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personaggi

Ricordo di Pio
Filippani-Ronconi

(Madrid, 10 marzo 1920 – Roma, 11 febbraio 2010)

Un omaggio al grande orientalista e uomo d’azione

di Luigi Capano

Giovanotto lei parla come un cattolico, io non giudico: sperimento... così il Professore interruppe bruscamente una mia, forse troppo precipitosa, domanda. Gli chiedevo un giudizio su non so più quale intrigante vicenda, e quella sua risposta, sferzante e, insieme, amorevolmente bonaria, la conservo sempre incisa tra i miei ricordi più cari. Questo accadeva, verso la fine degli anni ‘90 dalle parti Piazza Salerno, a Roma, nella sede di Urri, un circolo nato diversi decenni fa, che apparve allora ai miei occhi – forse troppo critici - come una combriccola di goliardi che si dava un po’ di arie esoterico-paganeggianti, e dove mi ero recato su invito del suo illustre fondatore, Filippani appunto. Del quale da molti anni seguivo avidamente la straordinaria attività divulgatrice di tradizioni sapienziali (per quanto sia possibile una divulgazione in questo ambito, s’intende), che procedeva nonostante l’affettata indifferenza, e spesso l’ostracismo, dei gestori della cultura.

Rammento con nostalgia il ciclo di conferenze sul tantrismo organizzato da un’infaticabile Rosa Maria Cimino – ora docente di storia dell’arte indiana all’Università del Salento - nella storica sede dell’ISMEO, l’Istituto voluto da Giuseppe Tucci e da Giovanni Gentile, che fu considerato per un ventennio un riferimento miliare dagli orientalisti di tutto il mondo e che vide, curvo sulle bozze di East and West, la prestigiosa rivista trimestrale diretta dallo stesso Tucci, uno schivo giornalista, la cui opera segnò con un’impronta indelebile quanti lo conobbero e lo frequentarono, Massimo Scaligero.

Fu proprio Filippani - gli sono grato anche di questo - ad invogliarmi a leggere i libri di Scaligero ed a far visita ai suoi allievi - Alfredo Rubino e Romolo Benvenuti, scomparso qualche anno fa - ed al piccolo centro - sede del Gruppo Novalis fondato da Rudolf Steiner e poi affidato da questi a Giovanni Colazza - nascosto nel cuore del quartiere Monteverde, dove ogni due sabati, in rispettoso silenzio, uno sparuto numero di antroposofi ascolta, ancora oggi, da un vecchio e lacunoso nastro, la voce profonda e volitiva del maestro.
Ho girato il mondo in lungo e in largo e ho trovato un autentico iniziato a due passi da casa mi disse quello stesso giorno nella sede di Urri (acronimo di Unione Rinnovamento Ragazzi d’Italia ma anche, l’ho appreso leggendo una vecchia intervista, vocabolo sanscrito designante il dio che sopravvive al tramonto degli dei), e le sue parole e il suo sguardo sereno evocarono l’atmosfera di un apologo zen.

Ho incontrato i suoi libri casualmente, mentre ero intento a cercare qualcos’altro o a girovagare senza meta come ogni tanto mi accade. Così fu per i due libricini della Newton Compton, un condensato di certe sue lezioni accademiche dedicate all’Induismo e al Buddismo. Invece, su una bancarella di Porta Portese mi attendeva una copia di Ismaeliti e Assassini che acquistai, nonostante mancassero parecchie pagine, per via di una dedica autografa a un tale generale di corpo d’armata.
Ricordo che l‘ambulante mi parlò del Professore con rispettoso entusiasmo, e appreso che lo conoscevo discretamente, mi cedette il libro per poche migliaia di lire. Cose d’altri tempi, eppure non così remoti. Trovai poi Vak la parola primordiale, dedicato al tantrismo, mentre curiosavo tra i libri usati di una bottega a Campo de’ Fiori, e lo lessi d’un fiato sulla scia di altre letture appassionanti: Avalon, Evola, Eliade e lo stesso Scaligero. Mi viene in mente, a questo proposito, uno dei colloqui che ebbi con il Professore nella sua casa all’EUR. Andammo, era inevitabile, al ricordo dei suoi rapporti con Evola e con Scaligero – li conobbe molto bene entrambi, così come conobbe e frequentò Colazza, e ne divenne discepolo…Colazza era il maestro di Massimo ma anche di Evola, mi rivelò, e aggiunse… In un certo senso Evola e Scaligero esercitavano due aspetti opposti dei Tantra, il tono della voce era pacato, la parola calma e a tratti incerta, il pensiero correva limpido tra lunghe pause come se la memoria sostasse per rigenerarsi (eravamo nell’anno 2001). Forse il Professore aveva voluto accennare – ma non solo – alla particolare visione yogica scaligeriana (si veda il suo contributo Massimo Scaligero e l’interpretazione dell’India al Coraggio dell’Impossibile, l’opera collettanea dedicata all’amico da poco scomparso).

