Arte
Il senso demiurgico
del colore
di Luigi Capano
Il giallo-matisse fluisce sulla tela, si espande e si addensa facendosi gradatamente più opaco. Al centro del colore dove il brillìo insiste ed è più vivo si disegna l’immagine incompiuta – o, piuttosto, in fieri - di un bue cavalcato da un musico intento a zufolare.
Ancora un’altra tela: riappare di nuovo il giallo vivo e nel cuore luminoso del colore si profila ancora una volta un’immagine: il mezzo busto di un suonatore di flauto.
Ma non sarà forse il suono stridulo e molle del rustico fiato a suscitare quell’aurea cromìa?... Oppure, l’anima del colore nasconde, vivente, una forza che pulsa?
Nel rosso acceso accade qualcos’altro: una decisa dinamicità è infusa alle immagini che talvolta si affollano numerose, un poco distorte, piegate alla volontà del gesto pittorico.
E persino nella rossa quiete è presente un elemento volatile, un refolo, un guizzo, un brivido che anima la scena.
La forma finalmente riposa nell’indaco, vi si adagia e rimane immobile anche solo per un istante, come fissata, come avvolta in un presagio di stelle.
A cinque anni dalla morte, vogliamo ricordare così l’universo di colori e di forme ideato da Manjit Bawa (1941 – 2008), artista indiano del Punjab, studioso della mitologia indù e della mistica sufi. Amava ispirarsi ai classici della sua antichissima cultura - le Upanishad, i Purana, il Mahabharata, il Ramayana – dai quali traeva gli archetipi dei suoi soggetti e il senso di quella straniante sospensione metafisica che caccia l’arte dai tormentosi impicci del vivere quotidiano per indirizzarla verso il grande mistero alluso dall’iconostasi.
Manjit Bawa è considerato uno degli artisti più importanti dell’India contemporanea ma in Italia è pressoché sconosciuto se si eccettua qualche raro indologo con il gusto dall’arte moderna.
Nel segno pittorico di Bawa troviamo inciso il ricordo di Andy Warhol e di Francis Bacon mescolato alla millenaria esperienza dell’arte popolare della sua terra.
E il colore poi, lungi dall’essere un mero rivestimento gli oggetti, oppure un monocromo fondale posto a dar lustro e valore alla scena in primo piano: è materia vivente cui le forze sottostanti imprimono quella peculiare qualità di vibrazione che afferra l’occhio curioso del riguardante.