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racconto

Il Premio Nobel

(terza ed ultima parte)

di Ruggero Scarponi

Al risveglio al mattino seguente mi attendeva una novità. Lukhash Shakaswili era chiuso nel suo studio e nella sala da pranzo apparecchiata per la colazione non c’era nessuno.
Mi misi a guardare un po’ in giro. L’ambiente era confortevole completamente rivestito in legno. C’erano libri ovunque, sui tavoli, sugli scaffali, persino in terra vicino ai divani ricoperti con pelli di agnello.
Alle pareti notai una bella collezione di quadri astratti, ma ce n’erano anche del periodo futurista. In particolare fui colpito da una poesia di un famoso poeta sovietico, in originale, con tanto di firma, incorniciata come un quadro.
Un grande samovar luccicante faceva bella mostra su un tavolo basso vicino al caminetto. Nella stanza si erano diffusi odori di cucina.
Odori forti di cibi rustici. Dalla finestra potevo ammirare l’immenso anfiteatro delle montagne che con l’Elburz a nord e il Damavand a sud chiudeva l’orizzonte . Erano verdi di foreste e azzurrine, nell’aria rarefatta e frizzante del mattino.

Mi sentivo bene. L’ambiente mi sembrava ideale per immergersi nelle ricerche che più m’interessavano. E lassù tra quelle montagne la luce era così tersa e la natura così incontaminata che non vedevo l’ora di mettermi al lavoro. La notte aveva cancellato l’iniziale impressione di sconcerto che mi aveva suscitato il mio illustre ospite.

Facevo mentalmente il calcolo di quante cose gli avrei chiesto e dei dibattiti sui quali avrei cercato d’impegnarlo e poi, lo confesso, ero ansioso di rivedere Nadja. Invece mi raggiunse il domestico che si era incaricato di sistemare i bagagli la sera prima. A cenni, sorridendo e mostrando i grandi denti bianchi, m’ invitò a sedermi.
Mi servì una fumante tazza di caffè. Sulla tavola avevo a disposizione delle focacce di farina di grano, latte, così denso e grasso come non ne avevo mai bevuto e poi burro, di un bel colore giallo e dal sapore forte quasi rancido, per il mio gusto e per finire una marmellata di fragole, fatta in casa, dolce e acidula al contempo. Ma quasi subito il domestico ritornò spingendo un carrello sul quale aveva appoggiato una quantità di teglie e legumiere.
C’era di tutto. Dal formaggio di capra dall’odore penetrante ai salumi affumicati. Carne di capretto stufata, con contorno di melanzane soffritte e verza croccante. Cipolle arrosto e vino del Caucaso. Mentre cercavo di far capire all’uomo che quei cibi non rientravano nelle mie abitudini per la prima colazione, fece il suo ingresso Lukhas.

- Mangia, mangia! Tu bisogno di mangiare…non dare retta…mangia bene!
- Il profumo è invitante per la verità – risposi – ma non sono abituato…
Lukhash si era messo seduto sulla spalliera di un divano, appoggiava una gamba a terra mentre faceva dondolare l’altra e si era acceso una sigaretta. Era vestito come la sera precedente e non mostrava di aver risentito di tutto l’alcol che aveva ingerito durante la cena.
- la signorina Nadja…- provai a dire.
Il poeta si girò di scatto verso di me. Aspirò una lunga boccata di fumo dalla sigaretta e poi si ravviò la folta capigliatura con la mano.
Restava silenzioso, pensavo non avesse compreso. Mi versai un’altra tazza di caffè.
- Mangia tu, adesso, ragazzo. – Disse a un tratto – Quella…puah! L’ho mandata via. Con suo padrone.
Si accese un’altra sigaretta e si versò un bicchierino di liquore da una bottiglia. Lo buttò giù d’un fiato. Poi proseguì con altri due.
Pensavo che dovesse essere immune all’alcol, per l’uso smodato che ne faceva.
- Quella è…, come dite voi, ttaliani, una str***! Per questo io mandata fainc*** come dice ttaliano, no? Capisce?

Non sapevo che pensare. Avevo terminato all’alba di leggere i suoi meravigliosi versi e adesso di nuovo si mostrava volgare e grossolano. Parlare così della ragazza con cui aveva passato la notte…
- Vole spuosarmi! – urlò a un tratto. – Mi vole ingabiare, la str***! Fainc*** io dice, no? Ttaliano tu che dice?

