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Racconto

Roma... per altre vie

di Ruggero Scarponi

Cominciai a lavorare durante gli “anni di piombo”. E non solo metaforicamente.
Studente liceale all’inizio degli anni ’70, fui assunto in uno stabilimento tipografico dove si stampava ancora con il sistema detto “a caldo”, mediante matrici di piombo.
Era un’azienda medio-piccola di proprietà di un movimento religioso e il personale, una trentina di lavoratori, era costituito sia da “esterni” che da “interni” del movimento. Per esigenze familiari divenni studente-lavoratore o come si diceva studente-operaio.

   

Nella tipografia ho trascorso tutta la mia vita lavorativa e oggi alle soglie della pensione, confortato da una sufficiente prospettiva storica mi piace ricordare un’esperienza che fu vissuta silenziosamente da me e dai miei compagni di lavoro ma che testimonia della passione e del dibattito culturale di allora.

Sullo sfondo c’era sempre la nostra città, Roma, che come un laboratorio a cielo aperto catalizzava e coagulava fermenti ed esperienze in ogni campo, artistico, politico sociale. A quel dibattito, a quei fermenti attingemmo per dar vita a un progetto che nel nostro piccolo, si proponeva mete ambiziose. Tentammo con le nostre sole forze di trasformare “la fabbrica” in una comunità, luogo privilegiato di progresso e sviluppo umano e sociale. Eravamo giovani e ci piacevano le ragazze, la musica il pallone.
Ma le discussioni più accese nascevano intorno alla possibilità di vivere il lavoro non come una penosa necessità del vivere quotidiano, ma come occasione privilegiata di acquisizione di conoscenze e consapevolezza professionale. C’era tanta utopia nel nostro progetto e non tardammo ad accorgercene. Ma sfrondando gli aspetti più stridenti con la realtà concreta riuscimmo a mettere in campo alcuni strumenti che trasformarono quell’esperienza ormai lontana nel tempo in un’esaltante stagione della nostra giovinezza.

Che estate fu quella! Era quella del Mondiale messicano, quella di Italia Germania 4-3.
In giro per la città se ne parlava, nei bar, sugli autobus a scuola e negli uffici. L’Italia si era piazzata seconda, sconfitta in finale dal Brasile. Ma ne eravamo tutti orgogliosi. Ovunque aleggiava la polemica infinita sui famosi “sei minuti” di Rivera e sotto, sotto, eravamo tutti convinti che forse solo la sfortuna ci avesse privato della Coppa Rimet.

Molti ricorderanno i caroselli automobilistici per festeggiare la vittoria contro la Germania, pochi forse ricorderanno che a Roma in quel periodo si poteva circolare ovunque con l’automobile.
Piazza di Spagna, Fontana di Trevi, Piazza Navona, il Pantheon e persino, non lo crederebbe nessuno, Ponte Sisto, addirittura in doppio senso di circolazione. Già metropoli per certi versi ma inguaribilmente “paese”, questa era la nostra città.
Trastevere, per esempio, era un quartiere popolare e operaio, pieno di industrie con centinaia di addetti che al mattino poco dopo l’alba timbravano il cartellino. Non esisteva la “movida” e alle sei del pomeriggio, d’inverno tutti chiusi in casa che sembrava di stare in un paesino dell’entroterra.

Quanto si discuteva! Di sindacato, politica…Leggevamo i giornali che riportavano la cronaca delle grandi lotte operaie e ci appassionavamo alle idee di riscatto sociale. E’ di quel periodo lo Statuto dei lavoratori e la settimana di quaranta ore. Ci entusiasmava la forza che emanava dai cortei che solcavano come rosse fiumane il centro storico. I romani erano pazienti e guardavano disincantati alla paralisi che le manifestazioni operaie e studentesche nonché i frequenti scioperi del trasporto pubblico, provocavano in tutta la città.

   

Oggi, grazie ad una serie di interventi urbanistici appropriati non se ne ha più l’idea. Si andava alle assemblee nelle scuole e nelle fabbriche con in testa le canzoni di Lucio Battisti. Oppure dei grandi miti anglosassoni, primi fra tutti i Beatles e i Rolling Stones. Nei cinema davano ancora Sacco e Vanzetti e per la strada la gente canticchiava il motivo reso famoso da Joan Baez.

Farà sorridere ricordare il prezzo di una tazzina di caffè. In un bar di periferia costava al massimo cinquanta lire l’equivalente di 2,5 centesimi di Euro e bisognava scalare la ricca e famosa via Veneto dei Bar della Dolce Vita da poco conclusa per pagarlo un po’ di più, l’equivalente di 5 centesimi di Euro. I giovani, la sera affollavano il Folk-Studio mitico locale in cui venivano presentati repertori musicali e teatrali fortemente impegnati al di fuori dei ricchi circuiti commerciali. Il teatro d’avanguardia vedeva l’esordio di attori registi ed autori alcuni dei quali destinati a incidere profondamente nel clima culturale degli anni a venire.

Eravamo giovani e volevamo metterci in gioco. Qualcuno sceglieva la via della politica, del sindacato o del volontariato nelle parrocchie a fianco di parroci coraggiosi capaci di portare il vangelo nelle baracche. E intanto si era giunti a metà degli anni ’70. Il terrorismo di destra e di sinistra aveva aperto profonde ferite nella società. Lo scontro si preparava e si radicalizzava, forse più di quanto allora si potesse percepire. La droga aveva mutato e stravolto i tradizionali equilibri di potere della malavita. Disoccupati ed emarginati diventavano manodopera privilegiata per il crimine.

