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Racconto

Il Moscone

di Ruggero Scarponi


- Mamma dice di tenere le finestre chiuse che altrimenti entrano il caldo e le mosche – piagnucolò Fausto, tirandogli con la manina il bordo della camicia.
Suo padre, Angelo, non gli badò, limitandosi a passargli una carezza distratta sulla testolina bionda, senza smettere di guardare fuori. Aveva spalancato la finestra della stanza da letto che dava sul retro della casa e allargando il torace si riempiva i polmoni più di luce che di aria.
Il caldo era già soffocante, a metà mattina.
- così, ti ha detto mamma? – chiese Angelo dopo una pausa.
Ma Fausto si era messo a giocare in disparte con un’automobilina che faceva correre lungo il bracciolo di una poltrona e non rispose. Però sottovoce continuava a ripetere incessantemente:
- mamma ha detto che entrano il caldo e le mosche, mamma ha detto così. Poi se entrano, le mosche vanno dappertutto, pure sul pane e sulla carne e a noi fanno schifo.
Parlava, Fausto con una specie di borbottio che sembrava recitasse una filastrocca ma senza farsi capire, oppure sembrava che con la bocca imitasse il rombo dell’automobile che spingeva su e giù lungo il bracciolo della poltrona.
Angelo si voltò a guardare suo figlio. Non sentiva nulla nei suoi confronti, l’aveva visto nascere quattro anni prima ma subito c’era stato il distacco, per il bene della famiglia. E così aveva cominciato a girare il mondo per lavoro e con quel bambino non aveva mai legato. Era tornato a casa ogni volta che aveva potuto, ma Fausto se l’era cresciuto sua moglie Ada, da sola. E anche da parte di Fausto non c’era affetto per lui. Lo capiva da tante piccole cose. Quando tornava a casa dopo due o tre mesi di assenza, per esempio, il piccolo non gli correva mai incontro a fargli festa. Era sua madre Ada che doveva spingerlo tra le sue braccia. E in quelle occasioni, il piccolo, non sapeva mai come comportarsi e restava freddo, intimorito anche quando Angelo lo colmava di regali.
- mamma le finestre le tiene sempre chiuse?- continuò Angelo all’indirizzo del figlio - ma dico io: cosa c’è di più bello del sole, dell’aria? Dove stavo io, di sole ce n’era, altro che questo! Laggiù davvero non si poteva tenere la finestra aperta. Le case devono restare sempre in ombra laggiù, altrimenti ci fa così caldo che uno ci crepa. Qui invece è un piacere farsi inondare dal sole. Vieni! – disse rivolto al figlio – vieni a vedere com’è bella la natura. Non stare rinchiuso, non ti fa bene, vieni qua che papà ti prende in braccio e ti fa vedere quante cose belle ci sono di fuori.
Per tutta risposta Fausto si ritirò nell’angolo più in ombra della stanza. Era spaventato.
- Vieni qua, non avere paura! – insistette Angelo.
Il bimbo non sapeva che fare.
- mamma dice di tenere la finestra chiusa – urlò quasi isterico.
- Quanto sei scemo! – lo canzonò Angelo - E’ così che fai? Ti metti a piangere come una femminuccia per un po’ di sole? E questo sarebbe mio figlio? Ma come me lo crescono? Cristo! – sbottò Angelo spazientito.
Preso dalla collera, stava per andare verso Fausto per costringerlo con la forza ad affacciarsi alla finestra ma poi visto il viso terrorizzato del figlio, fu preso da un impeto ancora più forte. Fece un gestaccio con le mani, masticò tra i denti una bestemmia e uscì dalla stanza sbattendo forte la porta.
Fausto era rimasto annichilito nell’angolo del muro. Era scivolato per terra e respirava tra i singhiozzi.
Quello era suo padre, meditò con rammarico. Perché tornava ogni volta? – io e mamma- pensò- non abbiamo bisogno di lui, stiamo così bene da soli, che motivo c’è che ogni volta deve tornare a rovinare tutto…. - Oh! Quanto voleva bene a sua madre. Se solo avesse potuto averla tutta per sé! Quando stavano da soli la casa era tranquilla e piena d’amore. La vita era così bella e regolata e non aveva neanche bisogno di giocattoli nuovi per sentirsi felice. Ora invece c’era tensione fra loro. Fra lui e suo padre e anche con la mamma doveva esserci qualcosa di triste, come una sofferenza nascosta, lui l’aveva capito, anche attraverso i silenzi. Erano giorni infelici pieni d’ansia. L’unica speranza, era sapere che ogni volta, suo padre li avrebbe finalmente lasciati per tanto tempo, forse per dei mesi, dei lunghi, dolcissimi mesi.
In quel momento un ronzio forte e minaccioso gli fece alzare gli occhi verso la finestra.
Un grosso moscone nero e peloso s’era affacciato all’interno della stanza. Con il suo volo pesante andava su e giù e sembrava indeciso sul da farsi, finché non varcò lo spazio di confine tra la luce e l’ombra e scomparve dietro una tenda.
Fausto restò silenzioso a lungo nella posizione, in cui si trovava. Si sporgeva cauto con la testa alla ricerca del grosso insetto. Ogni tanto si fermava e tratteneva il respiro nel tentativo di coglierne il ronzio grave e molesto. Tutto taceva. Intanto il sole aveva abbandonato la stanza che ora era tutta in ombra.
Dal corridoio giungevano rumori di porte che si aprivano e si chiudevano. Sua madre doveva essere rientrata con la spesa e parlava con Angelo. Parlavano a scatti. Dapprima con toni sommessi poi più forti. Le parole dell’uno si sovrapponevano a quelle dell’altra, come acqua, con un gorgogliare confuso.
