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Racconto

La solitudine dell’elettore

di Ruggero Scarponi

L’uomo non fece neanche in tempo a bussare che subito gli fu aperto.

Oltrepassò la soglia, facendo scivolare sotto il naso di un gendarme un documento e con passo sicuro si avviò all’interno del Seggio. Era vestito di nero e portava occhiali neri anche se era buio già da un pezzo. Portava un cappello nero, tipo borsalino guarnito da una bella fascia di raso nero. L’ uomo era alto, un metro e novanta, forse, e molto asciutto. Era un tipo atletico, ampio torace e spalle larghe.

Aveva dipinta sul volto, per quanto era dato capire a causa degli occhiali neri che ne nascondevano lo sguardo, un’espressione grave e preoccupata. Lo accompagnava un aiutante, un tipo basso e mingherlino, come lui vestito completamente di nero, con un cappello tipo borsalino ornato da una fascia di raso nero. Unica diversità tra i due, oltre alla notevole differenza di corporatura era data da dei folti baffetti neri che il piccoletto portava sotto al naso. E recava, inoltre, dipinta in volto, per quanto se ne potesse scorgere a causa degli occhiali neri, un’espressione spavalda, con la bocca un po’ storta come se stesse masticando in maniera plateale, un chewing gum.

- Prego, per di qua – disse il gendarme di guardia nel corridoio, subito dopo la porta d’ingresso.
L’uomo alto, vestito di nero, sollevò il braccio sinistro in modo da lasciar scorrere la manica del soprabito e scoprire il polso con l’orologio, un modello piuttosto inconsueto con un quadrante nero.

- Sono le 22,30 – disse in tono asciutto – bisogna far presto – aggiunse seguendo a larghe falcate il gendarme nel corridoio.

- Ecco, sono qui – disse quello mentre bussava a una porta.

- Avanti, avanti – rispose da dentro la stanza, una voce, da cui si percepiva un forte stato di ansia.

La porta si aprì. L’uomo alto, vestito di nero, entrò seguito dal suo aiutante. Si fermò un istante e rivolto alle persone che si trovavano nella stanza disse con tono formale.

- Capitano Onorato, della sicurezza nazionale. – e dopo una brevissima pausa – questi è il mio aiutante, l’agente Speed.

- Io, - disse l’uomo che aveva risposto “avanti” - mi chiamo Agapito Carbone e sono il presidente del seggio, e loro – disse indicando con un cenno del braccio due giovani che da seduti si erano alzati in piedi repentinamente - sono i due scrutatori, lo studente Enea Ward e il signor Massimiliano Miller.

- Chi è stato a trovare…? – chiese il Capitano senza concludere la frase e scrutando i tre da dietro gli occhiali neri.

- Io – disse il Signor Massimiliano Miller. E aggiunse – mi creda quando mi si è presentata la cosa, non potevo crederci ma subito ho compreso la gravità della situazione e ho avvisato il Presidente…

- certo, certo, ha fatto benissimo – lo interruppe l’ufficiale. – Ora però lasci che sia io a fare domande…se non avete nulla in contrario, s’intende.

I tre si scambiarono un rapido sguardo d’intesa.

- Ci mancherebbe altro – rispose per tutti il Presidente – altrimenti non vi avremmo chiamato.

- Molto bene – replicò il Capitano – e credo che abbiate agito con senso di responsabilità. La questione è della massima importanza e deve essere trattata nel modo dovuto. Per questo ci siamo noi – concluse rivolgendo uno sguardo al suo aiutante che continuando a masticare il chewing gum, annuì lentamente facendo trasparire un abbozzo di sorriso carico di sprezzante sicumera.

- ma prego – intervenne il Presidente – accomodatevi pure, qui intorno al tavolo. Parleremo meglio.

Dopo che tutti si furono seduti il Presidente facendo un cenno con la testa al Signor Massimiliano Miller si fece consegnare qualcosa.

- Capitano, la scheda è qui, in questa busta.

L’uomo della sicurezza nazionale, fissò per un lungo istante la busta e il Presidente.

- Posso? – chiese allungando una mano.

- Certo, come no – rispose il Presidente consegnando il reperto con estrema cautela quasi contenesse un fragilissimo cristallo.

