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Cinema

Una voce per un corpo e un corpo per un OS

“Her” (2013) di Spike Jonze
e “Simone” (2002) di Andrew Niccol

di Margherita Lamesta

Her di Spyke Jonze, all’ottava edizione della kermesse cinematografica capitolina, affronta le tematiche legate alla dicotomia tra apparenza e realtà e porta a casa il premio per la migliore interpretazione femminile aggiudicato alla brava Scarlett Johansson. Anche Simone di Andrew Niccol (2002), con la sua critica al mondo del cinema metteva in scena i binomi verità e finzione, vita e arte. Il lascito di Hank, un inventore pazzoide morto prematuramente, permette nel film di Niccol di creare Simone, un'attrice virtuale spacciata per reale. Dove, con Jonze, l’Operative System interpretato dalla Johansson non nasconde la sua virtualità ma dimostra che è proprio quel che occorre, grazie alla sua intelligenza intuitiva e capace di provare sentimenti, per aprire un contatto con gli esseri umani e tra di loro. Come Taransky-Al Pacino si rende conto che la sua creatura virtuale è più reale di tutto e di tutti quelli che gli stanno intorno, così Theodore-Joaquin Phoenix (dall’interpretazione assolutamente degna di nota per bravura e versatilità) si aggrappa al suo OS, Samantha-Scarlett Johansson, per poter vivere la sua realtà sentimentale con un’intensità inimmaginabile nel mondo reale.

Niccol disegnava il personaggio di Pacino come un regista alla ricerca affannosa della propria affermazione. "Ti ho creato Simone affinché io esista" - ripete in uno dei suoi monologhi con la pupa di pixel. E Jonze trasferisce a Samantha l’intero compito di far prendere aderenza con la realtà al suo protagonista. Simone è così perfetta che lo spettatore teme di vedere un corpo irreale, dalle fattezze costruite al computer, non riuscendo ad immaginare un’attrice vera nei panni di quel ruolo – complice anche la perfezione fisica di Rachel Roberts - ; per Samantha, invece, lo spettatore fa fatica a credere che non esista, se non dentro un software, e vorrebbe che prima o poi, come per incanto, uscisse dal sistema materializzata nelle morbide forme di Scarlett Johansson. Taransky si affida all'insaputa di tutti ad un'attrice creata da un programma di realtà simulata, facendola diventare un'icona cinematografica, amata da tutti, anche da lui stesso, salvo volersene liberare quando capisce che la sua creatura lo sta portando a dimenticarsi di se stesso e della sua arte. Theodore, invece, è reduce dalla fine di un matrimonio causata dall’incapacità della coppia di adattarsi ai caratteri e ai mutamenti inevitabili dell’una e dell’altro ed è per questo che ben si amalgama con il suo OS, salvo essere costretto nuovamente a fare i conti con quello che cambia, si evolve, muta: sia in se stesso, sia nella sua compagna virtuale; nella coppia.

   

Film geniale nella scrittura, straordinario nella recitazione, elegante nell’estetica e nella fotografia, Her immagina un futuro non troppo lontano in cui l’essere umano vivrà in simbiosi con la tecnologica e con i sistemi operativi. Parleremo quasi esclusivamente con loro, vivremo con loro, faremo amicizia e ci innamoreremo di loro. Ma quando anche loro cambiano e noi non ce lo aspettiamo e non lo vorremmo siamo costretti obtorto collo a fare ancora una volta i conti con la realtà. “Hai sempre voluto una relazione che non ti creasse complicazioni” - grida in faccia l’ex moglie a Theodore, centrando il punto nevralgico che sottende tutto il film.

La natura dell’amore può non essere convenzionale e farsi sempre più incontrollabile ma ci sono elementi impossibili da sostituire. L’esigenza di Samantha di avere un corpo mette al lavoro la sua intelligenza intuitiva di software, prendendone uno in prestito senza alcuna fatica né forzatura, ma fallirà laddove non si sono notate sbavature sulla sua efficienza per tutto il film, sorprendendo sempre in positivo il suo Theodore. L’esclusiva di un rapporto così eccezionale che Theodore crede ed è sicuro di avere fallirà ancora, perché la straordinaria bravura del suo OS non è dedicata solo a lui. I sistemi operativi sono creati per diffondersi sempre più, grazie alla loro efficienza, altrimenti non si fabbricherebbero nuovi software, se nessuno ne facesse uso!

Ecco il punto!

   

Attraverso le macchine Jonze ci vuole parlare di uomini e di donne in carne ed ossa e della loro difficoltà di cercare la propria felicità. Uomini e donne che non sanno fare tesoro del loro passato per maturare ed affrontare il loro futuro con la “lezione digerita”, sapendo vivere bene il loro presente. Uomini e donne terrorizzati dalla paura d’invecchiare, per timore del mutamento. Anche Simone è sempre uguale a se stessa ma il regista che l’ha creata la rigetterà, ad un certo punto, cercando consolazione e accettazione nell’unica vera Galatea nata da lui: sua figlia. Theodore è un personaggio del 2013. È passato un decennio da quando è stato creato Taransky. Un decennio in ambito tecnologico va letto come mezzo secolo, a giudicare dalla vorticosa ed inarrestabile velocità d’evoluzione della scienza tecnologica. Ecco che la psicologia di Theodore è ancora più fragile e frammentata. Egli è molto meno risoluto del regista di Niccol, nel comprendere dove sia il limite invalicabile oltre il quale c’è solo il baratro. Il film di Jonze è geniale ed elegante e farà sicuramente storia, avendo portato ancora più in là il messaggio di Simone. Peccato non abbia portato a casa il Marc’Aurelio d’oro. Ci si augura, però, che resti in pellicola una vicenda amorosa come quella e che essa possa innescare una necessaria riflessione, affinché nella realtà non si arrivi mai ad innamorarsi di un Operative System, anche se ha la splendida voce e l’indiscusso talento di Scarlett Johansson.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)