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Racconto

La Carrettera

di Ruggero Scarponi

Era poco più che un ragazzo Uribe Sanchez, quando entrò nel carcere di Durango. Diciassette anni appena compiuti e una condanna per omicidio volontario che avrebbe cambiato il corso della sua vita. Fu accusato dal procuratore distrettuale di aver aiutato sua madre Maria Escobar a uccidere Don Alfonso Mendoza. Secondo il Procuratore il movente del delitto fu la scoperta da parte del padrone di un tentativo di furto messo in atto dalla donna. Una storia inverosimile. Maria, che allora era ancora giovane e prestava servizio da un anno come domestica in casa Mendoza, era di corporatura minuta e mite di carattere, come tutti ben sapevano. E tuttavia secondo gli inquirenti avrebbe ucciso con l’aiuto del figlio Uribe, Don Alfonso, uomo imponente, di più di cento chili di peso e sempre armato di pistola che teneva pronta nel cinturone. Le indagini, condotte da un capitano della polizia locale, parente della moglie di Don Alfonso, Dona Clara Fuentes, con metodi a dir poco discutibili, si sforzarono di provare come Uribe facesse fuoco su Don Alfonso con un fucile da caccia trovato in casa della vittima, dopo essere accorso alle urla della madre che tentava di negare l’evidenza del furto di una collana di perline colorate! La stampa, quasi tutta schierata dalla parte del ceto dei possidenti, cui apparteneva la famiglia Mendoza, soffiò sul fuoco, aizzando i giudici a infliggere una condanna esemplare come duro monito per tutti quelli che osavano ribellarsi all’ordine sociale. Solo un modesto foglio progressista, El Claro, si fece portavoce di quanti avevano ravvisato nei metodi inquisitori della polizia abusi e intimidazioni al fine di produrre una versione favorevole ai Mendoza. Non furono mai ascoltati o brutalmente tacitati testimoni in grado di far luce su particolari rilevanti della vicenda. Il cuoco di casa per esempio, fu minacciato di licenziamento, assieme alla moglie, impiegata come guardarobiera, nel caso avesse testimoniato come il padrone insistesse con pressanti avances nei confronti di Maria Escobar. Dalla corte di giustizia furono trascurati molti indizi rilevanti e non si avvertì nemmeno l’esigenza d’interrogare Dona Clara, in casa il giorno del delitto. D’altronde Maria e suo figlio Uribe, oltre a dichiararsi innocenti non contribuirono alla ricostruzione dei fatti. Non vollero mai dichiarare, secondo loro, chi avesse fatto fuoco su Don Alfonso. Uribe riconosciuto autore materiale del delitto fu condannato alla pena di morte. E tuttavia la sua ostinazione nel tacere sui particolari della vicenda, gli ottenne la commutazione della condanna in ergastolo. Dopo circa vent’anni lo rintracciai lungo la strada per El Tecuan, in una torrida giornata estiva, impegnato con altri prigionieri nei lavori di allargamento della carretera. Fu per via di Manuel Franco, il direttore di El Claro, il giornale progressista, che ottenni l’autorizzazione a intervistarlo per conto di un grande giornale della capitale. Era passato tanto tempo e anche il clima sociale era cambiato e qualcuno della politica si era messo in testa di rispolverare quella vecchia storia per far riaprire il processo. Il capitano che aveva condotto le indagini era in pensione e giaceva in un letto d’ospedale gravemente ammalato. Dona Clara era morta da pochi mesi e anche Maria Escobar era morta, di crepacuore, in carcere. Restava Uribe e nella capitale si stava lavorando a farne un caso nazionale. Fu per questo che andai a trovarlo sulla strada di El Tecuan, nella provincia di Durango.

- Amigo – mi disse – desculpame io non so nulla. Non so chi è stato a sparare.

- Ma Uribe – replicai – ti rendi conto? Oggi non hai più motivo di temere per te o per qualcun altro. I Mendoza non possono più farti paura. Se ti decidi a parlare e a dire finalmente come andarono le cose, il giudice ti tirerà fuori…

- Desculpame desculpame – continuava a ripetere Uribe – io non so nulla, davvero. Senor, por favor, lasciami in pace, torna a casa tua. Ti ripeto, io non so nulla.

- Sei proprio un testone Uribe – Esclamai spazientito – possibile che dopo così tanto tempo, tenti ancora di proteggere qualcuno? Tutti sapevano fin da allora, me l’ha confermato el senor Franco che fu Dona Clara a sparare al marito, stanca dei suoi tradimenti. Ora basta che tu lo dica davanti al giudice. Devi dichiarare la verità Uribe, solo la verità. Non t’interessa la verità?