La possente energia raccolta alla base della colonna vertebrale che, assopita, ci impedisce di afferrare il pulsare dell’elemento vitale in un mondo che percepiamo, quindi, distante e muto nella sua durezza anche fisica, nell’orientale deve riattivarsi mediante un moto ascensionale fino a giungere al centro polare posto sulla sommità del cranio. Al contrario, nell’uomo d’occidente, che avrebbe già storicamente patito questo processo, l’energia si raccoglierebbe, poltrendo, nel centro vitale della testa e inducendo così un pensiero dialettico, astratto, mineralizzante: nello yoga occidentale, quindi, il flusso energetico dovrebbe ora, al contrario, ridiscendere.

Ho voluto soffermarmi su questo punto della dottrina tantrica perché vi ho a lungo riflettuto, tediando con le mie domande insistenti il pazientissimo e compassionevole Filippani.
Ma procediamo ancora per un breve tratto in questo excursus libresco... da Herder, la libreria tedesca a Montecitorio, acquistai due testi della tradizione ismaelitica tradotti e curati dal Professore per i tipi dell’Istituto Orientale di Napoli: Il libro dello scioglimento e della liberazione e Ummul’l-Kitāb.
Mi sovviene che un giorno ebbe parole di auspicio verso una maggiore espansione, nel mondo occidentale, della corrente ismaelitica, utile antidoto, a suo dire, contro certi pericolosi scivolamenti estremistici apparsi in seno alla compagine islamica.
Scoprii la Storia del pensiero cinese frugando nella biblioteca comunale vicino casa e volli leggerla più volte: è un libro che più di altri, forse, lascia affiorare una particolare vibrazione scaligeriana. Pochi anni fa, nel 2007 - e fu l’ultima volta che lo vidi - informato tempestivamente da un amico comune, mi recai a Palazzo Ferrajoli in Piazza Colonna per partecipare alla presentazione di un suo complesso e articolato studio su Zarathustra e il mazdeismo. Ricordo che al termine della serata lo accompagnammo fuori, dove lo attendeva una vettura…seduto sul sedile posteriore rispose con pacata sollecitudine ad un mio cenno di saluto agitando lievemente la mano sospesa…è l’ultima immagine che mi è rimasta di lui...

Recentemente, ho avuto un colloquio interessante e generoso con Marina Sagramora, che frequentò a lungo Scaligero, e mi sembra utile riportare per intero la sua testimonianza: “Ho incontrato Pio Filippani in varie occasioni, quando veniva da Massimo allo studio di Via Cadolini – e casualmente accadeva che vi fossi anch’io - o anche d'estate a Isola Farnese. Fra Massimo e Pio c'erano stimolanti scambi di idee, e mi è capitato più volte di assistervi. Per quello che posso ricordare, la cosa più interessante era sentirli partire da due posizioni distanti sul tema che andavano affrontando e, attraverso due strade diverse, arrivare poi al comune punto d'incontro. Credo che sottilmente fosse Massimo a condurre, ma lo faceva in modo inavvertibile, e mai prevaricando, anzi, apprezzando tutto ciò che l'altro diceva; solo, aggiungendo qualcosa che sembrava completare il pensiero, mentre in realtà lo rettificava. La grande cultura, vastissima e poliedrica, rendeva il Professore, così era chiamato da tutti, estremamente facondo, e il lavoro che occorreva fare a Massimo, era di riportarlo al centro dell'idea, dato che il suo spaziare lo conduceva, a volte, fino ad Ur dei Caldei... In Pio Filippani c'era comunque una deferenza, nei confronti di Massimo, che raramente riscontravo anche in coloro che si professavano suoi più convinti discepoli: solo i grandi riescono a comprendere gli altri grandi, come solo un poeta può comprendere un altro poeta”.

