dopo una lunga pausa – e se crederai al mio racconto ti convincerai di quanto sia giusto ch'io possa ritrovarlo.
- Signora sono certo che le vostre ragioni sono più che fondate, tuttavia egli è mio zio, il fratello minore di mio padre.

- Ascolta ragazzo, prima di giudicare, è una storia interessante. Il mio nome è Flavia. Avevo sedici anni ed ero la ragazza più ambita di Genova. Mio padre possedeva una delle flotte mercantili più importanti che abbiano mai solcate le rotte per l'oriente e il nome della nostra famiglia era tra i più rispettabili al Banco di San Giorgio. Mi sarei sposata di lì a un paio di anni con Simone un ragazzo che amavo fin da piccola. Mio padre, mia madre e i miei due fratelli maggiori, mi adoravano e la vita mi sembrava un lungo cammino costellato di felicità. Mio padre poi, contro i pregiudizi del tempo, aveva acconsentito che studiassi lingue. Ho imparato l'inglese e il francese, l'economia e unica donna a quel tempo divenni esperta cartografa. Avevo seguito mio padre nei suoi viaggi nel mar Tirreno, a Livorno, Napoli e a Venezia poi in Spagna, nei paesi saraceni fino a Costantinopoli. Mi trovavo più a mio agio a bordo del Gigante, l'ammiraglia di famiglia, uno splendido vascello di quelli che gli inglesi chiamano con il nome Cutty, che tra le mura domestiche. E poi arrivò lui. Andrea. Perché il destino mi giocasse quel tiro, resterò tutta la vita a domandarmelo. Avevo tutto, la bellezza, l'amore per il mio innamorato, quello per la mia famiglia, la ricchezza e l'intelligenza dello spirito che mi aveva consentito di penetrare i segreti delle scienze. Ma arrivò Andrea e fu la mia rovina. Mi prese come un turbine violento, con la forza di un tifone del mar della Cina. E io fui incapace di oppormi. Mi corteggiò con tale astuzia e tenacia che mi trovai indifesa. Non mi dava tregua. In breve la sua bellezza, i suoi modi da esperto cortigiano, offuscarono completamente il mio mondo. Simone divenne scialbo e insignificante, la mia famiglia e la mia casa un'opprimente prigione. Solo Andrea sapeva farmi fremere, di passione. Non resistetti nemmeno un minuto. Pur procrastinando il momento in cui mi sarei data e cercando di negare perfino a me stessa, quell'insana passione, pure, sapevo in cuor mio che non volevo altro che essere sua. Mi prese a suo piacimento. Aveva dieci anni più di me e mi sembrava il sole, Apollo in persona sceso dall'Olimpo solo per darmi amore. Fuggimmo insieme. Rubai alla mia famiglia quanti più gioielli e denari potei. Per alcuni mesi vivemmo una vita sfrenata dando fondo a tutti i miei averi. Quando l'ultimo gioiello fu venduto Andrea mutò completamente atteggiamento. Divenne ombroso, venale, e persino volgare. Cominciò a trattarmi come una donna di piacere per essermi data a lui, così giovane e ancora ragazza innocente. Tentò d'indurmi a prostituirmi nelle fetide locande nelle quali alloggiavamo. Vivevamo esclusivamente di quanto Andrea riusciva a guadagnare esercitando la professione di baro. Tuttavia mi accorsi che sempre più spesso mi negava i pochi soldi necessari a sfamarmi mentre lui si allietava con prostitute di ogni genere. Anziché muoverlo a pietà i miei pianti gli suscitavano risate di scherno; sei una prostituta come loro, mi diceva, se fossi stata una brava ragazza non avresti abbandonato la tua famiglia per finire nelle braccia di un uomo per il puro gusto della lussuria. Pativo infinite sofferenze per il mio errore. Ma non avrei mai immaginato che fosse capace di arrivare a tanto. Una notte mentre dormivo lo sentii alzarsi e parlottare fuori della porta con qualcuno. Eravamo alloggiati in una locanda sul porto di Messina, in Sicilia. Al mattino, al risveglio, compresi il senso delle trattative notturne. Mi aveva venduta al comandante di una nave pirata. Tuttavia nella disgrazia la sorte mi venne in aiuto. L'uomo che ora era diventato il mio padrone si dimostrò di una tempra e di un sentimento non comuni. Mi aveva acquistato per la mia bellezza e voleva far di me una delle sue favorite. Quando si presentò non potei negare di come fosse avvenente. Aveva inoltre una grazia innata, virile e dolce al contempo cui era difficile resistere. Sapeva lusingare e proteggere una donna fino ad averne l'amore. Volle conoscere la mia storia e ne restò turbato e amareggiato. Dopo qualche tempo mi chiese di sposarlo. Come moglie lo affiancai in tutte le scorrerie piratesche e io stessa grazie alle conoscenze che avevo acquisito con i miei studi giovanili divenni un abile comandante. Quando poi dopo appena sei mesi di matrimonio restò ucciso in uno scontro con una nave da guerra spagnola ereditai la nave e il comando. Furono gli stessi uomini dell'equipaggio a chiedermi di battezzare il nostro legno col nome attuale: La Regina dei Pirati. Da allora la mia unica ragione di vita è stata di ritrovare Andrea e fargliela pagare. Non voglio la sua vita, no. Lo voglio al mio servizio, come schiavo.-
La Signora aveva terminato di parlare. Mi rivolse di nuovo lo stesso sguardo supplice di poco prima.
- Signora – Dissi – scendiamo a terra, so che attualmente mio zio si nasconde sulle montagne all'interno della Corsica.
- Grazie ragazzo, se quanto hai detto corrisponde al vero, fatti trovare a incrociare con la tua nave su questa rotta, tra un anno esatto, pagherò il mio debito.
Approdammo a poche miglia dalla città di Bastia. Una volta a terra detti alla Signora le ultime informazioni per raggiungere il nascondiglio di mio zio e poi fui ricondotto a bordo della mia nave.
- Come andò a finire? Chiese la dama, che non aveva perso una parola della storia.
- Madame, io non ho mai saputo se mio zio abbia ricevuto la giusta punizione che di sicuro meritava per tante altre colpe e della Regina dei Pirati non ho avuto più notizie. Forse colata a picco durante una battaglia o sospinta tra gli scogli da una tempesta. Non so non ho saputo più nulla da allora, ma sono certo della buona fede della Signora, sono certo che non avrebbe mai mancato alla parola.
Il racconto del comandante era terminato e stavamo per scendere sottocoperta alle nostre cuccette quando d'improvviso il cielo s'oscurò, forti venti fecero imbizzarrire le vele e su tutti noi scese un'inquietudine mortale. Nessuno quella notte ebbe il coraggio di ammettere che in quei pochi istanti di terrore, tutti avevamo udito distintamente perdersi nel cielo tenebroso il suono di una risata sguaiata e aspra. Dopo molto tempo tentai una ricostruzione dei fatti. Visitai le più importanti biblioteche marinare, le raccolte giornalistiche del tempo, ma sebbene per tutti i marinai di queste coste la Regina dei Pirati sia esistita realmente essa non figura in nessun documento ufficiale.
Avevo, però, il materiale per la mia conferenza di fine anno e l'avrei intitolata: La Regina dei Pirati, la regina dei miti, ovvero, storie e metastorie delle comunità marinare.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)