Fausto intuì che stavano litigando. Intuì di esserne la causa. Forse per via della finestra.
D’un tratto la porta della stanza si aprì e comparve sua madre.
- Fausto,che fai lì per terra? - chiese - Alzati, vieni, è ora di pranzo.- Poi con dolcezza lo rimproverò mentre lo aiutava ad alzarsi - Perché sei sempre così scontroso con tuo padre? Dovresti portargli rispetto e ubbidirlo. Lui sta sempre fuori a lavorare e si sacrifica per noi e non è giusto che quando torna tu non sia affettuoso con lui. Dovresti dimostrargli che gli vuoi bene.
Dietro Ada si era affacciato Angelo. Ora sembrava sereno e sorrideva.
- Forza giovanotto – disse – facciamo la pace. Su, vieni qua e diamoci la mano, da uomini.
Angelo teneva la mano tesa. Fausto guardò sua madre in viso cercando nel suo sguardo una via di scampo. Non voleva dare la mano a Angelo, sapeva che quella che gli era stata offerta era una pace finta. Ma Ada sembrava non raccogliere la sua richiesta e ricambiava il suo sguardo senza promettere nulla.
Allora Fausto con un fil di voce restando appiattito nell’angolo disse tutto risentito:
- ha tenuto aperta la finestra e adesso è entrato un moscone grosso così che si è nascosto dietro la tenda.
Ada guardò sorpresa, prima Angelo e poi di nuovo Fausto.
- Ma che? - chiese
Angelo ritirò la mano e si fece serio.
- Che dici, Fausto? Non è entrato nessun moscone.
- Ti prego, Angelo… – disse Ada –
- Bè, se è entrato un moscone, sarà qui dentro da qualche parte, no?- disse Angelo - Lo cerchiamo e lo uccidiamo, va bene, così?
Fausto con la testa fece cenno di si.
- Là – indicò con la manina verso l’armadio sul quale si appoggiava il bordo di una tenda.
Angelo allora la prese con tutte e due le mani e la scosse vigorosamente mentre Ada e Fausto si tenevano a distanza con i visi contratti per il ribrezzo.
- Qua non c’è – disse Angelo dopo un po’. – Ora vediamo dietro l’armadio.
- Sì si – urlò Fausto – deve essere là dietro, si è nascosto dopo essere entrato.
- Qui? – Chiese Angelo, mentre cercava faticosamente di scostare il mobile dal muro, intanto che cercava con lo sguardo, nel tentativo d’individuare l’insetto.
Ma dopo un accurato esame disse.
- Forse ti sei sbagliato Fausto, qua non c’è niente.
Il bimbo guardò Ada, con uno sguardo interrogativo e supplicante.
Ada allora disse.
- Va bene Fausto, ora teniamo tutto chiuso e andiamo di là a mangiare che altrimenti il pranzo si fredda. Vedrai che se è entrato davvero, quando torniamo lo troviamo e lo cacciamo fuori, promesso.
Fausto dette la mano a sua madre e tutti e tre si recarono nel soggiorno, dove era stato apparecchiato.
Nessuno però aveva voglia di mangiare. L’idea del moscone libero di muoversi e di posarsi ovunque in camera da letto aveva finito per suggestionare Ada che ora se ne stava silenziosa senza toccare cibo. Angelo si era innervosito e si sentiva estraneo in quella casa e anche lui mangiava di malavoglia.
Fausto andava con lo sguardo dalla madre al padre, silenzioso con il viso mezzo nascosto sotto il piano del tavolo.
- Domattina parto, rientro al cantiere – annunciò grave, Angelo, in mezzo a un silenzio carico di tensione.
Ada alzò lentamente lo sguardo su di lui, stava per dire qualcosa ma restò muta.
A Fausto brillarono improvvisamente gli occhi.
- Vado di là – disse Angelo – così faccio fuori quel maledetto “coso” e voi due…- non terminò la frase.
Ada e Fausto si scambiarono un lungo sguardo.
Angelo, stizzito e scuro in volto, lasciò cadere quasi di peso la forchetta sul piatto, senza neanche finire di mangiare. Nel silenzio la posata provocò un rumore incredibile, quasi irreale.
Poi si diresse deciso nella stanza da letto, per snidare l’intruso.
Ma per quanto cercasse, il moscone, non gli riuscì di scovarlo da nessuna parte.
Il resto della giornata trascorse monotona e noiosa pervasa da una sensazione di calma e d’indifferenza

Al mattino seguente alle prime luci dell’alba Angelo dopo aver salutato freddamente Ada e data una carezza leggera sulla testolina bionda di suo figlio che era rimasto a dormire nel letto dei genitori, si preparò alla partenza.
- Che faccio Ada – disse prima di uscire dalla camera da letto – spalanco un po’ la finestra? Tra poco farà caldo…
- Grazie, ma tieni un poco accostate le imposte – rispose assonnata Ada mentre si rannicchiava dentro il lenzuolo –
Angelo fece quanto richiesto da sua moglie, in modo che nella stanza entrasse l’aria fresca del mattino senza far trapelare troppa luce, lanciò un ultimo sguardo sulla campagna tutta gialla e verde, prese un bel respiro a pieni polmoni e senza dire altro se ne andò.
Qualche istante dopo da chissà dove uscì fuori anche il moscone che con il suo volo pesante varcando il limite tra l’ombra e la luce, uscì dalla finestra nell’aperta campagna.
Ada emise un profondo sospiro, abbracciò Fausto che stava dormendo profondamente, lo strinse forte a se, lo baciò sulla testa e sulla guancia rosata e si riaddormentò serena.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)