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Arte

Astrazione e frantumazione del ‘900

Un ponte Italia-Usa

di Margherita Lamesta

Pressol’Istituto Nazionale di Archeologia e Storia dell’Arte, a Roma, si è tenuto un convegno sulla frantumazione dell’arte del 900. Il relatore, lo storico dell’arte, prof Giorgio di Genova, assieme ad una giovane allieva, ci ha illustrato il processo di frantumazione nell’arte, tra fondamenta e conseguenze.

Con la fine del secondo conflitto mondiale, anche l’astrattismo che aveva caratterizzato tutti i movimenti artistici d’inizio secolo - le cosiddette avanguardie - e che si era espresso come generato dalle radici profonde del cubismo, dell’espressionismo e del simbolismo, approda ad un bisogno di tabula rasa e di totale annichilimento concettuale.

Tutto era nato, ad inizio secolo, dall’idea che l’arte fosse onnivora, spiega il professore. Questo è, infatti, un concetto alla base di ogni tipo di sperimentazione e di astrazione - connessa ad un bisogno di rigetto assoluto verso l’arte figurativa ottocentesca: un’astrazione che poteva essere per sottrazione, come in Mondrian o per addizione, come si vede nelle opere di Lewitt, ad esempio. L’astrazione era, dunque, il risultato di un processo attivato da una sperimentazione sempre più profonda.

   

(Piet Mondrian) (Sol LeWitt)

Nella seconda metà degli anni 40, poi, dopo queste lunghe sperimentazioni, si sentì nel mondo artistico, il bisogno di ricominciare daccapo, partendo dal segnismo, dal gestualismo – il braccio che lavora - dal materismo – la tela, la materia oggetto di lavorazione - e dal tachismo.

L’atomica aveva raso al suolo città intere e gli artisti sentirono la necessità di ripartire dal segno, dal significato stesso dell’opera d’arte. Inoltre, il mondo era diviso in due perché tutti schierati a favore dei due blocchi vincitori, USA-URSS, che ne rappresentavano l’egemonia totale.

Anche l’Italia, perciò, farà i conti con artisti animati da un bisogno di libertà a 360 gradi e sempre più forte, di chiara influenza americana, da una parte, ed altri attaccati alla tradizione e ad un bisogno di ruolo sociale, che strizzeranno l’occhio al colosso politico situato più ad oriente, dall’altra.

L’Italia, con la fine della guerra sarà anche libera dal fascismo, perciò lo spirito di libertà portato dagli americani ben s’instaurava nell’animo di chi il totalitarismo lo aveva vissuto sulla propria pelle ed a caro prezzo. Il Partito Comunista era, però, il più forte - poiché nato dalla sconfitta del fascismo e grazie all’eroica opera partigiana - e artisti come Renato Guttuso ben si guardarono dal liberarsi definitivamente del figurativismo, a cui i sovietici tenevano molto.

   

(Carlo Levi: Gli Amanti 1955) (Emilo Vedova: Crocifissione contemporanea 1953)

Eppure, scrittori come Cesare Pavese, negli anni trenta, avevano portato in Italia autori come Hemingway tradotti in modo schietto, lontano dalla ridondanza dannunziana, perché si sentiva già un certo bisogno di libertà e di rompere con la tradizione. Nacque così un nuovo soggettivismo, distante dal sogno onirico dell’eroe ma carico di quella profondità e turbolenza dell’animo umano, testimoniato magistralmente dalle poesie di Eugenio Montale e riflesso in tutta quella sperimentazione artistica che non si sentiva rappresentata da qualcosa di scontatamente figurativo.

   

(Giorgio Morandi: Natura morta metafisica 1919) (Alberto Burri: Combustione 1957)

D’altro canto, però, quel salto in alto americano che poteva spiccare il volo senza guardarsi minimamante indietro era pur geneticamente e storicamente difficile, se non impossibile, per un italiano, che l’arte l’aveva insegnata a tutto il mondo, detenendo un primato indiscusso per secoli. Gli americani stessi guardavano all’Italia e alla Francia, col desiderio di un recupero della tradizione.

Il futurismo di prima generazione, che fu un movimento tutto italiano, era oggetto di studio per gli artisti dell’Art Autre, ad esempio, è solo che noi avevamo bisogno di guardare avanti come chi veniva dalla Grande Mela aveva bisogno di studiare Balla, Birolli, Burri, De Chirico, Morandi, per meglio affrontare il loro new surréalisme o new dadaïsme.

In definitiva, gli artisti italiani pur orientandosi verso pennellate più ritmiche, più dense, più mosse, guarderanno sempre alla figurazione di Van Gogh, ad esempio, e se si orienteranno verso un’astrazione questa sarà spesso influenzata dall’ottica cubistica picassiana. Un valido esempio è dato dall’opera di Carlo Levi, in questo senso.

Già artisti come Emilio Vedova oseranno molto di più nella direzione dell’astrazione, come ad esempio nel suo quadro “Rivoluzione”. Questo sarà dovuto, tuttavia, ad un intento sociale nel tema e quindi nel titolo che, pur andando verso un risultato di astrazione, riuscirà a conquistare la benevolenza del movimento comunista, proprio grazie al tema.

Gli astrattisti italiani c’erano ma non avevano vita facile - e credevano di essere degli iperrealisti, come Balla, ad esempio - l’avranno solo dopo i primi riconoscimenti americani, quando questi dichiareranno apertamente il loro tributo a nomi come Burri, considerato il maestro di Rauschenberg, ad esempio.

   

(Robert Rauschenberg: BMW Art Cars 1986) (Giorgio De Chirico: Ettore e Andromaca 1917)

Quando, nel 1964, Peggy Guggenheim porta alla Biennale di Venezia ben 73 artisti surrealisti americani, verranno esposti nel padiglione greco per non dar loro troppo risalto. Eppure, nonostante il dichiarato ostracismo, in quell’anno ed in quell’occasione, si avrà il primo vero riconoscimento ufficiale della categoria, con il premio al new dadaista americano Robert Rauschenberg. Questi, però, sono ormai gli anni della nascita della Pop Art inglese e della sua costola americana anche di maggior successo, che vede in cima alla lista artisti come Andy Warhol. Con la Pop Art, di cui Rauschenberg su un importante precursore, l’arte esce dalla sfera elitaria per farsi pop, popular, esprimendo il desiderio di entrare nella realtà e di permettere alla realtà di entrare fattivamente nel quadro, nell’opera d’arte. S’interrompe, così, tutto il processo d’astrazione portato avanti sino ad allora ma continua e si estremizza ulteriormente quello di frantumazione e di forza segnica. Nella serialità dei volti di Warhol e con l’esplosione del collage di artisti italiani come Rotella e inglesi come Hamilton, l’arte, la fotografia e il vortice della modernità, con la sua spersonalizzazione, trovano certamente la loro sintesi più naturale. Resta, tuttavia, aperto il grande quesito su quanto conta il talento col pennello in un’opera d’arte, piuttosto che il suo gioco speculativo e concettuale, per quanto interessante.

(Robert Rauschenberg : JFK and art)


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