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Musica

Museo d'Arte Contemporanea di Villa Croce
(Genova)

A proposito
di Giuseppe Chiari

a cura di Vittoria Martini

“Partitura musicale con colore”: riscoprire il lavoro dell'artista
attraverso documenti, fotografie, video e un'installazione

Inizia con Giuseppe Chiari la serie d’incursioni storiche che il museo di Villa Croce ha deciso di intraprendere per riscoprire alcune opere della collezione.

La mostra – aperta fino al 7 aprile - si sviluppa attorno a “Partitura musicale con colore” (1986), conservata nei caveaux del museo. L’opera è un pretesto per riscoprire il lavoro dell’artista fiorentino, che, tra l’altro, ha presentato numerose volte il suo lavoro a Genova.

Attraverso documenti, fotografie, video e un’installazione fotografica, la mostra permette di rileggere l’opera di Chiari in chiave contemporanea come un precursore di un concettualismo relazionale.

Oltre alle opere in mostra lo spettatore potrà consultare libri e cataloghi che documentano il lavoro dell’artista, oltre a due manuali autografi per riflettere su come il tempo trasformi la nostra percezione delle opere d’arte.

Questa mostra offre l’occasione di riscoprire artisti del passato per contestualizzare la pratica artistica contemporanea.

   

La performance, concepita ed organizzata insieme al conservatorio Nicolò Paganini di Genova nasce come estensione di un tema d’esame per Composizione Musicale Elettroacustica che prevedeva la realizzazione di una composizione stereofonica della durata di 10 minuti basata su una partitura di Giuseppe Chiari tratta dalla raccolta “Musica senza contrappunto” (1969).

La partitura, che verrà proiettata su una parete, è un elenco di oggetti, animati e inanimati, alla fine del quale Chiari pone la seguente domanda: “come far musica con queste cose? basta toccarle.”

Nello sviluppo in occasione della rappresentazione a Villa Croce, la composizione è diventata performance multimediale. È stata aggiunta alla prima parte da ascoltare, una scena di movimento nella quale emergeranno tutti i dettagli musicali degli oggetti della nostra quotidianità.

Definito “compositore e artista concettuale”, Giuseppe Chiari è una curiosa anomalia artistica. Nato nel 1926, appassionato di matematica, iniziò presto ad applicare il calcolo combinatorio alla musica scrivendo nel 1950 le prime “composizioni geometriche”.

      

Il jazz diventa presto il genere musicale ideale per le partiture di Chiari, permettendogli di “suonare senza saper suonare”. Chiari, infatti, è un dilettante della musica: non ha frequentato il conservatorio e le sue azioni al pianoforte, suo strumento di elezione, sono evidentemente performance artistiche, più che musicali.

Nel 1960 conosce Pietro Grossi, il pioniere italiano della musica elettronica, e con lui fonda l’associazione Vita musicale contemporanea che organizzò concerti d’avanguardia ormai mitici come la prima serata monografica italiana di John Cage.

Nei primi anni ’60 Chiari è invitato a suonare in Germania, inizia a frequentare l’avanguardia artistica internazionale e aderisce al movimento Fluxus. Questo momento segna tutto il suo lavoro artistico. Storicamente il movimento Fluxus è nato nel 1962, ma non ha una data conclusiva.

   

L’uso interdisciplinare del linguaggio, così come l’idea che non ci siano differenze tra arte e vita e che tutto possa diventare arte, diventa il luogo ideale per la crescita del lavoro di Giuseppe Chiari.

Chiari fu a lungo ignorato e rifiutato dal mondo della musica proprio per la sua formazione non accademica, per questo costruì la sua carriera nel mondo dell’arte che definiva: “uno strano ambiente, come quello del circo: si può fare tutto, ma bisogna rispettarne le regole”. Nello spazio dell’arte Chiari trova il contesto ideale per le sue sperimentazioni artistiche come suonare l’acqua e la luce o trasformare in musica lo strappo di un foglio di carta. La sua opera è caratterizzata dalla voglia di inventare e, come un inventore, spaziare dalle composizioni musicali che diventano happening e performance, al disegno, alla fotografia, al film.

Il suo lavoro è stato presentato nelle più importanti mostre internazionali di quel periodo come a Documenta 5 a Kassel (1972) e alla Biennale di Venezia (1972, 1976, 1978).

Hanno collaborato alla realizzazione dlela mostra: l’Archivio Chiari di Firenze; la Casa Editrice Nardini, Firenze; la Galleria Martano, Torino; Gianfranco Pangrazio e Roberto Doati.

   


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