L’uomo della sicurezza nazionale l’ aprì lentamente. Vi tuffò dentro uno sguardo, verificò la scheda elettorale e con una smorfia di disappunto richiuse in fretta. Il suo aiutante ci restò male per essere stato escluso dalla verifica ma continuò imperterrito a masticare il chewing gum con un sorriso mezzo abbozzato e la bocca storta mentre annuiva con un espressione di sprezzante sicumera.

- E’ un bel problema – disse il Capitano. – Avete qualche indizio?

- Indizio Capitano? – replicò il Presidente – Ce l’abbiamo in carne e ossa!

- Che significa?

- Che l’abbiamo rintracciato subito, neanche mezz’ora dopo lo spoglio.

- Aveva lasciato una traccia?

- Macchè. Era semplicemente rimasto qui fuori e stava raccontando a tutti la sua bravata. Non sembrava si rendesse conto…

- Voglio vederlo – intimò il capitano Onorato e aggiunse – voglio vederlo e capire se il suo è stato un gesto isolato o nasconde…dell’altro.

- Allora abbiamo fatto bene a trattenerlo, vero? – Chiese il Presidente con un sorriso di compiacimento –

Il Capitano Onorato restò muto a fissare i tre uomini che gli stavano di fronte, ma si limitò a un impercettibile segno di assenso. Poi si alzò e chiese: Dov’è, lui?

- E’ di la – disse il Presidente - è nell’altra stanza, sta chiacchierando con un gendarme. Ancora non gli è stato notificato il motivo...

- Mi raccomando – ammonì il Capitano. – ufficialmente, il soggetto è qui solo per accertamenti, ma ora è bene che ci parli io, da solo.

Di nuovo il suo aiutante sembrò restarci male ma si mise calmo in attesa di istruzioni.

- Tu – disse, il Capitano – prendi le generalità di questi signori, interrogali separatamente e annota per bene come sono andati i fatti. Intesi?.

L’aiutante portò l’indice e il medio della mano destra alla visiera del suo borsalino in segno di assenso e di mala voglia trasse da una tasca del soprabito una sorta di mini-computer sul quale cominciò a scrivere una quantità di dati.

L’uomo della sicurezza nazionale, il Capitano Onorato, fece qualche passo, bussò alla porta della stanza adiacente e avuta risposta vi entrò, chiudendosi la porta alle spalle.

- Buona sera – disse il Capitano

-Buona sera – risposero all’unisono il gendarme e il giovane che era stato trattenuto per accertamenti.

Il Capitano Onorato con un cenno del capo invitò il gendarme ad uscire e appena quello se ne fu andato si rivolse al ragazzo.

- Sono il Capitano Onorato, della sicurezza nazionale.

L’altro per tutta risposta lo ricambiò con uno sguardo stupito senza riuscire ad aprire bocca.

- Suvvia Signor, Signor…?

- Valdivia , Roberto Valdivia – balbettò il giovane.

-. Dunque Signor Valdivia, per la verità sono sorpreso di vederla sorpreso. Vorrebbe farmi credere, che dopo quanto ha fatto, non si aspettava un intervento della Sicurezza Nazionale? Via! Non è un ragazzino, sarà ben cosciente delle conseguenze che possono derivare da certe azioni. E dunque mettiamo le carte in tavola, parliamoci francamente, da uomini, e vediamo di risolvere questo maledetto impiccio.

- ma che storia è questa? – protestò Valdivia – La Sicurezza Nazionale? Ma mi faccia il piacere! Piuttosto cosa accidenti volete da me? E poi se sono accusato di qualcosa voglio parlare con il mio avvocato.

- Piano, piano – lo fermò Onorato.

Il Capitano giunse le mani si portò di fronte a Valdivia che se ne stava seduto e sbottò a ridere.

- caro Valdivia, - disse appena ritornato serio – non è il momento di giocare questo. Non c’è tempo più che altro. Ma io la capisco, lei è giovane e magari aveva deciso di far colpo su qualche ragazza. Se così stanno le cose possiamo risolverla tra noi e in cinque minuti mettiamo tutto a tacere e lei se ne torna a casa tranquillo. Mi sono spiegato?