Erano gli anni delle lotte per la casa e delle occupazioni delle palazzine sfitte. La città si stava trasformando. Sorgevano ricchi quartieri in zone periferiche, protetti e separati dal resto del contesto cittadino. Si percepiva la frattura. Eppure in tanti non volevamo rassegnarci all’idea che fosse impossibile una collaborazione tra classi diverse per un interesse comune.
Da qui, nacque la nostra esperienza.
Una mano tesa tra lavoratori e dirigenza aziendale con reciproca fiducia.

   


Racconti D'altri tempi  

I fegatelli di Enea

di Agnolo Camerte

Il Professore di latino era severo!... Carletto lo temeva quando faceva le interrogazioni..Per forza! Siccome era molto vivace, quando quello incominciava a dire “oggi interroghiamo uno a caso”... regolarmente lo beccava... impreparato.
Chissà forse aveva doti di veggente, ma era implacabile, del tipo “come te movi te furmino”.
Il Professore infatti gli chiese a bruciapelo “declama l’endecasillabo che abbiamo letto l’altro ieri! Quello di Virgilio!” Alè! Beccato! Inutili le scuse più banali del tipo avevo il malditesta (che non aveva mai ), o peggio che se ne moriva tutto di starlo a sentire; chissà mentre lui spiegava, Carletto forse pensava ad una passeggiata ai Cappuccini con quella ragazza che gli piaceva tanto...

Allora? Incalzava il Professore…non ti ricordi eh? Non ti ricordi perché non hai studiato!
Magari sei andato a suonare la chitarra quella tua musica da ballo! Sei un corruttore di anime! (Sic!)
Professore! Ma no! Ma quale corruttore di anime! La musica che suono è bella, è moderna (il Professore era un sacerdote grande studioso), si suona solo per divertirsi, per fare un po’ di musica, per stare in allegria; poi ieri non ho potuto studiare perché... E lì era difficile trovare ogni volta le scuse più incredibili che non funzionavano mai.

   

Di rimando il Professore rimproverò ancora Carletto, ma come, uno come te che ama la musica, non si è accorto che l’endecasillabo ha una sua straordinaria ritmica, una musicalità bellissima, irripetibile.

Cala trinchetto, pensava Carletto.

Ma quello incalzò: per domani mi porti quattro pagine di quaderno con su scritto l’endecasillabo seguente: “Quadrupedantem putrem sonitu quatit ungula campu” poi vediamo se te lo ricordi e se ti piace! Ti leggi e traduci anche tutto il relativo capitolo che descrive lo sbarco di Enea sul Lazio!... Poi mi dici se ti è piaciuto!

Aveva ragione! Quel capitolo era proprio molto bello! Nel leggerlo sembra di vedere e sentire il rumore degli zoccoli del quadrupede (un torello) che scuotono le pietre mentre fugge inseguito dai marinai di Enea che lo cacciano.
È la descrizione di Virgilio dello sbarco di Enea nel Lazio... È un’immagine scolpita nella memoria del buon Carletto. Immaginate... Enea che vaga per il mare, lungo la costa, con i suoi marinai, stanchi, arsi dal sole bruciati dalla sete, affamati..Trovano il fiumetto, sbarcano probabilmente per rifornirsi di acqua dolce e vanno a caccia spinti dalla fame…Si imbattono nel torello, lo inseguono, quello scappa squassando il terreno con i suoi zoccoli; alla fine lo raggiungono e lo abbattono per nutrirsi... finalmente... ! Questa scena è descritta talmente bene,che sembra un film. Poi, dopo la cattura, la scena diventa subitaneamente tranquilla... Sembra di trovarsi in una cucina, ma essa si svolge sempre sulla riva del fiume... Il torello viene sapientemente macellato, le carni tagliate nel modo appropriato per la cottura sulle braci del fuoco acceso.

Virgilio ne fa una descrizione dettagliata che è stupefacente!
Nonostante la fame di tutti, che immagino dovesse essere tanta, le carni vennero cucinate e cotte appropriatamente; e Virgilio fa la descrizione delle relative ricette e modo di cottura: ricordo ad esempio che i marinai tolsero il velo interno dell’animale, (che è grasso) per avvolgerci le carni in modo da cuocerle perfettamente sino all’osso senza bruciarne l’esterno sulle braci.
Cosa incredibile per un poeta è anche constatare che Virgilio descrive come divisero il fegato, avvolgendolo nel velo (con l’alloro? chissà!) prima di arrostirlo sulle braci. Ancora oggi i fegatelli si cuociono così, proprio allo stesso modo!
Questa dei fegatelli di Virgilio, sosteneva Carletto, è la più antica ricetta del genere che abbia trovato!

A Carletto la musicalità dell’endecasillabo rimase impressa subito e per sempre, perché è davvero bellissimo; tuttavia la costatazione che Enea con il suo sbarco nel Lazio, sbarcò anche un tipo di ricettario, di cucinare i fegatelli in quel modo tanto gustoso sulla brace, lo affascinò a tal punto che pensò: se li ha mangiati Enea che era un’eroe, significa che tanto male non devono essere.
Alla fine, si fece convincere dalla mamma che li aveva cucinati e anche lui li assaggiò. Erano proprio buoni!


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)