Il caffè che stavo bevendo mi andò di traverso e cominciai a tossire.
Lukhash fece un gesto d’indifferenza.
- Tu beve, beve, cafè. Tu no pronto per dona. Tu, piccolo ttaliano nnammurato…di Nadja…
si, si io capisce, tu nnammurato, io capisce. Nadja è bella, molto…però…puah! Io dice. Non buona per te, ttaliano! Dai retta, cerca altra di dona, dai retta.

Poi all’improvviso mentre mi fissava con l’ aria di compatirmi, scoppiò a ridere alla mia faccia, scuotendo vigorosamente la testa, come fossi il più ingenuo degli uomini,.
- Tu nnammurato di Nadjuska? Eh? Pazo, alora!

La cosa m’indispettiva non poco ma tentare di schermirsi riguardo alle allusioni sul mio interesse per la ragazza sarebbe parso patetico e quindi scelsi di tacere.
Si accese un’altra sigaretta e tracannò altri bicchierini di liquore.
Poi chiamò a gran voce il domestico.
Gli disse qualcosa e quello ritornò poco dopo con un’altra bottiglia.
Lukash la prese l’aprì e riempì due bicchierini.
Dal divano dove si trovava, mi fece cenno di avvicinarmi. Me ne porse uno.
- No…- cercai di oppormi – no, io…veramente
Ma Lukhash teneva il braccio teso verso di me con il bicchierino, non potei esimermi.
Era una vodka alle pere selvatiche, distillata in casa, al cui confronto la nitroglicerina sembrava latte in polvere per neonati. Bevvi con estrema cautela e per pura cortesia.
- Te ppiace, no? – Disse Lukhash
Ero senza fiato, avevo il fuoco in gola e nello stomaco.
Se resto ancora qualche giorno con questo pazzo non ne verrò fuori.- pensai - Non ho la tempra di questi montanari. Mentalmente feci a ritroso il percorso che m’aveva portato fino a Lukhash. Tutte le mie aspettative ne erano state deluse. Avevo immaginato di trovare prima di partire un uomo immerso nei libri, un po’ fuori dal mondo, con la testa tra le nuvole perso dietro alla definizione di un verso o di una parola e scoprivo invece un ruvido montanaro dedito al fumo all’alcol e alle ragazze giovani. Anche un po’ maleducato, invero, con la sua ospitalità scorbutica.

Che parte avesse la poesia nella sua vita non mi era chiaro. E’ vero, avevo letto i suoi libri, ma proprio per questo, non riuscivo a comprendere donde venissero. Donde venisse la fine sensibilità di un poeta che era stato insignito del premio Nobel.
Lukhash continuava ad accendere sigarette e a bere.
- Tu letto qualche cosa di mie poesie, eh?
Disse a un tratto sorprendendomi.
Con la testa feci cenno di si, non ero ancora in grado di parlare.
- Bone, no? Che te pare?
- Molto belle, veramente.- risposi impacciato.
- Belle…tu dice – commentò lui.
Poi rivolgendosi verso me con sguardo serio, quasi grave, disse.
- Ora tu grande poeta unguscezo, no? Che dice ttaliano? Tu poeta unguscezo, tu preso grande premio!
Compresi subito che mi stava sfottendo. Non capivo il perché. Perché si comportava così? Che cosa gli avevo fatto? Se non era contento di ospitarmi, perché si era offerto? Mi sentivo sempre più a disagio. Poi l’acquavite operò un miracolo. Improvvisamente fu come se i miei sensi si accendessero. Vedevo tutto più chiaro. Fissai Lukhash e in lui riconobbi l’uomo che non aveva mai applaudito durante la lectio magistralis.

Lukhash si alzò e uscì dalla stanza. Ritornò con un fascicolo in mano.
Lo aprì e cominciò a leggere.
Riconobbi immediatamente le poesie del Belli che avevo tradotto in unguscezo.
Lukhash recitava i versi esattamente come avevo immaginato. Risaltava il ritmo del sonetto e il tono irridente del poeta dialettale.
Andò avanti per un po’. Poi si fermò si avvicinò e arrivato a un palmo dal mio naso mi fissò severo, duro. Ero sinceramente intimorito. Quell’uomo mi sorprendeva continuamente e un po’ mi spaventava. Incombeva su di me come un Ercole. Temetti che volesse aggredirmi e non avevo dubbi su chi avrebbe avuto la peggio.
- Queste sono tue poesie, vero, ttaliano? Vero si, io dico, io so, io consulente di giuria di premio, io dato premio, io dato te premio di queste schifezze che tu scrive, eh! Ttaliano?
Vergogna di scrive queste poesie in nostra lingua! Puah,!