- Secondo me – rispose Valdivia aggrottando le sopracciglia – lei è matto. Matto davvero.

Detto questo Valdivia si alzò e fece per andare alla porta ma Onorato più rapido gli sbarrò il passo e lo bloccò.

- Mi lasci andare – sibilò infuriato Valdivia cercando di liberarsi dalla ferrea presa di Onorato che lo serrava ai polsi.- sono forse in arresto?

- Per quanto cominci a nutrire il dubbio che lei stia giocando un gioco pericoloso – recitò Onorato – tuttavia farò finta che davvero lei ignori che razza di meccanismo ha messo in moto. Ora se lei mi da la parola d’onore che si comporterà civilmente restando a sentire quanto ho da dirle le lascio liberi i polsi. Così, bravo – disse Onorato constatando che Valdivia lo stava assecondando – ora si metta di nuovo seduto e vediamo d’intenderci.

- ma insomma – disse il ragazzo – sono o non sono in arresto.

- ma certo che no – sbottò Onorato – ma mi dia il tempo di spiegarle almeno che guaio ci ha combinato!

Valdivia si accasciò sulla sedia, in parte rassicurato e in parte perché incapace di opporsi all’ufficiale.

- parli, l’ascolto – disse esausto, alla fine.

- meno male, vedo che si ragiona – esclamò l’uomo della sicurezza.

- Dunque - riprese - secondo quanto ci è stato riferito lei avrebbe, e lo dico senza tanti preamboli, lei avrebbe votato la lista gialla. La lista gialla non è vero?- ripeté Onorato con circospezione.

Valdivia sgranò gli occhi incredulo.

   

- Non faccia così Valdivia, non c’è stato nessuno spionaggio ai suoi danni e il suo voto, glielo garantisco è rimasto segreto.

- ma allora? – replicò il giovane.

- ma insomma Valdivia, lei stesso è andato a vantarsene fuori dal seggio. Non abbiamo dovuto scomodare l’Intelligence. E’ lei stesso che ha rivelato la sua preferenza.

- d’accordo – replicò il ragazzo – è vero, sono rimasto a chiacchierare fuori del seggio per una ventina di minuti. E’ vero anche che volevo far colpo sulle ragazze con cui stavo parlando, ma non ho rivelato la mia preferenza. Questo posso giurarlo.

- Ma certo Valdivia, ma certo, non ce n’era bisogno d’altronde. La credo benissimo, davvero. Però se l’unico voto espresso era il suo, capisce bene che…no?

Valdivia abbassò la testa sgomento.

- cavolo – mormorò – che bestia sono stato!

- Ora, dico io – riprese Onorato – vediamo di chiarire tutta la questione. Se lei Valdivia è d’accordo, naturalmente. Vede io la tratto con gentilezza e le dico perfino che può andarsene quando vuole, io non la trattengo, pure la prego, per il senso di patriottismo che son sicuro non le manca e l’amore che immagino lei nutre per questo nostro paese, faccia un piccolo sforzo e mi stia ad ascoltare. Vuole?

Valdivia completamente smarrito rispose di si con il capo, quasi meccanicamente e poi rassegnato disse:

- L’ascolto Capitano e mi faccia capire, per favore.

- bene – disse l’ufficiale – deve scusarmi, se prima sono stato un po’ rude, ma era per il suo bene e...di tutti noi anche. Ecco a dirla tutta, le cose non sono proprio semplici e ci vuole da parte sua un poco di attenzione e un piccolo sforzo di, di…diciamo di comprensione. Vede caro Valdivia lei stasera, poco prima della chiusura dei seggi si è presentato per esprimere il suo voto, giusto?

Valdivia assentì.

- Lei ha fatto esattamente quello che durante tutta la giornata hanno fatto cento milioni di buoni cittadini, come me, il mio aiutante, il gendarme con il quale stava parlando poco fa e via dicendo.
- Non capisco cosa c’entra questo con… – mormorò appena Valdivia.

- Non capisce – commentò asciutto Onorato.- Vedremo di farle capire. Il voto è un diritto e su questo non ci piove. E lei ha esercitato un sacrosanto diritto sancito dalla nostra costituzione.

- ma insomma - sbottò Valdivia – lei continua a menare il can per l’aia. Potrebbe arrivare al punto e dirmi finalmente di cosa sono accusato?

