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Cinema

Galleria De’ Foscherari, Bologna

Jean Cocteau

Le sang d'un poete. Proiezione


Grande interesse ha suscitato, presso la Galleria De Foscherari di Bologna, la proiezione di un'opera tanto famosa quanto poco vista, 'Le sang d'un poete', realizzata da Jean Cocteau nel 1930.

La sincerità della confessione salva questa trasposizione in immagini della mitologia personale

“Un simile film non è raccontabile. Potrei darne un'interpretazione che mi è propria, potrei dirvi che la solitudine del Poeta è così grande e ch'e gli vive talmente ciò che crea, che la bocca di una delle sue creazioni gli resta impressa nella mano come una ferita e ch'e gli ama questa bocca, ch'e gli s'ama, insomma, che si sveglia al mattino con questa bocca dentro di sé e cerca di sbarazzarsene e se ne sbarazza sopra una statua morta, e che questa statua comincia a vivere e per vendicarsi lo trascina in avventure spaventevoli. Potrei dirvi che la battaglia delle palle di neve è l'infanzia del poeta e che quando egli gioca la partita a carte con la sua Musa, la sua Gloria e il suo Destino, bara prendendo alla sua infanzia ciò che dovrebbe attingere in sé stesso. Potrei poi dirvi che, avendo cercato di farsi una gloria terrestre, egli cade in questa noia mortale dell'eternità cui si pensa davanti a tutte le sepolture illustri” (Jean Cocteau).

Realizzato nello stesso anno, il 1930, e con lo stesso finanziatore, il visconte di Noailles, di L'Age d'or, Le sang d'un poète è considerato l'ultimo frutto dell'avanguardia cinematografica surrealista. La sincerità della confessione salva questa trasposizione in immagini della mitologia personale, dei sogni e delle ossessioni di Jean Cocteau dall'uso artificioso del mezzo cinematografico e dall'enfasi del cattivo gusto.

   

Si è trattato del penultimo film della rassegna dedicata al cinema surrealista, organizzata con la piena collaborazione della Cineteca di Bologna, mentre l'ultimo e conclusivo, “L'Atalante”, di Jean Vigo, sara' in programma al cinema Lumiere martedi' 28 maggio.

Appena sposata con Jean, comandante di una chiatta a motore, Juliette va a vivere a bordo dell'Atalante con un vecchio marinaio, un ragazzo e 3 gatti. Annoiata e irritata dalla gelosia del marito, se ne va a Parigi. Jean riparte con l'Atalante. Tempo dopo si ritrovano. 2° lungometraggio di J. Vigo che, già malato durante le riprese, morì il 5 ottobre 1934 all'età di 29 anni, meno di un mese dopo la 1ª proiezione pubblica del film, tagliato di una ventina di minuti, edulcorato e ribattezzato Le chaland qui passe, dal titolo di una canzone di moda (inserita a forza tra le musiche di M. Jaubert), versione francese di "Parlami d'amore, Mariù" di C.A. Bixio, lanciata da V. De Sica. Dopo essere riapparso in edizioni volenterosamente ricomposte nel 1940 e nel 1950, fu restaurato con scrupolo filologico nel 1990. In contrasto con la maggior parte del cinema francese dell'epoca, è un film di poesia attraversata da bagliori surrealisti (come la sequenza subacquea, resa popolare dalla sigla di "Fuori Orario" su RAI3): il naturalismo zoliano vi si sposa con l'immaginazione lirica dell'invisibile. Fragile, incerto nella sua dolce linea narrativa, qua e là balbettante, è un film arrischiato e trasgressivo di rottura che punta sulla sdrammatizzazione e il rifiuto dello psicologismo, e mette l'accento su momenti privilegiati, particolari curiosi, figure che appaiono e scompaiono senza logica. Per la sua forza erotica ed eversiva è stato accostato a Rimbaud e al primo Céline. (il Morandini)

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)