Uribe restò pensieroso alle mie parole. Poi mi esibì un largo sorriso ed io pensai che si fosse finalmente deciso.

- Decsulpame senor , una domanda por favor.

Accennai di si con il capo e naturalmente attesi che parlasse.

- Senor tu sai, dove conduce questa carretera?

- A El Tecuan – risposi, sorpreso – perché vuoi saperlo Uribe?

- Por que senor? Perché io sono qui a spaccarmi la schiena tutto il giorno e nessuno me l’ha detto dove porta questa maledetta strada. Ma come per tutte le cose, alla fine, non me ne importa molto, tanto una strada è come la vita, lo sa solo il destino dove ti conduce. Asta la vista senor!

Uribe piegò la testa facendomi comprendere che non avrebbe più risposto alle mie domande.

Il giorno dopo tornai nella capitale a mani vuote. Alla redazione del giornale restarono delusi e furono in molti a non capire. Per la verità neanche io compresi lo strano comportamento di Uribe che avendo la libertà a portata di mano aveva preferito restare in carcere pur di non rivelare particolari che oramai non avrebbero potuto più nuocere ad alcuno. Finché un giorno non mi decisi a ritornare alla carretera. Percorsi l’intero tragitto dal capoluogo a El Tecuan. La strada ampliata e riparata da crepe e buche era liscia e confortevole e grazie al lavoro di Uribe e compagni. A un certo punto fermai l’auto e percorsi alcuni metri a piedi cercando il punto esatto in cui mi ero incontrato con Uribe per l’intervista. Mi sedetti su una barriera al lato della strada e restai assorto a riflettere. Mi venne un curioso pensiero. Forse stavo cominciando a comprendere il senso di ciò che mi aveva detto Uribe.

- Più semplice di quanto si potrebbe pensare – mi dissi – dopo vent’anni di prigione, infatti, può darsi che per un’anima semplice sia più urgente conoscere la destinazione della carretera sulla quale uno si spezza la schiena tutto il giorno, piuttosto che rivelare l’autore di un omicidio dimenticato, per Uribe almeno. Potrebbe essere – conclusi fra me – perché no?

Persone e fatti della storia sono completamente inventati.


Racconti d’altri tempi  

Il Pallone a Bracciale

di Agnolo Camerte

Vai a vedere chi è che bussa, disse la mamma a Carletto. In effetti il bussarello del portone faceva sentire i suoi colpi. Chi è? L’orco dell’orto! Rispose ridendo Cesarino! Ma che vuoi?, vieni giù ti devo dire una cosa…..

Che c’è Cesarino?

Lo sai che domani al gioco del pallone, c’è la gara di pallone a bracciale?

Pallone a bracciale? E che roba è, come pallone a bracciale, che mettono il bracciale alla palla?

Ma no , ma no, rispose Cesarino che essendo più grande le sapeva tutte…era più grande!

Ma li al gioco del pallone, sotto le monache di S.Venanzetto non ci sei mai andato? Sotto le piante ci vai no? Sopra c’è quel campo con il muro castellano inclinato, e lì si gioca a pallone a bracciale.

Ma non sai proprio niente, incalzava Cesarino, vuoi che ti spiego tutto? Magari! Rispose Carletto.

Dunque: ci vuole un campetto come quello sotto S,Venanzetto, un muro inclinato, sul quale far rimbalzare la palla che prende un bell’effetto, e rilanciarla oltre la metà campo avversario!

La palla si batte con un bracciale di noce, scavato in modo da adattarsi bene alla mano del giocatore; il bracciale pesa circa due kg ed è contornato di denti o punte di sorbo o corniolo, contornati da sette cerchi…. e circa 105 punte smussate. Tu Carletto mi sa che non riesci neanche a tenerlo in mano!....-Sono piccolo ma crescerò! Rispose Carletto.

   

Il campo di gioco si chiama sferisterio e si gioca con tre giocatori: battitore, spalla e terzino! E la palla come è? Incuriosito Carletto domandò.

La palla è di circa trenta cm, e pesa circa 750 grammi. Viaggia veloce e siccome è passata sulla pece, per non farla scivolare sul bracciale, viaggia ad una velocità considerevole e se ti colpisce fa proprio male….

Tu pensa che un battitore che l’ha colpita male, l’ha presa sotto i denti e ne ha persi più di uno!