- Accusato? Di nulla naturalmente, altrimenti qui invece di esserci un ufficiale della sicurezza nazionale ci sarebbe uno della polizia criminale.

- Allora io sono diventato… matto?

- Ehhh! – sospirò il Capitano - E’ che lei si agita troppo e non mi da modo di chiarirle la situazione. Sia paziente vedrà che arriverà il momento in cui tutto le apparirà semplice e forse alla fine mi ringrazierà persino.

Dunque torniamo alla costituzione. La costituzione caro Valdivia che lei avrà studiato a scuola…a scuola, dico bene?

- ma si, ma si - Confermò Valdivia

   

- La costituzione, dicevo, prevede la rappresentanza dei cittadini mediante i partiti politici.

E caro Valdivia, lei di certo non può non sapere che da oltre cinquant’anni gli Italiani votano compatti scheda bianca. Nessuna preferenza, nessuna opzione, nessun partito. Ora, se dovessimo rileggere gli articoli stampati nei giornali dell’epoca quando per la prima volta si verificò questa fortunata combinazione, troveremmo la descrizione di scenari apocalittici. I cittadini in fuga dalla politica, i politici disorientati, le lobby sconcertate, sembrava dovesse scoppiasse il finimondo. Che ne sarebbe stato delle istituzioni? Ci si chiedeva. Come avrebbero reagito i mercati? L’intero mondo dei media si scatenò contro la irresponsabile ottusità dei cittadini. Tutta quella gente non riusciva proprio a capacitarsi che la torta così ben preparata e così a portata di mano, pronta per essere spartita, gli sfuggisse all’improvviso, per un meccanismo tanto semplice e soprattutto indotto proprio da loro. Perché caro Valdivia il comico di tutta la vicenda è proprio questo. Che a un certo punto tutti si misero a giocare all’antipolitica. Tutti a sparare sulla democrazia, sulle istituzioni sulle elezioni e su tutto ciò che fosse espressione e rappresentanza della volontà popolare. A forza d’inneggiare contro la democrazia elettorale e di spingere all’astensionismo, d’un tratto, furono presi sul serio ed esattamente cinquantaquattro anni fa avvenne il miracolo. Tutti si convinsero e votarono compatti scheda bianca, a parte proprio quei signori là che predicavano l’astensione e nel segreto dell’urna continuavano a votare i soliti intrallazzatori. Quei signori spinsero il gioco a tale punto che restarono di sasso quando furono proclamati i risultati elettorali. Non avevano messo in conto che tutti avrebbero seguito il loro consiglio. Si fecero beffe dei sondaggi e delle statistiche fidando piuttosto sulle consolidate abitudini del corpo elettorale. Insomma predicarono astensionismo fidando sull’inerzia degli elettori. E restarono con un pugno di mosche in mano. Nessun voto fu espresso, per nessuno o almeno solo per quei pochi che non riuscirono a superare il quorum che era appunto un meccanismo studiato per favorire i partiti più forti, i padroni della cosa pubblica. E quindi nessun deputato, nessun governo, niente di niente. Tutta l’amministrazione dello stato divenne improvvisamente provvisoria competente per la sola gestione ordinaria. Sembrò di sprofondare nel baratro! Ed è veramente stupefacente e istruttivo rileggere i titoli dei giornali di allora. Quanto catastrofismo e quanto livore! E pensare che si era all’inizio di una nuova era, un’era felice, senza intrighi, e senza intrallazzi politici ed economici.

