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Il racconto

Vita culturale
nell’età della pietra

di Ruggero Scarponi

Al mattino seguente molti vennero per ascoltare. Venne anche l’uomo dei disegni.
Le donne si erano messe sedute a semicerchio davanti alla mia capanna e avevano iniziato a emettere il loro richiamo tradizionale, una specie di muto lamento che evocava il soffio del vento nelle gole montane. Gli uomini anziani erano in piedi dietro di loro e un po’ più distanti sostavano i cacciatori.
Mi levai a fatica dal giaciglio. Le due femmine con cui mi ero giaciuto dormivano ancora rannicchiate una vicino all’altra.
Il richiamo delle donne all’esterno della capanna aumentava d’intensità e non potei esimermi dal presentarmi. Appena fuori fui accolto da grandi acclamazioni. Ero confuso, non mi aspettavo tanto entusiasmo. Tutti mi si fecero intorno. Tutti chiedevano che ripetessi il racconto della sera prima, il racconto che tanto aveva sorpreso ed entusiasmato, le donne in particolare, sì che due di esse, appena dopo il tramonto, erano finite nella mia capanna.

Allora alzai le mani chiedendo che si facesse silenzio. Avanzai tra la folla che mi premeva da ogni parte e raggiunsi il centro del campo. A quel punto invitai ognuno ad occupare il posto della sera prima. Quando tutti si furono sistemati, iniziai a raccontare.
Dissi loro che il giorno precedente noi cacciatori eravamo partiti per una battuta nella valle delle antilopi.
Faceva freddo e non tutti avevamo voglia di alzarci all’alba preferendo il caldo della pelliccia e del corpo della donna con cui avevamo diviso il giaciglio.
Come la sera precedente questo particolare scatenò l’ilarità collettiva. Poi quando cessarono le risa e i colpetti di tosse, dissi che al momento di partire tirava un vento teso e gelido che faceva battere i denti.
Anche questo particolare suscitò un’emozione immediata e tutti presero a stringersi nei mantelli e a battere i denti con forza simulando la sensazione di freddo al mattino, nel buio, prima dello spuntar dell’aurora.
Mettendomi a saltellare avanti e indietro e acquattandomi come un animale mimai il percorso che avevamo dovuto affrontare per raggiungere la valle e le mille precauzioni per non essere scoperti. Emisi diversi fischi e squittii per indicare gli animali incontrati e intravisti nel folto della vegetazione.

Tutti seguivano le mie parole, come incantati, lanciando sguardi sospettosi, scrutatori come fossero immersi nella selva, agitandosi, scalciando e rivivendo, grazie al mio racconto tutta l’ esperienza della caccia.
Le donne erano le più emozionate. I loro visi erano accesi, i loro respiri affannosi. I loro sguardi pieni di amorosa ammirazione.
Infine passai a raccontare l’episodio cruciale nel quale descrivevo la cattura e l’uccisione di due grandi antilopi. Mi riuscì abbastanza bene. I presenti trattennero il respiro nel mentre che illustravo con quali tecniche sopraffine eravamo riusciti ad avvicinarci agli animali strisciando silenziosi tra le alte erbe. E poi la sorpresa finale: la narrazione della scena dell’attacco e dell’uccisione delle prede cadute in trappola. Tutti avevano seguito ogni particolare del racconto e tutti alla fine, riconoscenti, batterono freneticamente le mani. Era la prima volta che il racconto di una battuta era reso con tanti particolari comprese le emozioni vissute.

