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Cinema

Noah

le quote rosa nella Genesi di Aronofsky

di Giada Gentili


Sono andata a vedere Noah il sabato prima di Pasqua, tanto per rimanere in tema con il tempo di Quaresima.

Darren Aronosfky, il regista, mi aveva talmente stupito con “Il cigno nero” (2010) che ho voluto dare a Noah una possibilità, nonostante il trailer sembrasse la seconda parte de Il gladiatore.

Il film è un blockbuster. Una di quelle produzioni titaniche (anche se l’Arca a differenza del Titanic non è affondata) che, mentre le guardi, ti domandi se non sei andata a vedere un “Fast and Furious” misto a “Il signore degli anelli” biblico; o se invece, magari, hai sbagliato scuola di catechismo da piccolo e non ti hanno mai detto che, ai tempi di Noè, c’erano davvero delle enormi mostri-roccia che parlavano con gli uomini.

Ma, nel 2014, non ci si può aspettare qualcosa di poco d’effetto, in termini visivi, anche se si parla di Noè, quindi la chiara firma “Hollywood” nel film si può (con un po’ di fatica) perdonare.

   

Il tema delle follia depressiva, tanto cara a Arofosfky, torna anche in Noè: Russel Crowe compie, con presupposti e conseguenze diverse, lo stesso percorso di Natalie Portman ne Il cigno nero.

Questo è tra i pregi del film: Dio non interviene mai ‘fisicamente’, è Noè ad interpretare i Suoi segni, decidere e agire. Niente voci profonde dall’alto o angeli che volano sull’arca, la poca presenza divina porterà Noè ad essere assalito dai dubbi sulla correttezza delle sue azioni ed è questo che lo condurrà ad una confusione mentale stile Cigno nero.

Bisogna quindi dare atto al film che la rilettura della Genesi è stata originale, in alcuni tratti forse troppo, ma comunque scorrevole nelle 2 ore e 20 di film.

   

Noah, però, è soprattutto una versione stile Femen (sì, il gruppo di ucraine che ha protestato per le discriminazioni contro le donne) della Bibbia. Se Noè è instabile, (quasi) cieco nella sua fede e i tre figli maschi sono: o totalmente ribelli o dispersamente servizievoli, le donne, a partire da Jennifer Connelly, sono la vera forza motrice del film.

Sono i personaggi che si interrogano, che chiedono ‘perché?’, che mettono tutto in discussione. Emma Watson, la stessa attrice che dieci fa prendevo in giro in Harry Potter per i capelli ridicoli, l’espressione saccente e il corpo minuto, è diventata un’attrice vera. In realtà me n’ero già accorta quando sono andata a vedere “Noi siamo infinito”, ma se ne dev’essere accorto pure qualcun altro in giro per Los Angeles.

Darren Aronofsky ha restituito un po’ di quote rosa alla storia della Genesi, senza romanzarci troppo su: nell’antichità la donna era sopratutto madri e quest’accezione è rimasta nel film.

   

Intanto, a più di 2000 anni di distanza da Noè, nel parlamento italiano passa un ddl per le quote di genere pure per il voto europeo. Allo stesso tempo, pochi mesi fa, i giornalisti si scandalizzavano perché una parlamentare donna aveva un completo blu invece che nero (la Boschi al giuramento di Governo a febbraio) durante una cerimonia ufficiale.

Quale delle due società: se quella patriarcale di Noè o la nostra, che dopo millenni della cosiddetta ‘evoluzione’ ha bisogno di leggi per sancire il rispetto delle differenze di genere, sia più maschilista ancora non lo so.

   


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