La società civile reagì esattamente come un organismo che d’improvviso venga a trovarsi in crisi d’astinenza da una qualche droga. Dapprima soffrì convulsioni e febbri tali da far temere il collasso, ma poi, prodotti i necessari anticorpi, cominciò giorno dopo giorno a riprendersi e a funzionare in modo naturale. Rispettare la costituzione divenne normale esercizio quotidiano senza l’intermediazione faziosa dei leader politici. I poteri dello stato e le parti sociali, rimossi i velenosi interessi dei pochi, presero a collaborare per il superiore interesse della nazione. E oggi a buon diritto possiamo vantarci di essere diventati i “primi della classe”, non solo in Europa, ma nel mondo. La Corte Costituzionale ripristinò recentemente la vecchia legge elettorale avendo rilevato l’incostituzionalità del quorum e tutti i cittadini possono esprimersi liberamente votando senza esitazione scheda bianca, liberamente, in piena coscienza. Le liste infine, deve sapere, compresa quella gialla, non sono che la certificazione di un processo democratico, anche se puramente virtuali, dal momento che nemmeno i candidati iscritti si auto-votano, tanto sono convinti, da fatti concreti d’altronde, che il miglior modo di governare è: non governare. Questo è quanto le dovevo caro Valdivia e ora sta solo a lei di decidere, se davvero con il suo voto, vuole oggi distruggere tutto questo. Se davvero intende restituire a questo paese la iattura di una classe politica e di un governo. Abbiamo pochi minuti, purtroppo, è già passata mezz’ora dallo spoglio dei voti di questa sezione. Tra poco i giornalisti cominceranno a far domande, e qualche risposta bisognerà pur darla. Per il bene di questa nazione caro Valdivia, le chiedo: non vorrebbe ripensarci? Il Presidente del seggio è disposto a venirle incontro.

- Ma come? – rispose perplesso il giovane - Il voto è stato espresso non posso cancellarlo.

- E noi non lo vogliamo, ma se lei Valdivia fosse d’accordo le potremmo dare ancora una possibilità. E stavolta scelga in tutta coscienza valutando però attentamente i pro e i contro. Non vogliamo farle annullare la scheda. Vogliamo semplicemente che ci pensi. Il Presidente e gli scrutatori sono d’accordo a consentirle di ripetere il voto, in via del tutto eccezionale, come se quello espresso precedentemente non fosse mai stato inserito nell’urna. Ma questa, sia chiaro è una sua scelta. Se decide di mantenere il voto già espresso, così sia. Se pensa di ripeterlo, decida lei se confermarlo oppure no, in piena coscienza Valdivia, in piena coscienza.

- Ma perché insistete che io ritorni nella cabina elettorale. Sarebbe logico solo se decidessi di cambiare idea. Ma se confermassi la stessa?

- E’ solo per cautela Valdivia, mi creda. Vede, entrare nuovamente nella cabina elettorale dopo quanto ci siamo detti sarà di maggiore garanzia per tutti. Per lei innanzitutto e anche per noi che dobbiamo occuparci della sicurezza di questo paese. Sarebbe come ritornare indietro nel tempo e ripetere un’azione ma con una diversa consapevolezza, tutto qui.

Mi sembra una proposta onesta e in fede mia credo che potrebbe accettarla, senza pericolo di sentirsi manipolato, dal momento che lei è libero di confermare la precedente scheda.

Valdivia guardò l’ufficiale come trasognato, era davvero confuso.

- Non so che fare – disse mesto – è talmente tutto troppo grande per me che non so che pesci prendere. Lei capitano mi sta addossando una responsabilità ingiusta. Io ho diritto di esprimere il mio voto. Il mio voto, capisce, il mio, non quello degli altri. Ma come la sta mettendo lei sembra che da me possa dipendere il destino dell’Italia e questo non può esser vero. Ho forse colpa io se gli Italiani sono improvvisamente diventati un popolo uniformato, senza opinioni?

- Al contrario Valdivia – esclamò Onorato – al contrario. Mi creda mai nella storia del nostro paese sono fiorite tante iniziative nella società civile e mai hanno trovato tanta accoglienza idee e proposte a tutti i livelli. E’ un fervore, una voglia di fare e di crescere come non se ne vedeva dal Rinascimento. Solo, mancano i politici a rovinare tutto. Questa è la verità, caro Valdivia, pura e semplice, brutale se vuole e scomoda forse. E per finire pensi soltanto a questo particolare. Pensi alla sproporzione, all’arroganza del suo voto. Pensi che lei da solo negherebbe la volontà di tutto un popolo. Pensi al paradosso. 99.999.999 italiani hanno scelto di astenersi, di non avere partiti in parlamento, di non avere un governo. E lei con quel suo voto ne annullerebbe la volontà. Uno contro tutti. Uno che imporrebbe la propria opinione alla stragrande maggioranza come neanche il peggiore dittatore è riuscito mai a fare nella storia. Un atto esagerato di imperio, di arroganza, un’autentica violenza. Per effetto della legge elettorale che offre ai cittadini la massima garanzia di rappresentanza lei passerebbe sopra alla volontà del popolo. Non le sembra una responsabilità eccessiva? Se la sente di assumersene il peso? Nonostante la legge la tuteli e io stesso non la ostacolerei nel suo proposito.

