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Piccoli grandi musei italiani

La specola - Firenze

I teatrini
di Gaetano Zumbo

gabinetto di cere anatomiche

di Alessandro Gentili


Chi potrà mai essere stato Gaetano Zumbo? Quale fatale attrazione ha subìto questo abate siciliano per raccontarci, attraverso le sue cere, il teatro della vanità umana? A guardare i suoi terribili teatrini, sembra quasi di entrare in un’interpretazione del libro del Qohèlet (meglio conosciuto come “Ecclesiaste”) o dell’Imitazione di Cristo: un duro esercizio di lettura e di visione, quindi, a ricordarci di che “pasta” siamo fatti.

   

E Gaetano Zumbo non lesina nulla sulla sua visione, quasi, appunto, che si tratti proprio di visione se non ci ricordassimo che ai suoi tempi (1656-1701) la peste era un flagello periodico. Terribili, dicevamo: queste nicchie del Tempo devastate dal morbo, dove i corpi lacerati e umiliati si offrono all’impudico sguardo del visitatore, turbato da queste raffigurazioni dettagliate dove il ceroplasta non ha risparmiato nulla dei corpi lacerati (e se non fosse inglorioso il paragone, questi lavori ci ricordano certi film contemporanei sugli altrettanti spaventosi zombi, i cosiddetti morti viventi che, al di là di una facile critica, possono suggerire una feroce rappresentazione della degenerazione del benessere).

   

   

Fra gli ammiratori dell'abate Zumbo,vi fu anche il Marchese Donatien Alphonse De Sade,che così descrisse in “Juliette”  le opere dello Zumbo: “In uno di questi armadi si vede un sepolcro pieno di innumerevoli cadaveri,nei quali è possibile osservare i diversi gradi della decomposizione del cadavere di un uomo appena morto fino a quello completamente divorato dai vermi. Quest'opera bizzarra è stata ideata da un siciliano di nome Zumbo . L'impressione è così forte che i sensi sembrano comunicare tra loro . Viene naturale portarsi la mano al naso , senza accorgersene, contemplando questo orribile spettacolo,che è difficile osservare senza che si affaccino alla mente le sinistre idee della distruzione”.

A Siracusa, nel lontano 1988, gli è stata dedicata una mostra, con monografia del Prof. P. Giansiracusa.

Secondo Gerbino, “dalla perizia di Zumbo, dal suo virtuosismo si sprigiona una capacità analitica che consente,forse per la prima volta ad un artista, così raffinato, di valutare il dato decompositivo quale elemento biologico,come ricerca anatomica ed artistica”.

   

La Bellezza non cela le sue più recondite pieghe finanche in queste terribili visioni. Lo sapeva bene anche il poeta inglese Milton se nel suo “Paradiso Perduto” ha saputo tratteggiare meglio l’abisso infernale che non le luminose strade dell’Eden (ir)rimediabilmente perduto (e non è forse vero che a scuola si legge più volentieri l’inferno dantesco?). Perfino i “Sonetti portoghesi” di Elizabeth Browning, che canteggiano un amore felice, pur nella loro straordinarietà, hanno avuto un pubblico ristretto segno dell’attrazione che il Male e il Dolore e la Morte esercitano sul destino umano.

   


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)