L’uomo ora si era sollevato e mi sovrastava minaccioso.
Non so se fossi più spaventato per il giudizio critico o per la minaccia fisica.
So solo che cercavo disperatamente di balbettare qualche cosa in mia difesa ma non riuscivo a spiegarmi e cominciavo a confondere l’italiano e l’unguscezo.
Ma Lukhas dopo avermi tenuto un po’ in quella penosa condizione, di colpo si girò e uscì dalla stanza. Respiravo a fatica. Ora mi ero deciso, a tutti i costi volevo rientrare in Italia il prima possibile. Volevo allontanarmi da quel pazzo scatenato. Al diavolo la poesia, l’aria frizzante e la natura incontaminata.
Quando rientrò Lukhash era cambiato. Appariva rilassato e sorridente.
Aprì un altro fascicolo e cominciò a leggere. Facevo fatica a capire, mi sembrava che fossero le mie poesie…ma no….erano diverse…Mi sembravano più fluide, più musicali. A poco a poco cominciai a comprendere. Le poesie, i sonetti, erano quelli del Belli, ma non le mie traduzioni. Lukhash doveva averle ritradotte. Mi guardava sorridente. E cosa sorprendente ora parlava in perfetto italiano.
- Io ho fatto questo per te ragazzo!
- Hai avuto una buona idea! Sei stato bravo, veramente, a utilizzare il sonetto. L’ho apprezzato. Conoscevo il vostro Belli, naturalmente e la tua traduzione meritava un riconoscimento. Tuttavia i versi in unguscezo, lasciavano un po’ a desiderare! Ma quanto avevi fatto era già molto, molto più di quanto fanno certi nostri tromboni che si danno arie da poeti. La poesia in unguscezo è un’ altra cosa è bene che tu lo sappia e a me ha fatto piacere vedere come ti sei destreggiato su un terreno non facile. Si arrestò un istante fissandomi e poi terminò, scherzoso:
- e tu vince premio, no? Tu contento!
- Ma perché ?- Risposi meravigliato - Perché ha fatto tutto questo per me? Non le sembra un’ingiustizia, nei confronti di chi meritava la vittoria? Non le sembra di aver falsato il risultato? In fin dei conti ha tolto persino a me, che ho vinto, una legittima soddisfazione.
- Tu vuoi sapere perché?
- Si – risposi risoluto.- E sono disposto a restituire il premio, il denaro, gli attestati e tutto, se non me ne darà una ragione valida.
Lukhash, restò un istante a guardarmi pensieroso poi cominciò.
- Non credi di essere un po’ presuntuoso alla tua età? Di cosa hai paura? Che la gloria della “tua Vittoria” ne esca compromessa? Credi forse di essere in diritto di cingerti il capo con la corona di alloro? Devi prendere tutto questo con più distacco se vorrai continuare a scrivere versi. Se non riesci a scorgere l’ironia che c’è nel mondo non riuscirai mai a comprenderlo. Tutto ti sembrerà oscuro e impregnato di morte.
Vedi ragazzo, anche con Nadja avresti dovuto agire in modo diverso, più ironico. Non così maledettamente serio e risentito. Avresti dovuto cogliere il lato giocoso, istintivo, forse animalesco, dell’amore. Se tu l’avessi capito, invece di finire nel mio letto, ieri sera, probabilmente la bella Nadja sarebbe finita nel tuo. Ma tu eri troppo preoccupato, in una parola, avevi troppa paura, tra te e Nadja avevi messo la morte, ragazzo mio. Capirai che non era il soggetto più adatto ai tuoi scopi. E così è anche per tutte le altre cose. E la poesia non sfugge a questa legge. Anzi, di più, la poesia quando è grande, sa prendersi gioco persino della morte.
Hai cominciato bene, però, devo ammetterlo e per questo hai vinto il premio. Hai tradotto Belli in unguscezo. E’ stato un colpo di genio, inutile nasconderlo. Hai intuito la potenzialità della nostra lingua in grado di rendere le espressioni colorite del linguaggio “romanesco”. In più sei persino riuscito, anche se con difficoltà e con qualche forzatura, a mantenere la forma del sonetto. Nessuno in questo concorso aveva osato tanto.
Può darsi che qualcuno abbia scritto versi più fluidi, forse più belli. Ma questo conta poco, credimi. Tu, hai saputo inventare e a te spettava il merito. Io ho intuito l’ironia che tu stesso, forse senza saperlo, avevi messo in quello che hai fatto e mi ci sono attaccato come a un carro di carnevale quando passa attraverso le vie di una città. E in fine ti dirò perché ho fatto in modo che tu vincessi:
-Per ridere, ragazzo. Ridere di premio e di università, ridere di Nadja e di amore, ridere di Belli e di lingua ungusceza, così, di tutto, di tutto! Non c’è mistero, solo di ridere, ridere. Dai retta!