Valdivia sudava copiosamente. Si alzò in piedi e disse.

- E va bene. Se è questo che volete, ripeterò il voto.

- Bravo! – esclamò Onorato – in piena coscienza, davvero! Poi, sia quel che sia.

- Eppure – disse Valdivia – c’è qualcosa di malsano nel suo ragionamento, Capitano. E lei stesso, in fondo, mi appare sempre più, come espressione di una dittatura o di qualcosa che le assomiglia parecchio. Lei insieme ai suoi colleghi si è auto-nominato agente per la sicurezza nazionale. Ma dove, da chi, quando, è stato investito di una simile autorità. Che diritto ha di venire qui a fare il fratello maggiore e a manipolare il voto, travestito da confidente amichevole. E cosa ne so io di quanti Capitani Onorato stanno affollando in questo momento i seggi di tutta Italia? E che con mezze minacce e mezze carezze stanno mettendo in confusione tanti altri come me che hanno osato ribellarsi alla omologazione generalizzata?

Tuttavia mi ha messo alle strette e non posso che accettare la sua proposta. Sono pronto.

Il Capitano Onorato s’illuminò nel volto di un largo sorriso e di un’ espressione di vivo compiacimento.

Allora si tolse il cappello, gli occhiali neri e commosso abbracciò il giovane con calore.

- Grazie – disse – da tutta la nazione!

Subito il Presidente del seggio fu informato. Di nuovo Valdivia fu invitato a esprimere il suo voto nel segreto della cabina elettorale.

Il ragazzo, quando prese la scheda non riuscì a nascondere un evidente tremore della mano. Entrò nella cabina, teso e scuro in volto. Spiegò ben bene sul ripiano di legno la scheda. Lesse e rilesse più volte quanto vi era descritto.

Nel seggio intanto era calato un silenzio pesante. I pochi minuti nell’attesa che Valdivia compisse il suo diritto-dovere sembrarono dilatarsi, perdere le connotazioni della fisica e trasformarsi in una sorta di sospensione apocalittica. Il capitano Onorato aveva nuovamente indossato gli occhiali scuri e guardava con sguardo assente la scena. Il Presidente del Seggio e i due scrutatori avevano gli occhi appuntati sull’urna da cui fra un istante sarebbe scaturito il verdetto. Poi all’improvviso Valdivia uscì dalla cabina recando in mano la scheda che spinse con decisione e con rabbia nell’urna vuota.

Dieci minuti dopo il Presidente del Seggio, svolte le procedure di rito, poté comunicare i risultati definitivi delle votazioni all’ufficio Elettorale centrale.




Racconti d’altri tempi  

L’inventiva n° 2

di Agnolo Camerte

Faceva freddo, ma la passeggiata serale era comunque d’obbligo. Inoltre già grandicelli, arrivammo a mettere i primi cappelli….Naturalmente gli sfottò degli amici non mancarono, ma il freddo e la neve ….erano la scusa per pavoneggiarsi con quei cappelli in testa. Era divertente, nell’andirivieni dell’aringolo, incrociarsi , soprattutto con certi adulti da portare in giro, salutare alzandosi il cappello e costringere così il salutato a fare altrettanto. Un gentile signore poveretto era completamente pelato, come una palla di biliardo…..Con quel freddo riuscimmo a fargli prendere un bel raffreddore con l’incrociarlo, alzare il nostro cappello, e costringerlo a fare altrettanto….

Era però ben poca cosa, ma comunque l’inizio di una serie di scherzi incredibili.

Per fortuna la nostra fervente fantasia si era concentrata allora nella creazione di un gruppo musicale.

Si continuava a provare in quella freddissima ed affumicatissima soffitta, con assoluta caparbietà. In un paesino, per forza, le opportunità sono limitate; tuttavia la voglia di fare ci faceva superare ogni difficoltà.

