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racconto

La ristrutturazione

di Ruggero Scarponi

Mi chiamarono, appena laureato, in uno studio di architetti specializzati in ristrutturazioni d’interni e l’incontro con il primo cliente fu davvero singolare.
Giunsi all’indirizzo stabilito, in un bel pomeriggio di primavera.
L’abitazione era situata al piano attico di una palazzina, in uno dei quartieri nord della Capitale. L’edificio, una costruzione in cortina, era gradevole, con belle rifiniture in legno e contornato da un giardino con fiori e piante ben curati.
- Sono del… “Centro Domus”…– dissi al citofono con un tono esitante.
Non fu necessario altro, il portone d’ingresso si aprì subito.
Non c’era il portiere e l’ampio locale, dal quale si accedeva alle due scale con ascensori, per raggiungere gli appartamenti degli inquilini, era piacevolmente illuminato e un bel mosaico, moderno, impreziosiva il pavimento.
L’ascensore mi portò rapidamente al piano.
Suonai all’interno 15.
- Thomas Muller? – Chiesi all’uomo che mi aveva aperto la porta.
- Sì, prego – disse quello, fissandomi in viso - si accomodi – aggiunse, senza cerimonie.
Subito dopo, dal piccolo ambiente che fungeva da ingresso, m’introdusse nello studio, che in pratica costituiva tutto l’appartamento.
La stanza era silenziosa e illuminata da ampie vetrate. Delle porte-finestre immettevano su un terrazzo su cui si scorgevano, disposte in vari angoli, sedie, tavoli e piante ornamentali, talune suppongo rare o esotiche.
- E’ il mio studio, sono grafico pubblicitario e… la mia casa, abito qui – disse Muller.
- Un posto ideale – commentai.
- Non so – rispose dopo averci pensato un poco – ci sto da tanto.
- Comunque è molto bello – dissi.

L’interno della stanza era ammobiliato in maniera essenziale e sembrava che tutto fosse disposto in funzione del lavoro di Muller. Addossato alla parete un semplice divano serviva per far accomodare gli ospiti e, immagino, come letto per la notte. C’erano anche due tavoli, uno grande e uno da disegno con il piano inclinato. Il tavolo grande era ingombro di libri, molti dei quali aperti. Erano quasi tutti libri d’arte e di fotografia. Sul piano da disegno, invece, c’erano numerosi fogli in disordine con bozzetti appena schizzati. Due lampade, impreziosite da paralumi di shantung oro, troneggiavano sul tavolo grande e altre due, professionali, sul tavolo da disegno. Muller si era appoggiato a una grande libreria che copriva per intero una parete. Mi sembrò molto alto e molto magro e la sua figura si stagliava elegante e malinconica sul parquet color miele del pavimento. Aveva assunto uno strano atteggiamento di ascolto, distaccato, che sulle prime mi procurò un certo imbarazzo, quasi avessi invaso, importuno, il suo mondo perfetto. Indossava una camicia a righine blu con i polsini slacciati e ripiegati un poco, pantaloni celesti, puliti e ben stirati ma piuttosto sbiaditi dai molti lavaggi, senza cinta, quasi appesi, ai fianchi esigui, e un paio di mocassini blu di pelle scamosciata. Notai che non portava calzini. Sembrava più giovane dei suoi quarant’anni, aveva nel viso, bello e regolare, una specie di serena rassegnazione. Lo sguardo, sognante, rivelava un’intelligenza sofferente ma nessuna inquietudine. Nell’insieme era una figura di grande finezza. Il nome, il colore biondo dei capelli e l’azzurro chiaro degli occhi tradivano l’origine nordica, forse tedesca. Ma il suo italiano, corretto, preciso nella dizione dimostrava la piena acquisizione della nostra lingua.
- Sono venuto a presentarle qualche progetto – esordii cercando di assumere un contegno professionale e al contempo cordiale.
- Possiamo metterci di fuori – rispose, indicando delle poltroncine sul terrazzo.
Ne fui lieto. Non sembrava ansioso come tanti e m’invitava a mettermi comodo, senza fretta, in un ambiente bello e accogliente.

