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Arte

Le parole e le persone

Massimo Pennacchini:
la pittura che danza

di Giada Gentili


Nulla di più mobili dei ballerini che Pennacchini ritrae mentre volteggiano il tango. Simile concentrata tensione è di pochi artisti, cioè di tutti i grandi artisti. Sfogliando con lo sguardo i dipinti sul tango mi accade di avvertire una sorta di ebbrezza quale si prova ascoltando musica polifonica, o certi Lieder di Schubert, o le ultime composizioni di Beethoven. E’ che le figure di Pennacchini si muovono sulla tela, se questa affermazione può dirsi credibile, mosse da una musica inudibile, ma che l’artista è riuscito a trasmettere nei movimenti, nelle pose, nelle raffigurazioni dei suoi ballerini.

   

Sulle tele escono dunque gli elegantissimi ballerini che vanno ad occupare tutto lo spazio con i loro movimenti e perfino laddove sono fermi, si avverte questa attesa, questo momento in cui l’arrivo della musica farà muovere i personaggi.

Piaceri visivi di questo genere li cerchiamo spesso, ma raramente li troviamo. Una così completa devozione al mistero di questo ballo nato in Argentina alla fine dell’ottocento, dimostra ancora una volta come un artista che lavora in altro ambito, trovi un linguaggio ammirabile per descrivere con la sua arte quello che, appunto, è tutt’altro. Ballo e pittura. Null’altro che una divorante passione anima i quadri di Pennacchini. Nell’incontro tra i due ballerini, uomo e donna, è stregante quest’arte in cui il pittore scompare. Il punto più alto, forse, è proprio questo: l’artista lascia lo spazio completamente a disposizione dei suoi ballerini e si ritrae, quasi intruso. Solo a un certo livello di arte, lavoro, dedizione, fatica…vocazione è possibile raggiungere questi livelli.

“….ho iniziato a dipingere trent’anni fa. Dopo i primi anni di sperimentazione con vari materiali quali il bitume, giornali, colle, sono arrivato ai portali, quadri astratti che mi hanno occupato per un breve periodo di tempo. Poi ho incontrato il figurativo. Tavola o tela. La natura morta è venuta subito dopo, anche se mi piace ignorare il termine morta. La natura infatti non è mai morta e perfino nei quadri questa natura, laddove l’artiste vi riesce, sembra viva. “

   

Torno subito ai quadri sul tango. Questi ballerini. Questi visi con lo sguardo rivolto verso le gambe, i piedi. Gli occhi sempre chiusi. Sembrano sigillati alle brutture del mondo, tesi solo all’ascolto della musica che li fa vivere. Anni fa lessi un racconto del grande novellista inglese Montague James. Racconti di fantasmi. Mi colpì molto uno di essi, “La mezzatinta”, nel quale si vedeva una figura in movimento che andava a commettere un omicidio. Ogni volta che il protagonista guardava quel quadro, la figura si spostava dentro il quadro. Nel leggerlo, provavo quasi timore.

Questo mi accade vedendo i dipinti sul tango di Pennacchini che paiono muoversi sulle note di un pentagramma invisibile. Non ci guardano, non osservano. Tutta la loro forza e capacità di attirare il nostro sguardo è in quegli occhi chiusi, nella tensione che trasmettono. I colpi di pennello imprimono la bellezza di quel movimento.

:”…e poi gli interni urbani. Sì, spesso vengo accostato al grande Hopper. Ma cerco di glissare sul paragone. Interni difficili dove l’essere umano si trova quasi spaesato, solo. Sono come attimi di una vita, di un momento. Momenti di solitudine. Ma ormai il tango da 14 anni è il mio cavallo di battaglia, sono il pittore del tango.

Tutto è iniziato nel novantasei. Una mostra: Essere o Apparire. L’Essere era costituito da figure di donna, la donna, l’essere umano, nei momenti di introspezione, nei momenti in cui osiamo farci le domande fondamentali della vita, quelle definitive, ritraevo la donna in atteggiamenti di riflessioni, sole con se stesse. Questo era l’Essere. L’Apparire, invece, lo rappresentai con la danza, quando ci si veste, quando si indossa l’abito bello per andare in balera, nelle sale, per mostrarsi. Qui scopersi il tango. E qui capiì che nel mondo della danza, il tango non è apparire ma bensì essere, un concentrato assoluto di emozioni: il tango è la vita, con tutte le sue mille sfaccettature: seduzione, aggressione, amore, sensualità, cattiveria, poesia. Il tango è nato alla fine dell’ottocento in Argentina, quando la metà degli abitanti erano italiani emigrati in cerca di fortuna, il tango è nato forse grazie anche a qualche italiano, chissà… Poi si è sviluppato come un duello, nei bassifondi, solo tra uomini. E’ una danza nata dal popolo, un grido liberatorio di un popolo oppresso, umiliato dal lavoro, dalle fatiche, dai soprusi sociali e personali. Dunque un grido verso la libertà. Quello che rappresento è appunto il movimento, i sentimenti di queste persone rapite in un momento del loro ballo, un fermo-immagine che però diventa continuità proprio perché continuano a danzare, a muoversi. Sembrano talvolta delle immagini sfocate. Miguel Angel Zotto, uno dei due o tre più grandi ballerini di tango al mondo mi ha scelto quale pittore ufficiale per rappresentare il tango dove si esibisce. Nei foyer dei teatri dove lui porta i suoi spettacoli, ci sono sempre i miei quadri”.

   

Come sempre accade agli esseri umani dotati di grande attenzione, la storia di Massimo Pennacchini è legata ad un incontro, ad un destino. Il segreto legame tra queste due sublimi arti (tango e pittura), è la grande ricchezza di questo pittore. Potremmo continuare a parlare per altre pagine su questo felice incontro. Ma la lunga processione di quadri che riempie lo studio, fornisce la prova suprema di questa antica sapienza: che laddove l’essere umano si piega con arrendevole certezza alla propria chiamata, alla sua irrevocabile chiamata, allora possiamo assistere ancora una volta (ma per quanto ancora?) al dispiegarsi, lungo i nostri brevi e faticosi giorni, di una felice congiunzione: Incantatore e Incantato si uniscono per uno spazio di tempo senza confini.

(fine prima parte – intervista al prossimo numero)


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)