Una spinta decisiva a queste velleità musicali di noi ragazzi la diede l’esibizione di Fred Buscaglione

Ad un veglione di carnevale al Circolo Cittadino, fui invitato a suonare la tromba nell’orchestra di spalla all’esibizione di fred Buscaglione. Carletto, che fortuna, bravo! Hai suonato benissimo, quanto ti sei divertito!? Magari io ci fossi stato, ma come hai fatto ad entrare in quell’orchestra. In coro gli amici della soffitta……ed allora come non dire loro..ho studiato la musica….e poi vedete è vero: Gutta Cavat Lapidem …Dai e dai alla fine si impara se hai passione e predisposizione…. La settimana successiva la passammo sempre in quella fumosa soffitta. …….Stecche e sbagli, discussioni e accordi sbagliati, pazienza e non, risate a crepapelle e scherzi, la mamma di Guido che si faceva vedere per la merenda con fette di pane e marmellata…Insomma che fortuna trovarsi lì in mezzo al fumo per imparare a suonare……

Capimmo infine che ci stavamo riuscendo perché avvicinandosi al S.Natale a Piero regalarono un basso elettrico, a Giammario un bel Charleston per la batteria e a Carletto riuscì di comperare a rate una bellissima tromba con la campana d’oro e d’argento, che aveva un suono straordinario…Arrivò anche un bell’amplificatore per la mia chitarra. Mancava solo l’amplificatore per il basso elettrico: infatti l’amplificatore del vecchio cinema, pesante che non immaginate, scovato da Piero in chissà quale cantina della sua famiglia, era troppo fiacco. Era intrasportabile per il peso e si sentiva appena……

   

Per fortuna la nostra inventiva e voglia di fare, era sempre attiva. Fummo infatti ingaggiati per una festa da ballo nel ristorante “Da Lalla”….famosa per le sue tagliatelle tirate con il rasagnuolo…….

Andò mica male, perché a parte la montagna di tagliatelle che ci servirono, la festa andò bene, suonammo abbastanza bene qualche brano e addirittura ci pagarono…..! Pochi soldi, ma abbastanza per comperare altri strumenti musicali necessari. Ormai anche il basso elettrico si sentiva!

Arrivò anche un bravissimo tastierista, Orfinio, che si aggregò subito al nostro gruppo di sognatori.

Sempre con l’aiuto del Maestro “Ossu” arrivò anche il momento di esibirsi in teatro ad un affollatissimo veglione di carnevale….Suonammo e la gente sembrava gradire molto la nostra musica; Guido si era inventato un’accompagnamento fantastico, un arrangiamento per Abat Jour (il famoso spogliarello di Sofia Loren e Mastroianni…) bellissimo, per cui il pezzo piaceva molto. Molti applausi ( i primi dopo pomeriggi di fumo….) e molti bis richiesti. Infine Cesarino si avvicinò e disse a Carletto: ma la Ballata della Tromba, la sai suonare?......Ma certo, anzi la facciamo subito!

Fu davvero la prima grande emozione e la prova che era vero il detto: ” l’artista per commuovere gli spettatori deve prima commuoversi lui!” Applausi a non finire e…una gragnuola di “sassate” che arrivavano sul palco……..Ma non erano sassi, bensì caramelle e confetti, tirati in segno di approvazione.

Fu così che prendemmo coraggio e che aumentò la voglia di suonare bene e di imparare bene a suonare i nostri strumenti. Piero come facesse a non sbagliare mai una nota con il suo basso suonato ad orecchio, ancora me lo chiedo!...Però si studiava pure musica…..Si seguivano le novità musicali, le tendenze musicali della provincia e tutte le novità che si sentivano in giro. Dovevamo trovare il nostro stile, il nostro genere musicale, la nostra identità. E questa la trovi ancora e soltanto non solo con la tecnica dello strumento, ma soprattutto con l’inventiva, con quello che hai dentro il tuo animo. In fondo è così l’arte della musica, l’arte dei suoni, viene da dentro, dal tuo animo, dalla tua sensibilità e dalla tua inventiva….E ce ne fu di inventiva, ma ora è tempo ancora una volta di andare a cena, caro Cesarino; il seguito te lo dico un’altra volta…


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)