Sono sempre stato un individuo evolizzante nel senso che non mi interessava ricalcare ciò che facevano gli altri...mi diceva a proposito dei suoi poco ortodossi rapporti con l’ambiente antroposofico. Sai che Colazza non mi ha voluto ammettere alla scuola esoterica? Si riferiva a una cerchia ristretta di allievi, selezionati e ammessi a condividere certi insegnamenti steineriani più riservati. Non mi ha ammesso e mi fa piacere raccontarlo: “Filippani ne deve fare di yoga prima di potervi entrare”, mi diceva. Gli antroposofi, si sa, considerano lo yoga inadatto agli occidentali ma il Professore si schermiva dicendo che per lui era un’altra faccenda, dato che sua nonna era indiana e quindi anche il suo sangue in parte lo era: ecco perché certe pratiche ascetiche lui se le poteva permettere. Ma, probabilmente, questa storia Colazza non la beveva.

Aggiungo, per amore di completezza, che le vicende connesse alla Scuola esoterica – siamo nei primi anni ’50 - sono tenacemente avvolte da un manto di pudore e di riserbo; e così anche la dichiarata esclusione di Filippani-Ronconi dal novero dei partecipanti – tra questi, Romolo e Mimma Benvenuti – sollecita un interrogativo e stimola il dubbio, essendo nota, peraltro, la giocosità fanciullesca del Professore che, di tanto in tanto, si divertiva a confondere e a stupire l’interlocutore.

Un giorno Enzo Erra – ho collaborato per un paio d’anni alla sua rivista Storia Verità - mi spedì da Filippani per intervistarlo. Il pretesto: uno sgradevole incidente, di quelli a cui purtroppo nel corso degli anni ci siamo abituati e che cozzano fragorosamente contro certi mitologemi democratici incentrati sulla tolleranza – brutta parola – e sulla libertà di pensiero. Il Professore fu invitato a scrivere nella terza pagina del Corriere della Sera ma ebbe soltanto il tempo di pubblicare a malapena un paio di articoli, di argomento orientalistico, che le proteste indignate di qualche lettore - sempre volgari motivi politici – indussero il giornale a interrompere la collaborazione. Quando andai da lui era visibilmente amareggiato, anche se commentò Non me ne importa un fico secco, ma tagliò corto e non volle più tornare sull’episodio. Parlammo d’altro, un lungo colloquio in cui raccontò dei suoi figli, di suo padre, della sua giovinezza, della sua vita avventurosa al limite dell’inverosimile. Molti nomi correvano nei suoi ricordi, personaggi singolari, straordinari, ma di cui nessuno parla più: Toddi e il suo Centro di Benessere Integrale, il conte Carlo Federico Degli Oddi, Karl Haushofer, Umberto Nani, Carlo Formichi che portò Gandhi in Italia, Osvaldo Sebastiani segretario particolare di Mussolini e antroposofo, Paolo M. Virio. Mi parlò della sua vita da soldato: Noi siamo stati gli ultimi, ci sono ancora soldati adesso? Non è rimasto più niente… e della sua concezione della guerra ispirata alla Bhagavad Gita. Nessuno spazio per l’odio o altre forme di avversione: Il combattimento è una forma primordiale di presenza che trascende il piccolo ego che combatte, soffre, muore, e la sua voce, levigata dagli anni, era quasi un sussurro. Volle farmi vedere “la sua foto di cattivo” – così disse- estraendo dalla tasca interna della giacca il portafogli e, da questo, un vecchio documento che lo ritraeva giovane dagli occhi sognanti in divisa militare di ufficiale di un battaglione d’assalto. Filippani riconosceva in sé l’agitarsi di un elemento arcaico, di una forza primordiale che sospinge l’uomo – l’uomo straordinario - sul limitare di un mondo senza tempo: dove la realtà quotidiana precipita nel mito.


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)