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racconto

Io e il mio amico

di Ruggero Scarponi

Non devo certo fare un grande sforzo di memoria per ricordarlo. Il mio amico. Anzi il mio migliore amico. Bell’amico, dovrei dire! Un vero tesoro. Ricordo tutto, di quando l’ho conosciuto. Tutti i particolari. A quel tempo mi sbronzavo forte la sera e non sempre rientravo a casa con le mie gambe. Una volta, dopo aver finito il turno di lavoro sulla nave, scesi di corsa giù al porto per andare a ficcarmi dentro il bar con i miei compagni. Ero determinato a prendermi una sbornia colossale. Avevo lavorato senza riposo per tre settimane e avevo la gola asciutta come fosse di gesso.

Tra l’altro nel bar bazzicavano un paio di ragazze che avevo adocchiato e che contavo di portarmi in camera per finire la serata in bellezza. Avrei speso buona parte del mio mensile ma chi se ne frega, se c’è da divertirsi non si deve essere taccagni. Non dovetti fare molta fatica. Appena seduto, quelle due mi vengono al tavolo. Io ordino a profusione, vino, birra, liquori. Si fa baldoria. Le due sono piuttosto assetate e a me non pare vero di accontentarle. Intanto si ride, si scherza. Con una, quella con i fianchi belli tondi, ci faccio anche un paio di balli. E’ morbida, me la stringo. Quella “ci sta” alla grande e intanto mi si mette a sospirare vicino all’orecchio da farmi andare il sangue alla testa. Terminato il ballo è la volta dell’altra. Ce l’ho addosso. Baci, carezze… e altro. Ci diciamo un sacco di cose anche un po’ spinte, per la verità. D’altronde la ragazza non è certo una verginella. Allora mi alzo e invito le due tipe a venire con me di sopra, in camera...Dopo… devo essere crollato. Sta di fatto che quando riapro gli occhi, mi sembra di essere stato investito da un transatlantico. La testa mi fa male, mi viene da dar di stomaco, non riesco neanche a muovere le gambe. Mi sento bagnato e ho i brividi lungo la schiena. Penso di avere la febbre. Solo dopo un po’ realizzo di essere stato scaricato per la strada in mezzo a un rigagnolo puzzolente. Le tipe mi hanno ripulito ben bene, accidenti! di sicuro grazie a qualche loro compare. Probabilmente mi tenevano d’occhio e io pezzo d’imbecille ci sono cascato come un pivello. Poi arriva lui. L’amico. Si ferma davanti a me che rantolo a terra.
- Dammi una mano! – gli grido.

Quello mi guarda e se la ride. Forse mi allunga la mano. Ma non ce la faccio, non riesco neanche a raddrizzarmi. Chissà che m’hanno dato da bere i vigliacchi!
- Forza – insisto – aiutami, no, non vedi come sono messo?
- Sei proprio messo male – mi dice –
- Devi essere un genio per averlo capito – rispondo – Aiutami a rialzarmi piuttosto!
- Aspetta – mi fa – che mi dai se t’aiuto?
- Tu devi essere il più gran bastardo…- rispondo furibondo – tra marinai ci si aiuta, non lo sai?
- E se non fossi marinaio? E poi non me ne frega niente di te.

Che razza di risposta! Il farabutto si mette le mani in tasca e sta lì impalato a guardarmi.
Resto senza parole. Avete mai visto uno cinico, ma che più cinico non si può? Ebbene quello, il mio amico… uno così vi auguro di non trovarvelo mai tra i piedi.
- Ma sei un fottuto bastardo! – Gli urlo – Non puoi lasciarmi in questo schifo.
- Non sono certo io ad avertici messo.- dice sussiegoso - Ti ci sei messo da solo.
E’ un bastardo, penso, senza un briciolo di umanità.
- Ma che gran figlio…! – impreco sconcertato.
- Per favore… – Lo imploro. Non ce la faccio più, oramai sono zuppo e puzzo di fogna peggio di una pantegana.
- Adesso si che mi fai ribrezzo – sogghigna a mezza bocca…
- E che devo fare per farmi dare una mano? – Urlo – Ehi! Non c’è nessuno qui intorno? Solo questo gran figlio di…
- Ok! – mi dice, forse si è mosso a compassione – Mi fai pena, ti do una mano.
Tira fuori un fazzoletto, il damerino. Io sono ridotto che neanche nella discarica mi vorrebbero e questo si preoccupa che non lo sporchi.
Mi allunga esitante una mano.
- Eh, forza, dammi anche l’altra, che non ce la faccio – gli grido. Ho i brividi. Di sicuro avrò la febbre.
I nervi sono a fior di pelle.
Finalmente mi aiuta. Mi tira su. Barcollo, sbando.
- Grazie…- mormoro a testa bassa.
- …E scusa per le parole di prima. Era che…Ma si, dai, come ti chiami? …La prossima volta che passi di qui ti offro da bere. La mano però non te la do, puzza troppo, non la darei al mio peggior nemico… E il fazzoletto buttalo, te lo consiglio, non vale neanche la pena di lavarlo. A proposito, chi devo ringraziare? Come ti chiami?
Improvvisamente quello…pluf! Sparisce, come un fantasma. Fumo, amici, garantito null’altro che fumo! Dietro di lui però c’era una bella vetrina tutta lucida.
Mi ci vedo ancora riflesso nella vetrina, che rido come un matto.
Il mio migliore amico? – Sghignazzo - Che razza d’amico!


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)