Lo seguii sul terrazzo panoramico, aperto sulla campagna. Da quelle parti la periferia si diradava alquanto lasciando scorgere i campi con il grano ancora in erba ma già pronto a imbiondire ai primi ardori della stagione. E poi lunghe teorie di cipressi, scuri e imponenti o di pini a ombrello che disegnavano i profili dolci delle colline o dei viali delle ville padronali. Si avvicinava il tramonto con l’enorme disco solare appena sospeso sopra le colline sull’orizzonte.
Ci sedemmo su delle poltroncine di vimini che erano state attrezzate con dei cuscini, per maggiore comodità.
- Prende un caffè? – mi chiese cercando di controllare la respirazione leggermente affannosa.
- Grazie – risposi mentre traevo dalla borsa la documentazione di cui intendevo parlare.
Estrasse il cellulare, compose un numero e ordinò due espressi al bar sotto casa.
Dopo un po’ si udì aprire la porta all’ingresso. Una ragazza giovane apparve recando in mano un vassoio con due tazzine.
Si avvicinò e lo appoggiò sul tavolo.
- Buona sera – disse rivolta a me, che ricambiai il saluto, senza sapere chi fosse.
Non era bella, ma senza dubbio attraente, nelle sue movenze lente e aggraziate. Alta, dalle forme acerbe, da ragazzina, con un viso espressivo e occhi dolci e inconsapevoli, come quelli di un agnello.
- Lei è Meggy – disse Muller indicando con un cenno del capo la giovane – è la mia segretaria…- e dopo un attimo di esitazione – … la mia compagna.
Feci per alzarmi.
- Comodo – disse lei porgendomi la tazzina – non si disturbi, prenda il caffè che altrimenti si fredda. – poi rivolta a Muller – ero di sotto al bar quando hai chiamato…
Lui si limitò ad assentire con la testa.
Meggy attese che bevessimo il caffè, poi riposte le tazzine nel vassoio, prese il tutto e si ritirò dicendo:
- Vi lascio tranquilli.
E invece, come se si fosse ricordata improvvisamente di una cosa importante, tornò sui suoi passi, si abbassò su Thomas e lo baciò sulla bocca.
Thomas non riuscì a nascondere un leggero imbarazzo.
Dopo averli osservati così intimi, provai il desiderio di alzarmi e fuggire lontano senza dire nulla di quanto dovevo, ma proprio in quel momento mi sembrò che spirasse una leggera brezza accompagnata ai profumi della sera.
- Maggio è un mese meraviglioso – mi lasciai sfuggire.
Thomas annuì con la testa mentre fissava con lo sguardo un punto indefinito sull’orizzonte.
Poi parlammo lungamente dei progetti che avevo elaborato per la ristrutturazione di un casale di sua proprietà e alla fine ne scelse uno.

Quando fui sul punto di andarmene Meggy volle accompagnarmi alla porta.
- Ecco, tenga – disse quasi sottovoce – Thomas ha insistito…
Guardai il foglietto che la ragazza mi stava porgendo e restai perplesso.
- Ma non è il caso – obiettai – non abbiamo neanche iniziato i lavori.
Meggy allora mi prese la mano e vi pose l’assegno che copriva interamente il costo della ristrutturazione.
- Lo prenda, per favore – insistette – non so se la prossima volta lui ci sarà ancora e ci tiene che il lavoro sia realizzato secondo il suo progetto.
Parlava calma, pacata anche se una vena di tristezza le attraversava lo sguardo.
Non seppi dire altro. Presi l’assegno, lo riposi nel portafogli e mi congedai.
Thomas morì di leucemia prima dell’inizio dei lavori.
Meggy restò nella casa che il compagno le aveva lasciato e s’impegnò affinché la ristrutturazione del vecchio casale fosse portata a termine secondo la sua volontà.
Quando si conclusero i lavori Meggy ed io eravamo diventati molto intimi.
- Ha organizzato tutto Thomas – mi disse un giorno.- Si era fatto una certa idea da quando ti aveva conosciuto la prima volta, al Centro Domus. Sapendo di avere ancora poco tempo da vivere si era convinto che non avrebbe potuto lasciarmi in mani migliori. Per questo ha insistito con la ristrutturazione, per darci modo di conoscerci e di frequentarci.
- Questo l’avevo capito – risposi sorridendo e facendole una carezza sulla guancia - e comunque - aggiunsi – un uomo così non s’incontra tutti i giorni, uno che oltre a progettare la ristrutturazione di un casale pensa anche alla ristrutturazione degli affetti. E tu sei stata fortunata ad averlo avuto come compagno.
Meggy allora mi fissò intensamente restando in silenzio. E io la trassi a me, abbracciandola forte.

(fatti e personaggi sono frutto di pura fantasia)


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)