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Cinema

The Wolf of Wall Street

di Federica Fasciolo


“Mi chiamo Jordan Belfort. L’anno in cui ho compiuto 26 anni ho guadagnato 49 milioni di dollari, il che mi ha fatto molto incazzare perché con altri 3 arrivavo a un milione a settimana”.

Come dargli torto.

Jordan Belfort è una persona vera, mica un personaggio. Dopo tutte le sue “vicissitudini”, ha scritto un libro sulla sua storia. Che ora è un film che traghetta Leonardo di Caprio dritto tra i nominati agli Oscar come miglior attore protagonista.

Il giovane Jordan, di origini umili ma decisamente ambizioso, cerca lavoro nel posto perfetto per farlo diventare ricco quanto desidera: Wall Street. Viene subito notato per il suo talento, e anche se le sue intenzioni possono sembrare buone per quasi 30 secondi, appena gli vengono comunicate le regole del gioco (disonesto) per arricchirsi, non esita a farle velocemente sue: droga, sesso (entrambi in dosi abbondanti, per “rilassarsi”) e ovviamente fregare il cliente, nemmeno a dirlo.

Diventerà milionario, ma l’FBI lo tiene d’occhio e la sua vita tra lavoro, sballamento e prostitute (elementi presenti tutti contemporaneamente nel suo ufficio) non durerà per sempre.

Avere un’opinione solo positiva o solo negativa del film mi sembra abbastanza improbabile. Gli attori sono senza dubbio eccezionali, e avevano ragione le signore che sentivo chiacchierare alla fine: “se non danno l’Oscar a Leonardo stavolta, vuol dire che ce l’hanno proprio con lui!” e giù risate (che a quanto pare è opinione condivisa da tutti gli esseri umani, persino quelli che il film non l’hanno ancora visto).

Jonah Hill, il classico tizio a cui a un primo sguardo non daresti un soldo bucato, è invece sorprendente nell’interpretazione del suo personaggio assunto da Belfort, Donnie Azoff: polemico, meschino e che potremmo definire folle, se non sapessimo che in realtà è perennemente “fatto”. Nomitation come miglior attore non protagonista più che meritata.

   

Per quanto riguarda tutto il film, beh: 3 ore sono decisamente troppe. Non perché siano troppe in assoluto, ma perché se mi fai sbadigliare e chiedere quando finisce in almeno due o tre scene, evidentemente c’è qualcosa che non va e che andrebbe tagliato, in quelle due o tre scene.

Diventano ripetitivi i momenti in cui si parla o si vedono droga e sesso. E non perché ci scandalizziamo: semplicemente perché quando una scena non aggiunge nulla a ciò che è stato già mostrato, si cade nel ridondante. Oppure, se preferite, nel puro intrattenimento (maschile) fine a se stesso, che in un film candidato all’Oscar non ci sta proprio.

I lati positivi ci sono: qualche dialogo, scene divertenti, la perfetta rappresentazione della decadenza del protagonista che da milionario beffardo finisce (anche letteralmente, vedrete) a strisciare come un verme e a fare sesso per l’ultima volta con una moglie - tradita mille volte - che ormai non vede l’ora che finisca; per poi rialzarsi (in pieno stile americano, ma senza alcun pentimento per il suo passato) per sfruttare in modo onesto il suo talento: che potrebbe essere l’arte di vendere, ma che in realtà è l’essere imprenditore di se stesso.

Va bene il cambiamento (che probabilmente è stata solo una necessità), vanno bene i notevoli spunti di riflessione che offrono i personaggi e anche la storia, a prescindere da come sia stata affrontata. Ma non ci impressioni, caro Jordan.

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)