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Cinema

FC Festival del Cinema di Roma 2013

“Black rain” di medicine

“Il Vendiore di medicine” di Antonio Morabito

di Margherita Lamesta

Vendere medicine, usando dignità, corruzione, tradimento ad ogni livello, inganno e mito di uno status sociale a qualsiasi costo come valuta di pagamento sotto la coltre del dio denaro.

È questo l’hard core del film di Antonio Morabito, dal titolo Il venditore di medicine, fuori concorso all’ottava edizione del Festival del Film di Roma.

Nell’era del profitto ad ogni costo, si tritano i sentimenti al punto di non saper più discernere il limite tra bene e male, perché il confine è annebbiato da droghe necessarie alla sopravvivenza e alla nefanda sopportazione di quel che si vive e si cerca di tenersi stretto, non riuscendo ad intravvedere una scelta migliore.

Bruno-Claudio Santamaria si muove bene nell’interpretazione di una sorta di topo di fogna che il regista riprende sempre furtivo tra cunicoli bui e squallidi sotterranei lugubri. Lui non è nella luce e la luce non può trovarlo. Ultima ruota del carro di una multinazionale farmaceutica, nato veterinario ma riciclato nel ruolo d’informatore scientifico, è disposto a tutto, ma proprio a tutto, pur di conservare il suo posto di lavoro. Costantemente terrorizzato dalla sua capoarea, Giò-Isabella Ferrari, che lo controlla ad ogni passo come un segugio e da una legge del profitto sempre più inarrestabile, tanto da non dargli tregua né tranquillità neppure dopo aver finalmente fatto un gran colpo a vantaggio dei suoi boss - piazzare medicinali nel settore oncologico, corrompendo anche l’apparentemente incorruttibile professore-primario (per gli adepti: lo squalo) di un importante ospedale – è tanto colpevole quanto vittima di un sistema che lo attanaglia e imprigiona.

La logica della pellicola è davvero spietata e freddissima ed il regista si muove con ritmo azzeccato. Mors tua vita mea, perché in alto non si arriva mai con un percorso d’azione specchiato. L’incorruttibile medico condotto, invece, sarà chiamato al pagamento delle spese processuali per aver denunciato il protagonista con tanto di prove alla mano…ma lui non ha fatto carriera, infatti, rispettando un giuramento d’Ippocrate che quasi nessuno ricorda più.

   

Quanto all’interpretazione di Isabella Ferrari, dopo il controverso premio dell’anno passato, con Morabito riprova una rivalutazione delle proprie doti d’interprete e visivamente ci riesce abbastanza a rendere il seme di un personaggio spietato ma vittima ella stessa dei suoi capi e del suo ruolo, terrorizzata anche lei dalla perdita del proprio posto di lavoro. Peccato che al suo studio mimico non abbia corrisposto un altrettanto impegno nell’uso della voce, a volte stridula e scarsamente autorevole, specie durante le scene di consiglio.

La denuncia del sistema del comparaggio apre non pochi interrogativi su una pratica oleata da vacanze da sogno mascherate da convegni d’aggiornamento, squillo pagate, seduzioni che toccano i vizi, le debolezze e le perversioni di ogni uomo, per porre l’attenzione su un problema che non riguarda poche sporadiche mele marce. Il film ha ricevuto ostacoli e denunce di ogni genere, afferma il regista. Eppure le statistiche parlano di ben 2500 farmaci su 3000 con efficacia zero ma utili solo a soddisfare i comodi piaceri di chi li fabbrica, li vende e li prescrive. Il cittadino è estremamente esposto e inconsapevole, poiché sono i medici di base i primi conniventi di questo nefasto sistema e Morabito, forte di una tradizione medica respirata in famiglia, si è sentito in dovere di affrontare una tematica, oggi, così scottante. Non s’investe nella ricerca perché quei soldi servono ad altri scopi di scarsa utilità sociale ma molto fruttuosi per l’agiatezza del singolo. Risulta così assolutamente limpido il perché si faccia ancora poco per lo studio delle cellule staminali e il perché non ci sia un dialogo utile tra omeopatia ed allopatia, col risultato di essere defraudati da entrambe le parti. In un mondo spietato, dove le relazioni non esistono, è la giungla che si sostituisce ad affetti e legami con una sola legge in vigore: sopravvivere sopraffacendo l’altro, perché è l’unico modo per sopravvivere.

La vita umana non costa nulla ed il suicidio di un dipendente appena licenziato - non è stato capace di far fruttare i propri regali alle regine undici volte tanto ma solo tre - è un semplice incidente di percorso. Bruno inganna sua moglie e se stesso, votato alla deriva di una dipendenza senza ritorno e suffragata legalmente da uno di quei medici del suo giro corrotto. È una legge bumerang quella denunciata da questo film, eppure, forse per illudersi di espiare la proprie colpe, una buona azione la svolge anche Bruno, dettata dall’unico rigurgito di coscienza, nato da un legame con un passato meno vistoso ma molto più sincero. La luce alla fine del film arriva ed è forte ma fioca nell’anima del protagonista che non potrà fermare la sua caduta volontari.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)