Fino allora ci si era limitati alla semplice descrizione del numero dei cacciatori e delle prede abbattute. Ora nessuno si sarebbe più accontentato di una semplice lista di animali uccisi. Sarebbe stato impossibile tacere dell’ambiente, delle azioni e delle emozioni.
Avevo inventato un modo nuovo di riportare i fatti della caccia, avevo inventato qualcosa che già era mandato a memoria e tramandato ben oltre i confini del nostro campo, facendo attenzione a non cambiare nulla delle parole e del tono con cui le avevo pronunciate.
Molte fanciulle e molte giovani donne mi strizzarono gli occhi muovendo le loro gole bianche come i colli dei cigni. Quella notte e per molte altre seguenti la mia capanna risuonò dei loro gemiti appassionati. Ero fiero di possedere un’arte che suscitava tanta ammirazione. Poi d’improvviso tutto finì. Fu per causa dell’uomo dei disegni.
Costui su indicazione dello sciamano aveva il compito di disegnare sulle pareti delle grotte le scene di caccia. Era per via di un rito con il quale si cercava di propiziare il favore degli Dei prima delle battute.
Da molte generazioni le pitture seguivano sempre gli stessi schemi, la riproduzione di alcune figure stilizzate di uomini e animali disposti secondo criteri ereditati dagli antichi maestri e sacerdoti. Stavolta però l’uomo dei disegni dopo avermi ascoltato attentamente aveva introdotto delle novità importanti. Nel tentativo di rendere vive e veritiere le sue pitture anziché realizzare delle semplici figurine nere ottenute con i segni rilasciati dai carboni di legna, aveva utilizzato dei colori nuovi impastando terre, vegetali e polvere di pietre colorate che poi aveva steso sopra ai disegni con le sue proprie mani.
In più al fine di comunicare le emozioni dei vari momenti della caccia aveva donato un’espressione ai volti degli uomini e degli animali, di sorpresa, di paura, di ferocia.
Una volta terminato il lavoro aveva invitato tutta la comunità per ammirare la sua opera completa. Le figure si stagliavano nette ricoprendo un’ampia parete di una grotta.
Vi si distinguevano facilmente svariati angoli della valle delle antilopi.
L’acqua dei ruscelli, ad esempio, sembrava veramente sgorgare dalla roccia fresca e gorgogliante. Gli alberi pieni di foglie agitavano i rami nel vento e gli animali che popolavano la scena si rincorrevano felici riempiendo il cielo azzurro dei loro richiami.
Persino gli uomini erano riprodotti somiglianti nell’atto di acquattarsi, di slanciarsi e di colpire. L’entusiasmo che si scatenò tra gli uomini e in particolare tra le donne alla vista di quelle scene così colorate da sembrare reali, fu pari se non superiore a quello suscitato dai miei racconti e da quella notte per molte notti la capanna dell’uomo dei disegni echeggiò di molti gemiti di donne.




Racconti d’altri tempi  

La Ruzzola

di Agnolo Camerte

In un dialogo della commedia Persa (il Persiano) di Tito Maccio Plauto nella trattativa tra Tossilo e Dordato compare nel terzo sec. A.C. il riferimento al gioco della ruzzola.
Dordato non si fida dei banchieri e dice: « E' sorprendente come i banchieri si allontanino dal mercato con una velocità superiore a quella di una ruota che corre » (Mirum quin citius iam a foro argentarii/ Abeunt quam in cursu rotula circumvortitur).

Callimaco di Cirene intorno al 300 a.c. e Catone invece ci raccontano del gioco della trottola. Sembra proprio che questi due siano i giochi più diffusi praticati nei tempi antichi ed arrivati sino ad oggi.

Erano preferiti al gioco dei dadi ovviamente più adatti a dissipar fortune ed a provocare risse. Anche questi due giochi subirono restrizioni e divieti, perché soprattutto con quello della ruzzola ci si poteva giocare intere fortune… Il gioco della ruzzola è più diffuso nell’Italia centrale e quello della trottola nell’Italia meridionale.

Oggi voglio limitarmi a raccontare quello della ruzzola.