Lukhash, si arrestò e stette un istante a guardarmi, interrogativo. Poi buttò giù un altro bicchierino di acquavite prima di avvicinarsi. Aveva gli occhi lucidi e lo sguardo commosso. Si mosse verso di me e mi abbracciò con un calore che non mi aspettavo.
Tutto sommato - pensai - è proprio un gran figlio di puttana, ma anche maledettamente simpatico.


Racconto d'altri tempi  

Biagio

di Agnolo Camerte

Dopo la guerra non c’era altro che miseria in giro; c’era anche tanta voglia di fare, di godere delle piccole cose che giornalmente capitavano. Carpe diem….tira a campà, domani sarà un giorno migliore…panta rei..tutto passa…..
Già la guerra era passata e solo questo fatto suscitava speranza, voglia di fare e buonumore, anche se la miseria ancora la faceva da padrona.

Tuttavia se incontravi Biagio, giù a borgo, alla Facoltà di veterinaria, solo a vederlo e a parlargli, ti contagiava con il suo alone di allegria che sembrava non abbandonarlo mai. Certe persone fortunate infatti, nascono con questa caratteristica: può anche cascare il mondo, che loro continuano ad essere allegri e fiduciosi. Biagio apparentemente non aveva nulla di cui rallegrarsi : non aveva una famiglia, non so se avesse figli, non era ricco, non aveva che un paio di vestiti, uno sdrucito per il lavoro, ed un altro un pò meglio per la festa. Eppure lo vedevi sempre contento, anzi gioioso, e pronto alla battuta. Faceva di mestiere lo stalliere, lì alla veterinaria.
Sapeva domare i cavalli come pochi e credo che li amasse tantissimo. Talvolta lo si vedeva sfrecciare per la via su di un calessino (da corsa?) tirato da cavalli sempre diversi e sempre belli e curatissimi e da lui domati.

Già! Sembravano loro i suoi figli, tanto li sapeva amorevolmente accudire. Era uno spettacolo vederlo domare un cavallo….Ma anche una bella fatica doveva essere, perché sistemate le bestie nella stalla, se ne andava a riposarsi all’osteria. Lì lo aspettavano i suoi amici e quando entrava, tutti lo salutavano come si fa con un protagonista. Lo era per lo scopone scientifico e per gli scherzi che riusciva a combinare.
Consumava il suo quartino con la gassosa masticando le fave secche salate abbrustolite sulle piastre della cucina economica. A guardarlo nonostante la sua tuta sdrucita e sporca, sembrava un gran signore: alto, magrissimo, con un cappellaccio sulle ventitré , odorava di cavallo, di stalla, di latte…

Era anche il re delle burle: ad un avventore rompiscatole, avvezzo a voler sempre scroccare ed assaggiare quelle poche misere cose che si accompagnavano al quartuccio di vino, gli fece mangiare lo “sgamuscio”, vale a dire la muffa simile al tonno sott’olio, specie di fungacci selvatici che nascono sulle tavole del gioco delle bocce, dal sapore orribile..
Ad un altro assaggiatore scroccone tolse il vizio facendogli mangiare certe palline nere di non so qual genere di pecora , condite all’olio e arancia, che sembravano olive nere……
.
Provvedeva anche, d’accordo con gli studenti della Facoltà di veterinaria, a dirigere la costruzione dei carri allegorici ed ad idearne i soggetti. Ed erano sempre bellissimi ed apprezzati.
Insomma a vederlo sembrava un uomo senza problemi.
Ma chi non ne ha? Anche a lui arrivò il problema dei problemi.