Si gioca un po’ come il tennis, quello lo conosci no? Si, rispose Carletto e continuando gli chiese come facesse a sapere tutte quelle cose. Risposta, tu non vieni all’oratorio, ma lì c’è Don Igino che non ci insegna solo a cantare in Chiesa, ci racconta tante cose ed è tantissimo simpatico…Don Igino..già..si vede che è un prete forte….bisogna che ci vengo pure io all’oratorio… Ma come fa a sapere tutte queste cose?

Cesarino era informatissimo: ma lui ci sa giocare, devi vedere che botte da a quella palla! Fortissimo, e poi ci spiegava che il pallone a bracciale, è uno degli sport più antichi..

Carletto meravigliato chiese ma come fa a sapere tutto, lui non è maestro di musica? Si è vero – continuò Carletto, ma è pure uno che studia e le cose le sa! Figurati che ci ha raccontato che Giacomo Leopardi scrisse per questo gioco“A un vincitore del pallone”, anche Edmondo De Amicis era appassionato di questo gioco, e scrisse gli Azzurri ed i Rossi, anche Beniamino Gigli ne era appassionato.

Insomma tantissimi personaggi famosi assistevano a queste partite, e facevano un tifo da matti, come noi adesso per il calcio; alcuni giocatori addirittura divennero molto ricchi, perché erano molto bravi!

Carletto disse allora , ma pure Beniamino Gigli? Quel tenore che si è esibito a teatro ed al quale Papà ha portato un caffè per farsi fare l’autografo? Si Quello! Te l’immagini che acuto faceva se la sua squadra vinceva la partita!.....Quello con la voce spaccava tutto!...Non esageriamo! Però è vero, ancora c’è molta gente che si appassiona a questo gioco. E’ difficile e richiede abilità forza e colpo d’occhio…

Dai andiamo a vedere insisteva Cesarino! Aspetta che chiedo il permesso a mamma, così non mi cerca e sta tranquilla…..Andammo così a vedere questa partita….

   

Fu bellissimo, anche perché era una cosa assolutamente nuova per noi ragazzini: la gente si entusiasmava, strillava, faceva un tifo d’inferno, mentre i giocatori con uno stile incredibile, sembravano volare sul terreno, per colpire la palla lanciata dall’avversario. Stile, forza eleganza dei gesti, astuzie di gioco, entusiasmavano tutti e tutti si scatenavano in un tifo coinvolgente. Le scommesse fioccavano…….secondo la secolare tendenza degli Italiani a scommettere su tutto.

Tornando a casa Carletto confessò a Cesarino che si era divertito molto e rilevò che Don Igino era proprio stato simpatico a parlargli del pallone a bracciale! Ma che tipo è? Bisogna che me lo fai conoscere, così magari insegna pure a me un po’ di musica che mi piace tanto!

Senti Cesarino, mi è venuta un’idea, proseguì Carletto, perché non ci costruiamo un bracciale da soli; mia madre ha aperto due barattoloni di pomodoro e se ci mettiamo dentro un legno e lo inchiodiamo, li possiamo adoperare per giocarci. Ho anche una palla di gomma dura….Detto fatto il progetto prese corpo e l’indomani si stava a giocare dentro il piazzale della Veterinaria, quando al terzo tiro….sbaammmm! Carletto tornò a casa di corsa con un occhio nero!...Al che disse a Cesarino – meglio se mi fai conoscere Don Igino!

Vuoi sapere come è? Disse Cesarino: lo sai che vado a servirgli la messa dalle Suore di S.Caterina, no? Senti che gli ha combinato alla monachella addetta alle tovaglie dell’altare! Siccome aveva un atteggiamento sempre troppo serio e rispettoso, quando quella gli ha dato la tovaglia immacolata per l’altare, ci ha versato sopra l’inchiostro simpatico (era Carnevale) quello che dopo un po’ si asciuga e sparisce…Quella povera monachella redarguita del fatto che la tovaglia era sporca, in modo molto brusco, per poco non sveniva! Vai a chiamare la Superiora! E quella poveretta tutta rossa in viso, tornando mortificata con la Superiora in apprensione, vide che la macchia non c’era e che noi sghignazzavamo tutti, compreso Don Igino, come pazzi!

Insomma a noi ragazzini cresciuti all’aperto, tra il pallone, il pallone a bracciale e gli scherzi di Don Igino , nostro complice solidale, la televisione di oggi ci avrebbe fatto un baffo!

Chi avrebbe avuto interesse a guardarla! Meglio andare a teatro: sopra l’ingresso c’è ancora la scritta ”Delectando Docet”. Non sarebbe bello se fosse così anche per il teatro della vita vissuta in comunità ed in allegria con il nostro Prossimo?


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)