E’ un gioco che richiede abilità, forza, intelligenza tattica e padronanza della ruzzola, che deve essere costruita secondo canoni ben precisi.
Innanzitutto occorre trovare il legno adatto, meglio se pesante e compatto.
Ogni giocatore ha le sue preferenze. Chi vuole la ruzzola pesante, chi più leggera, chi di legno e chi di altri materiali.
E’ essenziale che il giocatore se la senta ben adatta e proporzionata al suo braccio.
La ruzzola si tira avvolgendo attorno ad essa uno spago la cui lunghezza è proporzionata al peso , alla grandezza ed alla larghezza della ruota. A volte lo spago viene passato con la pece (così non scivola) a volte con l’erba dei campi (la falasca è adatta) Altre volte è morbidamente intrecciato, altre no. Insomma dipende molto dalla sensibilità del giocatore.

   

La ruzzola si gioca prevalentemente sulle strade sterrate di campagna, verso Pasqua, quando finiti i rigori dell’inverno, la natura si riveste del suo abito più verde.
Si formano due squadre mediamente di quattro/cinque giocatori ciascuna, che si sfidano su una strada più o meno pianeggiante, con curve e controcurve, non sempre facili da far percorrere alla propria ruzzola.
La distanza tra il via ed il traguardo (o passata) è mediamente di quattro, cinque tiri di ruzzola. Vince la squadra che manda più ruzzole più lontano.

La ruzzola è un disco di legno passato al tornio che ha delle scanalature interne per non farla scivolare dalla mano che così la afferra meglio.
Il disco che rotola sulla strada è arrotondato; una parte è più alta ed una più bassa e serve per fargli fare le curve. Dosandone la forza di rilascio e l’inclinazione, alcuni abili giocatori riescono a far percorrere all’attrezzo le curve della strada.
Nel prendere la rincorsa, il giocatore non deve mai superare la distanza massima del tiro precedente effettuato dalla sua squadra.
In effetti è ancora uno spettacolo coinvolgente vedere due squadre che si sfidano, tanto che ancora oggi si fanno delle scommesse che per lo più finiscono a tarallucci e vino, perché la ruzzola è un gioco povero, popolare, ma molto, molto divertente.
Infatti spesso sotto Pasqua, la posta in gioco è un’ agnello da mangiare tutti insieme magari all’osteria più vicina, dove il vino buono è quello spillato con la cavola dalla botte.

Più che altro in alcune località dell’Abruzzo si gioca ancora con le forme di formaggio pecorino secco. Usanza festosa ed interessante perché per lo più durante il percorso si rompono e non è che i pezzi li lasciano per strada. ….. Gli spettatori fanno a gara a chi se ne prende e ne mangia di più…Insomma o di legno o di formaggio, quelle ruote che corrono per le strade, sono un bel divertimento salutare per tutti.

Chissà forse esprimono la gioia intrinseca generata del paesaggio campestre che pervade l’animo dell’uomo al contatto della natura rifiorente.
Chi ha la fortuna di vivere vicino alla campagna, ha anche inconsciamente radicate in sé, tradizioni, culture e sensibilità ancestrali; sa cogliere meglio di noi “cittadini” la bellezza gioiosa della natura.

Ed allora anche un gioco antico, ma campestre come la ruzzola, può divertire più di una partita allo stadio. In fondo la sapienza contadina è sorprendente; in campagna si gioca a ruzzola.
Giudicate voi: chiesi ad un mio vecchio amico contadino:“ perché vicino ai vostri abbeveratoi c’è sempre un’albero di sambuco?” Mi rispose: ma come non lo sai che scaccia i folletti ed i reumatismi? Se non mangiassi i suoi fiori fritti nella pastella, sarei pieno di reumatismi…Ecco perché ti vinco sempre a ruzzola!


Ti auguro la felicità di fare quello che fai nel migliore dei modi. Di correre il rischio di tentare, di correre il rischio di donare, di correre il rischio di amare (Pam Brown) - L’uomo rimane importante non pertchè lascia qualcosa di sé, ma perché agisce e gode, e induce gli altri ad agire e godere (Goethe) - Non saltando, ma a lenti passi si superano le montagne (San Gregorio Magno) - L’aquila vola sola, i corvi a schiera; lo sciocco ha bisogno di compagnia, il saggio di solitudine (Johann Ruckert) - non c’è gioia nel possesso di un bene se non viene condiviso (Seneca)