Arrivò dall’America un magnifico mustang nero come il carbone e selvaggio che di più non si può immaginare.
Era pericoloso perché scalciava e mordeva chiunque lo avvicinasse; era stato preso per la monta e per la riproduzione; era bellissimo, tipo il famoso Furia della canzone..Ma sembrava indomabile. Scalciava e mordeva anche le fattrici che Biagio gli accostava. Non sembrava ci fosse modo di calmare quella bestia ma lui ci provò per mesi e mesi, con pazienza infinita.
Ma Biagio era eccezionale ed alla fine lo vedemmo che, frusta in una mano e corda lunga nell’altra era riuscito a far correre quel mustang nero nel circolo del cortile dove abitualmente sgambavano gli altri cavalli. Biagio, come hai fatto! bravo! Ci sei riuscito! Ma sei un mago, complimenti gli disse il Professore, raccontami come ci sei riuscito!
Sa Professò disse Biagio, gli ho messo vicino tutte le fattrici che mi hanno portato. Ma lui non le ha volute! Poi ho fatto dormire la mia cagnetta Vispa nella stalla con lui, e questa non la mozzicava, alla fine la faceva avvicinare. Infine è arrivata una bella cavalla giovane da montare . All’inizio l’ha stressata e mordicchiata, ma poi si è calmato. Gli è piaciuta.
Professò conosce il detto che tira più un pelo di bella femmina che cento paia di buoi?......
Biagio Biagio, disse il Professore, stai attento che questo ti scalcia…..Ma non fu così, quel mustang selvaggio si fece in seguito accudire soltanto dal suo grande amico Biagio. Ma come avrà fatto?
Probabilmente quella bestia avrà sentito l’amore che Biagio aveva anche per lui; si sa che le bestie ed in particolare i cavalli, sono a volte molto meno bestie di noi poveri umani, spesso sordi al richiamo dell’amore e della comprensione


Sa Professò disse Biagio, gli ho messo vicino tutte le fattrici che mi hanno portato. Ma lui non le ha volute! Poi ho fatto dormire la mia cagnetta Vispa nella stalla con lui, e questa non la mozzicava, alla fine la faceva avvicinare. Infine è arrivata una bella cavalla giovane da montare . All’inizio l’ha stressata e mordicchiata, ma poi si è calmato. Gli è piaciuta.
Professò conosce il detto che tira più un pelo di bella femmina che cento paia di buoi?......
Biagio Biagio, disse il Professore, stai attento che questo ti scalcia…..Ma non fu così, quel mustang selvaggio si face in seguito accudire soltanto dal suo grande amico Biagio. Ma come avrà fatto?
Probabilmente quella bestia avrà sentito l’amore che Biagio aveva anche per lui; si sa che le bestie ed in particolare i cavalli, sono a volte molto meno bestie di noi poveri umani, spesso sordi al richiamo dell’amore e della comprensione


Biagio, come hai fatto! bravo! Ci sei riuscito! Ma sei un mago, complimenti gli disse il Professore, raccontami come ci sei riuscito!
Sa Professò disse Biagio, gli ho messo vicino tutte le fattrici che mi hanno portato. Ma lui non le ha volute! Poi ho fatto dormire la mia cagnetta Vispa nella stalla con lui, e questa non la mozzicava, alla fine la faceva avvicinare. Infine è arrivata una bella cavalla giovane da montare . All’inizio l’ha stressata e mordicchiata, ma poi si è calmato. Gli è piaciuta.
Professò conosce il detto che tira più un pelo di bella femmina che cento paia di buoi?......
Biagio Biagio, disse il Professore, stai attento che questo ti scalcia…..Ma non fu così, quel mustang selvaggio si face in seguito accudire soltanto dal suo grande amico Biagio. Ma come avrà fatto?
Probabilmente quella bestia avrà sentito l’amore che Biagio aveva anche per lui; si sa che le bestie ed in particolare i cavalli, sono a volte molto meno bestie di noi poveri umani, spesso sordi al richiamo dell’amore e della comprensione
cavalli. Biagio, come hai fatto! bravo! Ci sei riuscito! Ma sei un mago, complimenti gli disse il Professore, raccontami come ci sei riuscito!
Sa Professò disse Biagio, gli ho messo vicino tutte le fattrici che mi hanno portato. Ma lui non le ha volute! Poi ho fatto dormire la mia cagnetta Vispa nella stalla con lui, e questa non la mozzicava, alla fine la faceva avvicinare. Infine è arrivata una bella cavalla giovane da montare . All’inizio l’ha stressata e mordicchiata, ma poi si è calmato. Gli è piaciuta.
Professò conosce il detto che tira più un pelo di bella femmina che cento paia di buoi?......
Biagio Biagio, disse il Professore, stai attento che questo ti scalcia…..Ma non fu così, quel mustang selvaggio si face in seguito accudire soltanto dal suo grande amico Biagio. Ma come avrà fatto?
Probabilmente quella bestia avrà sentito l’amore che Biagio aveva anche per lui; si sa che le bestie ed in particolare i cavalli, sono a volte molto meno bestie di noi poveri umani, spesso sordi al richiamo dell’amore e della comprensione.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)