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Cinema

Molto fumo e poco arrosto:

Saint-Laurent
più documentario che film

Il film sarà nelle sale italiane il 4 Aprile

di Giada Gentili


Di anno in anno, di collezione in collezione, di uomo in uomo, di problemi in problemi.

La recensione sul biopic di Yves Saint Laurent potrebbe iniziare e finire così.

Ma ridurre un film ad una frase non è corretto in (quasi) nessun caso.

Una seria di avvenimenti giustapposti l'uno all'altro e legati dalle scritte sullo schermo (1956- 1978...) e dal fatto che i protagonisti siano gli stessi fanno di ciò che si vede un racconto. Dargli l'accezione di “documentario ispirato alla vita reale” sarebbe stato meglio.

Prova che non basta avere per le mani la vita di una personalità così interessante e contorta come Saint Laurent, la sua vita dissoluta, gli eccessi perfettamente mixati al suo genio non necessariamente ne avrebbero fatto uscire un bella storia.

E il condizionale è subito indicativo : no, non è venuta fuori una bella storia.

Non approfondita l'evoluzione della case di moda tra le più anticonformiste di tutti i tempi, il suo decollo è accennato e il declino (e successiva chiusura nel 2002, nonostante il marchio sia sopravvissuto sotto Gucci) neanche preso in considerazione.

Così come lo stile.

   

La scelta di Saint Laurent, primo tra tutti, di non relegare l'alta moda alle sole classi élite si intuisce a malapena.

La rivoluzione nel trasformare lo smoking, il blazer il giacchetto di pelle in capi femminili, cambiando l'immagine della donna non solo sul piano della passerella ma anche sociale, è un'idea sparsa qua e la in alcune immagini.

Infine la sua devozione per l'arte, per Picasso, Warhol, Braque, Matisse che diedero vita ad una delle collezioni più rivoluzionarie di sempre in campo stilistico, visivo, e del concepire la moda: la Mondrian è un momento del film che passa davanti agli occhi come tanti.

Totalmente riprodotte le simmetrie dei quadri del pittore sui vestiti, Yves Saint Laurent fu il primo a creare un collegamento tra la moda e l'arte prima e tra la moda e la cultura poi.

Influenzato dai suoi viaggi in Marocco, India e Africa, questi paesi arricchirono le creazioni della Casa anticipando sulla passerella quello che stiamo vivendo da vent'anni a questa parte: un melange di tradizioni in cui cerchiamo tutti un equilibrio (e lui fu tra quelli che lo trovò).

Nel film tutte queste sfaccettature passano in secondo piano, al primo ci sono le relazioni torbide, la storia con Pierre Bergé, i suoi problemi con la droga. Una sfilata di avvenimenti che danno un immagine del folle e fragile più che del genio.

   

Ma i punti di forza ci sono.

Gli attori, Pierre Niney, Saint Laurent, e Guillame Gallienne, Bergé, creano una sintonia quasi perfetta e la riproduzione della storia d'amore è più che credibile.

Niney, due volte nominato ai Cesar come uno dei giovani attori più promettenti, riesce a maturare con il personaggio, nello sguardo, nella postura, nelle scelte e Gallienne è incastrato con i suoi eccessi alla perfezione.

La musica che tra il puramente classico e il moderno evoca la personalità del protagonista ed infine le due muse di Saint Laurent, Victoire Doutreleau e Betty Catroux, quasi meglio descritte del protagonista stesso.

Forse la volontà di dire tutto alla fine non ha fatto dire quasi nulla, ma guardandolo dal punto di vista solo di documentario Yves Saint Laurent si salva e ce lo si fa andare bene.

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)